Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20561 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20561 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11004/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1703/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 19/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udito il Procuratore Generale dott. NOME COGNOME nonché l’avv. NOME COGNOME per i ricorrenti e l’avv. NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proprietaria di un fondo rustico in Tovo San Giacomo, adì il Tribunale di Savona per sentir condannare NOME COGNOME ed NOME COGNOME, proprietari del terreno confinante, al ripristino dello stato dei luoghi, alterato dall’edificazione di un muro di fabbrica, in violazione delle distanze legali, a sostegno di un terrapieno artificiale che aveva modificato l’andamen to planimetrico del piano di campagna.
Costituendosi in giudizio, i convenuti spiegarono domanda riconvenzionale , subordinata all’accoglimento della principale, volta ad ottenere la costituzione di servitù coattiva di passaggio sul fondo della Menara.
Il Tribunale adito, in esito ad una C.T.U., rigettò la domanda attorea. NOME COGNOME interpose appello. NOME COGNOME ed NOME COGNOME resistettero al gravame.
Con sentenza n. 1703 del 19 dicembre 2019, la Corte d’appello di Genova, in accoglimento dell’impugnazione, condannò gli appellati a demolire o arretrare a distanza regolamentare di sei metri dal confine l’opera in contestazione.
Il Giudice di seconde cure ritenne applicabile al caso di specie la disciplina delle distanze prescritta dal P.R.G. comunale, atteso che -stante l’artificiale alterazione dell’altimetria dei due fondi limitrofi -il muro assolveva non solo alla funzione di delimitare le proprietà ma, altresì, a quella di sostegno e contenimento del terrapieno e, pertanto, doveva equipararsi ad una costruzione in senso tecnicogiuridico. Inoltre, la Corte territoriale dichiarò inammissibile la domanda subordinata di costituzione di servitù coattiva, in quanto volta a consolidare una situazione di fatto illegittima; rilevò, in ogni caso, l’insussistenza del presupposto dell’interclusione de l fondo
degli appellati, stante il suo inserimento in un piano di miglioramento fondiario avente ad oggetto aree accessibili dalla pubblica via o da strade vicinali.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ed NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi e NOME COGNOME resiste con controricorso.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima censura, ai sensi de ll’art. 360, n. 3 c.p.c., i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 873 c.c. in relazione all’art. 812 c.c. e agli artt. 10 e 22.2 del P.R.G. del Comune di Tovo San Giacomo. La Corte territoriale avrebbe erroneamente individuato la disciplina applicabile al caso di specie, atteso che gli artt. 10 e 22.2 del P.R.G. del Comune di Tovo San Giacomo si riferirebbero esclusivamente agli edifici, ovverosia alle costruzioni ad uso abitativo. Per converso, il Giudice a quo avrebbe dovuto applicare la disposizione generale di cui al l’art. 873 c.c., che prescrive l’osservanza d elle distanze dalle costruzioni, concludendo per la legittimità del muro edificato dagli odierni ricorrenti in virtù del principio della prevenzione.
Il motivo è infondato.
Sul punto la sentenza impugnata afferma (pag. 5): ‘ La difesa degli appellati osserva che lo strumento urbanistico nella definizione del parametro edilizio DC relativo alle distanze dai confini fa riferimento non alle costruzioni ma agli edifici di nuova costruzione. Onde la norma che prescrive l’osservanza della distanza di metri sei dal confine dovrebbe essere interpretata restrittivamente, con riferimento soltanto agli edifici, non rinvenendosi oltretutto nelle norme generali del Piano Regolatore alcun riferimento alla nozione generica di costruzione e non prevedendo -il P.R.G. -deroghe alla
distanza dal confine per particolari manufatti. L’osservazione non è condivisibile. Questa Corte ritiene che la distanza di rispetto del confine prevista dalla norma regolamentare debba riferirsi a qualsiasi costruzione ovvero a qualsiasi opera non completamente interrata avente le caratteristiche della stabilità, solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, assimilabile a questi fini ad un edificio ‘.
L’art. 10 del P.R.G. del Comun e di Tovo San Giacomo riporta il parametro in discussione (Dc – DISTANZA DAI CONFINI) nel modo seguente ‘ Per distanza dai confini si intende la lunghezza del segmento minimo congiungente la proiezione orizzontale dell’edificio, con l’esclusione di gronde e di strutture a sbalzo, e il confine ‘ . Secondo il successivo art. 22.2 dello stesso P.R.G., il parametro DC per la sottozona ET (Agricoltura tradizionale) viene stabilito in ml 6.00.
Come è noto, l’art. 873 c.c. recita ‘Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore’.
Orbene, che la nozione di edificio sia contenuta in quella di costruzione appare evidente dalla stessa definizione di beni immobili data dal codice civile all’art. 812 comma 1° (‘Sono beni immobili il suolo, le sorgenti ed i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo’). E, del resto, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che, in tema di distanze legali, la nozione di costruzione non si limiti a quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente
dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa (Sez. 2, n. 345 del 5 gennaio 2024; Sez. 2, n. 23856 del 2 ottobre 2018; Sez. 2, n. 27399 del 29 dicembre 2014).
Considerato dunque che la nozione di costruzione è sostanzialmente unica , correttamente la Corte d’appello – al di là di una definizione formalistica – ha considerato il limite di 6 mt. esteso a tutti i manufatti. L’interpretazione dei ricorrenti è giuridicamente errata, perché in ogni caso i regolamenti locali possono prevedere solo distanze maggiori rispetto a quelle indicate dal codice civile, ma non potrebbero certamente influire sul concetto di costruzione e quindi limitare il rispetto delle distanze ai soli manufatti destinati alle esigenze abitative.
In definitiva, il fatto che nel regolamento locale sia contenuto il richiamo ai soli edifici non esclude che qualunque costruzione debba adeguarsi al regime delle distanze ivi previsto.
Attraverso il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., si denuncia la violazione dell’art. 1051 c.c. Il Giudice di seconde cure avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile la domanda di costituzione della servitù coattiva sul fondo della Menara, perché in realtà diretta al mantenimento di una costruzione realizzata illegittimamente, in deroga alla disciplina delle distanze legali.
Al contrario, la costruzione sarebbe invece stata il terrapieno realizzato a mezzo del muro di contenimento e costituente il sedime della strada, attraverso cui avveniva l’esercizio del p assaggio.
In punto di diritto, l’errore della Corte territoriale sarebbe consistito nel precludere l’accesso alla via pubblica di un fondo intercluso per il solo fatto che l’accesso stesso sarebbe stato realizzato mediante il passaggio su una strada costituente costruzione a distanza infralegale invece che valutare l’unico parametro previsto per legge, ossia il modo meno gravoso per il fondo servente.
Il motivo è inammissibile.
L a Corte d’Appello ha comunque esaminato la domanda riconvenzionale nel merito, rilevando che ‘ non risulta nemmeno la sussistenza dei presupposti -in primis l’interclusione del fondo per la costituzione della servitù coattiva. Invero dalla stessa perizia prodotta in giudizio dagli appellati risulta che i terreni asseritamente interclusi fanno parte di un piano di miglioramento fondiario ovvero sono compresi in un comprensorio accessibile da INDIRIZZO, da INDIRIZZO e da strade vicinali. All’interno de lle aree facenti parte del comprensorio è prevista dal piano la realizzazione di percorsi che consentiranno di raggiungere tutti i terrazzamenti con i mezzi agricoli necessari alla conduzione del fondo. Non sussiste pertanto l’interclusione per costituire la servitù coattiva ‘.
3. Con la terza doglianza, in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., si lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c. Gli odierni ricorrenti sostengono che la reiezione della domanda riconvenzionale subordinata discenderebbe da una errata percezione delle risultanze istruttorie e, in specie, del contenuto della perizia di parte e della C.T.U. Invero, la Corte territoriale avrebbe omesso di rilevare che l’accesso al fondo Rocca-Aicardi attraverso la pubblica via avrebbe potuto realizzarsi soltanto mediante il sedime di cui la pronuncia gravata aveva ordinato la demolizione e che, in assenza dello stesso, detto fondo non risulterebbe comunque raggiungibile.
Il motivo è inammissibile, perché si risolve in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito.
La differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dai ricorrenti non tiene conto del principio per il quale la censura non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U., n. 24148 del 25 ottobre 2013).
E’ allora opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce
un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la considerazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
Occorre aggiungere che il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507 del 6 aprile 2023).
Le condizioni che precedono non ricorrono nel caso di specie.
D’altronde, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua
iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre -come detto – è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali in favore della Menara, come liquidate in dispositivo.
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di cassazione
rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME ed NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME ed NOME COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Seconda Sezione