Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4872 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4872 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 17905/2022 R.G.) proposto da:
NOME COGNOME nato a Ruvo di Puglia (BA) il 9 luglio 1952 ed ivi residente, al INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale degli avv. ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che, congiuntamente e disgiuntamente, lo rappresentano e difendono, giusta procura speciale allegata al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzi p.e.c. dei difensori: ‘ EMAILpec.EMAIL.it ‘ e
‘ EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME nato a Ruvo di Puglia (BA) il 16 ottobre 1947 ed ivi residente, al INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Ruvo di Puglia (BA), alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata alla memoria di costituzione di nuovo difensore depositata con modalità telematica il 20 marzo 2023 (indirizzo p.e.c. del difensore: ‘ EMAILpec.ordineavvocatitraniEMAIL ‘) ;
-controricorrente –
n. 17905/2022 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 7 novembre 2024
Distanze costruzioni.
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 780/2022, pubblicata il 17 maggio 2022;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 7 novembre 2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse dell e parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.;
FATTI DI CAUSA
1.- Con ricorso ex art. 702 -bis c.p.c. COGNOME NOME conveniva in giudizio COGNOME NOME dinanzi al Tribunale di Trani, esponendo che: – era proprietario di un immobile con annessa area pertinenziale, censito al foglio 27, particella 1218, al INDIRIZZO, in Ruvo di Puglia (BA); – COGNOME NOME, invece, era proprietario del fondo rustico ubicato sempre in INDIRIZZO a Ruvo di Puglia (BA) e censito al foglio 1831, particella 27; – le due proprietà derivavano dall’atto di divisione del 16 luglio 1968 con cui, ai danti causa d ell’ attore, erano stati attribuiti i sette decimi del suolo e, al dante causa del convenuto, i residui tre decimi; – dalla planimetria allegata all’atto di divisione emergeva che una parte di suolo era stata concordemente destinata all’allargamento di INDIRIZZO con conseguente costituzione di una servitù di passaggio a carico del fondo Visentino, finalizzata a consentire il migliore accesso al fondo COGNOME; – sul proprio fondo il Visentino aveva costruito un corpo di fabbrica, completato nell’anno 2010, formato da un pilastro che sorreggeva la rampa di scala esterna al fabbricato, dai pilastri che sorreggevano i cancelli; – tale costruzione aveva comportato un restringimento della servitù di passaggio, oltre che la violazione delle distanze legali sia dal lato nord dell’edificio rispetto al ciglio stradale, sia dal lato ovest rispetto al setto murario che divideva le due proprietà.
Concludeva, pertanto, chiedendo accertarsi « il mancato rispetto della vigente normativa sulle distanze tra costruzioni, come in premessa esplicitato, tra il fabbricato realizzato dal sig. COGNOME NOME sul suolo di proprietà dello stesso e le costruzioni/corpi di fabbrica di proprietà del sig. COGNOME NOME, esistenti sul fondo confinante» e « per l’effetto condannare il sig. COGNOME NOME alla eliminazione di tutte le opere edificate/realizzate sul fondo di proprietà dello stesso in violazione della
normativa sulle distanze, con conseguente ripristino dello status quo ante ».
All’esito della costituzione in giudizio del convenuto, che chiedeva il rigetto delle avverse pretese, il Tribunale di Trani, disposta ed espletata Consulenza Tecnica d’Ufficio, pronunciava la sentenza n. 1860/2020 con la quale accoglieva la domanda di riduzione in pristino proposta da COGNOME Nicola ex art. 872, comma 2, c.c., e 873 c.c., condannando il Visentino « alla demolizione, a sue spese, della muratura attualmente presente a cavallo tra le proprietà », nonché alla « ricostruzione, a sue spese, di doppia muratura di confine, una insistente sulla proprietà COGNOME e l’altra insistente sulla proprietà COGNOME con rispetto della distanza di 6 m dal confine dell’immobile Visentino e della larghezza della servitù di passaggio di 5 m in favore di COGNOME ».
2.- La Corte d’Appello di Bari , investita dell’impugnazione proposta , in via principale, da COGNOME Nicola e, in via incidentale, da COGNOME NOME, accoglieva parzialmente la prima e respingeva la seconda, condannando quest’ultimo alla demolizione, a sue spese, del corpo di fabbrica formato da un pilastro che sorregge la rampa di scala esterna al fabbricato, dai pilastri che sorreggono i cancelli.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava, per quanto di interesse in questa sede: a ) che sul confine tra le proprietà COGNOME e Visentino vi era il setto murario facente parte di un vecchio fabbricato ed avente altezza superiore a tre metri; b) che dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado era emerso che il suddetto muro faceva parte delle precedenti fabbriche appartenenti alla proprietà Visentino ma insisteva quasi interamente sul suolo di proprietà di COGNOME; c) che il consulente aveva altresì riconosciuto al predetto muro natura di costruzione, valorizzando l’altezza superiore a tre metri con l’ulteriore conseguenza che la distanza che doveva intercorrere tra detto muro e la nuova costruzione edificata dal Visentino non doveva essere inferiore a dieci metri; d) che, dunque, non era condivisibile la qualificazione del setto murario come muro di cinta, prospettata dall’appellante incidentale valorizzando la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo; e) che tale funzione non trovava riscontro nella documentazione in atti atteso che, come emergeva dalle foto storiche
allegate alla relazione di consulenza di chiarimenti del dicembre 2018, il setto murario inizialmente chiudeva il lato ovest della proprietà COGNOME e non poteva, pertanto, considerarsi separato dall’immobile cui ineriva restando nel medesimo incorporato; f) che il setto murario, per le sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico era, dunque, soggetto alla disciplina di cui all’art. 873 c.c., cosicché il manufatto eseguito dal COGNOME doveva rispettare la distanza di dieci metri dal setto murario; g) che alcuna rilevanza poteva assumere la circostanza che il setto murario facesse parte del comprensorio di vecchie fabbriche della proprietà Visentino, giacché il suddetto muro ricadeva quasi interamente sulla proprietà COGNOME e quindi faceva parte integrante di detta proprietà, come emergente dai rilievi celerimetrici le cui risultanze non avevano formato oggetto di contestazione alcuna tra le parti; h) che era da reputarsi dunque infondato l’appello incidentale, mentre, in parziale accoglimento di quello principale, andava riformato il capo della sentenza di primo grado che aveva disposto la demolizione del predetto setto murario insistente tra le due proprietà in quanto l’insistenza dello stesso nel fondo di proprietà dell’appellante principale non era oggetto del giudizio il cui petitum era, invece, rappresentato sia dalla riduzione della servitù di passaggio, sia dalla violazione delle distanze tra costruzioni a seguito della realizzazione, da parte del Visentino, del nuovo manufatto; i) che il Visentino doveva essere, pertanto, condannato alla demolizione del corpo di fabbrica, formato da un pilastro che sorregge la rampa di scala esterna al fabbricato, dai pilastri che sorreggono i cancelli; j) che un eventuale ripristino, con riferimento al fronte ovest, doveva prevedere l’arretramento del filo del fabbricato dello stesso Visentino dagli attuali sei metri della costruzione sul confine tra le proprietà delle parti in causa (setto murario) ai dieci metri fissati per legge.
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo.
4.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
5.- A seguito di proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., il ricorrente, con istanza del 31 gennaio 2024, ha chiesto la decisione del ricorso.
6.- Ambedue le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., falsa applicazione degli artt. 873 e 878 c.c., per avere la Corte d’Appello erroneamente qualificato il setto murario come costruzione ex art. 873 c.c. e non già come muro di cinta, ai sensi e per gli effetti dell’art. 878 c.c..
Sostiene, in particolare, che il setto murario non sarebbe riconducibile alla nozione di costruzione ex art. 873 c.c., bensì a quella di muro di cinta ex art. 878 c.c. ed evidenzia che la Corte di merito avrebbe completamente omesso di considerare che il campo di applicazione dell’art. 873 c.c. è del tutto estraneo alle fattispecie in cui il manufatto assolve la funzione di delimitare due fondi. In altri termini, secondo la prospettazione del ricorrente, l’unicità della nozione di costruzione cui fa riferimento la sentenza d’appello dovrebbe essere inquadrata nella sfera applicativa dell’art. 873 c.c. che non verrebbe in rilievo laddove il manufatto si trovi sulla linea di confine dei fondi.
Afferma, ancora, che l ‘esistenza del presupposto relativo alla collocazione del manufatto sulla linea di confine dei due fondi sarebbe emersa in entrambi i gradi del giudizio di merito, tanto che entrambe le sentenze avrebbero rilevato tale collocazione.
Deduce che la Corte di merito avrebbe trascurato di considerare l’ampiezza della nozione di muro di cinta elaborata dalla giurisprudenza sulla base di un’interpretazione funzionale dell’art. 878 c.c. , essendo pacifico, secondo la prospettazione del ricorrente, il principio per cui l’esenzione dal rispetto delle distanze tra costruzioni di cui all’art. 878 c.c. deve applicarsi anche in presenza di un manufatto che, sebbene carente, in tutto o in parte, delle caratteristiche di cui all’ art. 878 c.c., sia comunque idoneo a delimitare un fondo, nel caso gli si possa riconoscere la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine dello stesso. In sostanza, ai fini della corretta qualificazione del manufatto non potrebbe ritenersi rilevante la sua originaria natura, vale a dire il suo essere parte integrante delle precedenti fabbriche, ma dovrebbe aversi riguardo unicamente alla situazione di fatto e alla concreta funzione del manufatto.
Ancora, il ricorrente sottolinea come sarebbe del tutto evidente che il setto murario in questione presentava tutti i requisiti per essere qualificato
come muro di confine, sia dal punto di vista funzionale, sia in ragione delle caratteristiche costruttive ed estetiche, giacché, oltre a trovarsi sulla linea di confine e a svolgere la funzione di demarcazione di quest’ultima, avrebbe avuto anche funzione divisoria con riguardo ai fondi delle parti, come implicitamente riconosciuto sia nella sentenza di primo grado che in quella emanata dalla Corte d ‘A ppello di Bari e oggetto dell’odierna impugnazione.
2.- La censura risulta inammissibile, perché attinge la valutazione del fatto e delle prove condotta dalla Corte di merito, in relazione alla funzione svolta dal setto murario oggetto di causa e alla sua qualificabilità come costruzione o muro di cinta. Ad avviso del ricorrente, infatti, poiché tale manufatto assolverebbe al compito di delimitare le proprietà delle parti, lo stesso non poteva essere considerato costruzione né assoggettato all’obbligo di rispettare le distanze, giusta il disposto di cui all’art. 878 c.c. .
La Corte distrettuale, riformando la decisione di prime cure, ha ritenuto, invece, all’esito della valutazione del fatto e delle prove, che il setto murario in questione non giacesse sul confine, ma costituisse parte dell’edificio di proprietà del controricorrente COGNOME Nicola. Di conseguenza, ha considerato che l’opera costituisse costruzione e che il manufatto successivamente eretto dall’odierno ricorrente dovesse rispettare la distanza minima da esso.
A tale ricostruzione, il ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito volta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 62779001, nonché Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
Non è possibile, dunque, proporre un apprezzamento diverso e alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui « L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata » (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24 maggio 2006, Rv. 589595-01; conf. Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448-01; Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13 giugno 2014, Rv. 631330-01).
Del resto, questa Corte ha più volte affermato che « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice de l caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa
che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01).
Orbene, non è chi non veda come il motivo in esame, in quanto si concentra sull’accertamento delle circostanze di fatto valevoli ad integrare gli elementi idonei a ritenere che il setto murario di cui si tratta fosse una costruzione, nel tentativo di confutarli in favore di una qualificazione in termini di muro di cinta, finisce con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 5, ordinanza n. 32505 del 22 novembre 2023, Rv. 669412-01, secondo cui « Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. »).
Nel caso di specie, peraltro, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica ed è senz’altro idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
3.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4.- Le spese e compensi del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
5.- Poiché il giudizio è definito in conformità alla proposta di definizione accelerata , ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., deve farsi applicazione delle disposizioni di cui al l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., con conseguente condanna ulteriore del ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata e che si liquida in dispositivo, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge, anch’essa liquidata come da dispositivo.
6.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto .
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi €. 3.700,00 (euro tremilasettecento/00), di cui €. 200,00 (euro duecento/00) per esborsi , oltre accessori come per legge; condanna altresì il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente , della somma di €. 3.500,00 (euro tremilacinquecento/00), ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. , nonché al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di €. 3.000,00 (euro tremila/00), ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione