Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7595 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7595 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19543/2020 R.G. proposto da:
NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliata in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), giusta procura in atti;
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 437/2020 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO, depositata il 19.03.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietaria la prima di un appartamento posto al piano terra e la seconda d’un altro appartamento posto al primo piano di un fabbricato sito in Realmonte, citarono in giudizio NOME COGNOME, chiedendo che la convenuta fosse condannata a demolire un fabbricato e le opere edili da costei realizzati a distanza inferiore rispetto a quella prescritta dal locale programma di fabbricazione e dall’art. 873 cod. civ., nonché a eliminare le vedute illegittimamente esercitate e a risarcire il danno.
La convenuta, oltre a chiedere il rigetto della domanda, propose domanda riconvenzionale.
1.1. Il Tribunale, dichiarata tardiva la domanda riconvenzionale, condannò la convenuta ad arretrare la soprelevazione edificata fino al rispetto della distanza legale e a rimuovere la scala in cemento messa in opera, nonché a risarcire il danno, quantificato in € 1.000,00.
1.3. La Corte d’appello di Palermo rigettò l’impugnazione proposta da NOME.
L’appellante soccombente propone ricorso sulla base di sette motivi.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia sull’eccezione d’improponibilità della domanda, avanzata in primo grado, per omesso rituale espletamento della procedura di mediazione obbligatoria.
Viene dedotto che, nonostante che il procedimento di mediazione imponga (art. 8, d. lgs. n. 28/2010) la personale presenza delle parti, anche mediante persona a ciò delegata, siccome consta dal verbale redatto davanti al Mediatore, l’odierna ricorrente non partecipò all’incontro, in quanto gravata d’anni e di malanni, senza che il Mediatore si fosse in alcun modo attivato per assicurarne la presenza.
Il Tribunale aveva deciso comunque, sebbene la questione fosse da rilevare d’ufficio e la Corte d’appello non aveva inteso prendere in esame lo specifico motivo, con il quale si era dedotta l’improcedibilità della domanda per questa ragione.
3.1. Il motivo è infondato per il concorrere di più autonome ragioni.
La pretesa nullità era stata procurata dalla stessa parte (art. 157, co. 3, cod. proc. civ.), la quale, senza addurre giustificazione (solo oggi afferma, del tutto genericamente, che non poté presentarsi perché anziana e gravata di malanni), non comparve davanti al Mediatore, né si curò di nominare procuratore speciale all’uopo.
Non risulta essere stato allegato specificamente il motivo d’appello, che si asserisce essere stato esposto, ma non riprodotto, e che non consta essere stato riportato dalla sentenza d’appello.
la questione, non rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, non risulta essere stata eccepita, né rilevata d’ufficio dal Giudice di primo grado, nei termini di cui all’art. 5, co. 2, d. lgs. n. 28/2010
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 40, co. 2, l. n. 47/1985, per essere stata rigettata l’eccezione di nullità del titolo d’acquisto della controparte, a cagione dell’abusività dell’immobile.
4.1. La doglianza è inammissibile.
La ricorrente non attinge la seconda ‘ratio decidendi’, avendo la Corte d’appello spiegato (correttamente, fra l’altro, cfr., ‘a contrario’, Sez. 2, n. 22688/2009) che, in ogni caso l’eccezione era irrilevante, essendo dovuto il rispetto delle distanze anche a riguardo di costruzione abusiva.
Poiché manca una puntuale spendita impugnatoria di tutte le ‘rationes decidendi’, il punto deciso è divenuta intangibile e, pertanto, impermeabile al giudizio di cassazione (cfr., fra le tante, da ultimo, S.U., n. 7931 del 29/3/2013, Rv. 625631; Sez. L., n. 4293 del 4/3/2016, Rv. 639158).
La Corte inoltre – a pagina 4 della sentenza -ha accertato l’avvenuta rettifica delle dichiarazioni urbanistiche escludendo così la nullità della vendita del 18.7.2005 e questo accertamento in fatto non è censurabile.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 195, co. 3 e 157 cod. civ., per non essere stata dichiarata la nullità della relazione suppletiva di consulenza, nonostante <>, costituente nullità tempestivamente eccepita alla prima difesa immediatamente successiva al deposito.
5.1. La doglianza è infondata.
Al fine di redigere la relazione suppletiva il CTU non compì alcuna verifica o accertamento, essendosi limitato a reiterare le già prese conclusioni, rispondendo alle osservazioni delle parti. Il quesito posto a riguardo della sopraelevazione era sostanzialmente coincidente con l’originario e ad esso il CTU aveva già risposto, anche in relazione alle osservazioni delle parti.
Inoltre la parte non aveva indicato in cosa fosse consistito il pregiudizio patito a causa dell’asserita nullità, nonostante
rilevazioni e accertamenti non avessero spiegato effetto alcuno sul contenuto della consulenza e sulle relative conclusioni finali.
Sotto altro correlato profilo, il principio fissato dall’art 159, comma 2, c.p.c., a tenore del quale la nullità parziale di un atto non colpisce le altre parti che ne siano indipendenti, trova applicazione anche con riguardo agli atti processuali che costituiscono il risultato di una pluralità di distinte ed autonome attività, sicché la validità di una consulenza tecnica d’ufficio non è inficiata dalla eventuale nullità, per violazione del principio del contraddittorio per omessa convocazione alle operazioni peritali di una delle parti, di alcuni accertamenti o rilevazioni compiuti dal consulente, salvo che si dimostri che ciò abbia inciso in concreto sul suo atto conclusivo, ossia sulla relazione di consulenza (conf. 15383/2023) -Sez. 2, n. 3893, 14/02/2017, Rv. 643039 -.
Infine, la tesi che la parte intendeva dimostrare (la scala esterna non costituisce costruzione) risulta essere stata correttamente disattesa in diritto dalla sentenza impugnata, la quale ha fatto puntuale applicazione del principio di diritto enunciato più volte da questa Corte a riguardo della nozione di costruzione.
Senza necessità di richiamare l’amplissima giurisprudenza di legittimità basterà ricordare essersi affermato costituire costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal materiale impiegato per la sua realizzazione, purché determini un ampliamento della superficie e della funzionalità dell’immobile (Sez. 2, n. 25786, 13/11/2020, Rv. 659678; nello stesso senso, ex multis, Cass. nn. 20428/2022,
25191/2021 e, con particolare riferimento alla scala esterna, v. anche Sez. 2, Sentenza n. 1966 del 30/01/2007).
Ancora, si è, poi, chiarito che ai fini del rispetto della distanza delle costruzioni dalle vedute, costituisce costruzione qualsiasi opera, di qualsiasi natura, che si elevi stabilmente dal suolo e che ostacoli l’esercizio della veduta, intesa come possibilità sia di ” inspectio” che di “prospectio” (nella specie, è stato ritenuto conforme ai suddetti principi l’accertamento del giudice di merito che aveva qualificato costruzione una scala metallica ancorata al suolo da una piattaforma di cemento ed alta circa quindici metri) Sez. 2, n. 17802, 06/09/2005, Rv. 583353 -.
Con il quarto motivo si denuncia violazione ed errata applicazione degli artt. 166 e 168 bis cod. proc. civ., per essere stata giudicata conforme a diritto la declaratoria di tardività della domanda riconvenzionale.
Afferma la ricorrente che con l’atto di citazione, notificato l’8/10/2013, l’udienza di prima comparizione era stata fissata per il 27/1/2014, spostata d’ufficio, ex art. 168 bis, al 29/1/2014 e la ricorrente si era costituita il 9/1/2014; all’udienza di prima comparizione del 29 gennaio, vista la necessità di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione, in tal senso dispose il Giudice, fissando nuova udienza per il 14/5/2014. In conseguenza di quest’ultimo spostamento d’udienza la costituzione della convenuta in data 9/1/2014 non poteva considerarsi tardiva, dovendosi reputare che l’udienza del 14/5/2014 dovevasi ritenere di prima comparizione.
6.1. Il motivo non ha fondamento.
Il ragionamento della Corte d’appello è pienamente condivisibile: l’unica ipotesi che giustifica la deroga all’originaria data di fissazione dell’udienza indicata nell’atto di citazione è
contemplata dall’art. 168 bis, allorquando il giudice differisca d’ufficio l’udienza.
Si è, invero, precisato che è inammissibile, siccome tardivo, l’appello incidentale proposto assumendo a parametro temporale di riferimento per il rispetto del termine decadenziale dei “20 giorni prima” (termine il quale, indicato dall’art. 166 cod. proc. civ. per la proposizione della domanda riconvenzionale di I grado, viene poi richiamato, per la proposizione dell’appello incidentale nel giudizio di II grado, dall’art. 343 cod. proc. civ) non già la data fissata nell’atto di appello, ma quella alla quale (non tenendo in quel giorno udienza il giudice designato) la causa sia stata rinviata d’ufficio ai sensi dell’art. 168 bis, quarto comma cod. proc. civ.. Ed infatti l’unica fattispecie che giustifica la mancata considerazione dell’originaria data dell’udienza fissata nell’atto di citazione è quella – del tutto distinta – contemplata dal quinto comma dell’art. 168 bis cod. proc. civ., la quale ricorre allorché il giudice istruttore designato, nei cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, ritenga, con proprio decreto motivato, di differire la data della prima udienza; fattispecie nella quale – giusta espressa previsione di cui allo stesso art. 166 cod. proc. civ. – il termine di “20 giorni prima” va appunto computato in riferimento alla data fissata nel decreto del giudice istruttore designato (ma già Cass. n. 13427/01; successivamente, ex multis, Cass. nn. 16526/03, 20319/05, 17032/08, 20667/010, 1127/015) -Sez. 1, n. 9351, 11/06/2003, Rv. 564137; conf., ex multis, Cass. n. 1127/2015 -. È appena il caso di ricordare che la riferita regola trova ovvia applicazione in primo grado.
7. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del regolamento edilizio del Comune di Realmonte e degli artt. 873 cod. civ., 18 l. n. 765/1967, d’integrazione e
modifica della legge urbanistica n. 1150/1942, nonché della circolare ministeriale n. 765/1967.
Si sostiene che, essendo stato accertato che la distanza fra i muri perimetrali esterni dei due fabbricati è di 3 metri, in conformità con l’art. 873 cod. civ., la violazione non sussisteva. Si soggiunge che nel art. 23 del regolamento edilizio comunale si stabiliva soltanto:<>, senza prescrivere una distanza minima superiore ai tre metri previsti dall’art. 873 cod. civ.
Per contro, la sopraelevazione, a dispetto di quel che aveva affermato il c.t.u. nella sua relazione integrativa, non costituiva nuova costruzione, bensì <>. In quanto tale sussisteva esonero dal rispetto delle distanze.
Avendo la Corte d’appello giudicato nuova costruzione la sopraelevazione era incorsa in violazione dell’art. 23 del regolamento comunale, dell’art. 18 della l. n. 765/1967, nonché dell’anzidetta circolare ministeriale.
7.1. Il motivo è infondato.
La sopraelevazione di un edificio preesistente determina un incremento volumetrico del fabbricato, con la conseguenza che va qualificata nuova costruzione, che deve rispettare le distanze vigenti al tempo della sua realizzazione e la parte che sopraeleva non può avvalersi della prevenzione dell’originario fabbricato (conf., ex multis, da ultimo Cass. n. 16804/2023).
Non assume rilievo che la sopraelevazione rispetti la distanza di tre metri di cui all’art. 873 cod. civ., dovendo essa rispettare la maggior distanza prevista dalle norme integrative locali e nella
specie l’art. 12, co. 4 delle NTA, che prescrive una distanza comunque non inferiore a 10 metri e la Corte d’appello ha accertato la violazione della distanza prevista dallo strumento urbanistico locale.
Il riferimento poi all’art. 23 del regolamento edilizio è del tutto inconcludente, trattandosi di previsione normativa volta ad effetti definitori, mentre la distanza minima viene stabilità dal citato art. 12, c. 4, NTA.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del programma di fabbricazione, approvato con decreto assessoriale n. 10/76 del 19/1/1976, del regolamento comunale e dell’art. 2697 cod. civ., in quanto sarebbe spettato alla controparte dimostrare di essere preveniente nella costruzione.
8.1. Il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente neppure dedotto di aver formulato motivo d’appello sul punto.
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 1, lett. d) d.P.R. n. 380/2001, come modificato dall’art. 30, co. 1, lett. a) del d. l. n. 69/2013, convertito nella l. n. 98/2013, nonché falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ., per avere la Corte d’Appello qualificato intervento di nuova costruzione la scala in cemento, nonostante avesse procurato <>.
In particolare, la critica si appunta sul fatto che con la modifica progettuale del 2013 era stato espunto il riferimento alla ‘sagoma’, essendo rimasta la sola menzione del vincolo di ‘volume’.
9.1. Il motivo è infondato.
Costituisce una mera ininfluente suggestione il riferimento al t.u. edilizia, trattandosi di disciplina che non interferisce con il rispetto delle distanze: la circostanza che sia consentito da un
punto di vista urbanistico-edilizio procedere con maggior larghezza di prima a interventi di ristrutturazione, che addirittura, nell’ultimo testo dell’art. 3 cit. vengono consentite vere e proprie nuove costruzioni, anche al fine di permettere l’impiego di nuove tecniche antisismiche e di risparmio energetico, non incide in alcun modo sul concetto di nuova costruzione in senso civilistico.
Si richiama la giurisprudenza sopra citata che considera scala nuova costruzione (v. cass. 1966/2007 cit.). Non merita quindi censura la qualificazione della scala operata dalla Corte d’Appello a pag. 7 della sentenza.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate nella misura di cui in dispositivo – tenuto conto del valore della causa e della qualità e quantità delle attività svolte -seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico della ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio