Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21790 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21790 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8508/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 264/2023 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/02/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
NOME COGNOME convenne in giudizio NOME COGNOME, chiedendo che la convenuta fosse condannata, per il rispetto delle distanze tra edifici, ad arretrare il proprio fabbricato finestrato, che
avrebbe dovuto essere posto alla distanza di m. 5 dal confine, in base al regolamento edilizio locale vigente, nel mentre risultava distare m. 3,95.
La convenuta, per contro, si era difesa assumendo che fosse possibile derogare alla distanza di cinque metri in quanto l’attore aveva, a sua volta, costruito a distanza inferiore, a causa della presenza di una tettoia, solo successivamente demolita; inoltre, pur ammesso che il fabbricato COGNOME si trovasse a m. INDIRIZZO,95 dal confine, ciò non assumeva rilievo per la lievità della discrasia, stante che il fabbricato dell’attore si trovava a m. 4 dal confine.
1.1. Il Tribunale accolse la domanda, ravvisando, sulla scorta della consulenza tecnica, che non era stata osservata la distanza di m. 5 dal confine.
La Corte d’appello di Firenze, accolta l’impugnazione della COGNOME e, pertanto, riformata totalmente la sentenza di primo grado, rigettò la domanda.
2.1. Secondo la Corte di merito:
-trovava applicazione l’art. 39 del regolamento edilizio vigente del Comune di Pistoia, il quale per la zona ‘B’ prevedeva un distacco minimo dal confine di cinque metri e, nel caso in cui fossero preesistenti fabbricati posti a distanza inferiore dal confine, l’altro edificio, purché non dotato di finestre verso il confine che si aprivano su vani abitabili, poteva essere collocato alla medesima distanza;
le finestre della convenuta non insistevano su vani abitabili, nel mentre il portoncino d’ingresso, poiché privo di vetri non poteva considerarsi veduta;
-il fabbricato dell’appellato, al tempo della costruzione della vicina, presentava una stabile tettoia, da doversi giudicare costruzione, posta a m. 4 dal confine;
-la modestissima differenza nell’ordine di qualche centimetro (nei punti di sforamento m. 3,97 e m. 3,92) non poteva assumere rilievo, trattandosi di differenza rientrante nei margini di tollerabilità.
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base un solo motivo, ulteriormente illustrato da memoria, e l’intimata resiste con controricorso.
Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 39, co. 3, lett. b) del regolamento edilizio del Comune di Pistoia, nonché degli artt. 9, co. 1, n. 2, d.m. n. 1444/1968, 872 e 873 cod. proc. civ.
La sentenza era erronea per non avere fatto applicazione dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 (corpo normativo, questo, che in quanto emanato su delega dell’art. 41 bis della Legge Urbanistica, ha efficacia di legge dello Stato), il quale prevede la distanza minima tra fabbricati in m. 10 in presenza di pareti finestrate, distanza che, nel caso, non superava i m. 8.
Illegittimo doveva reputarsi lo strumento edilizio locale che, in violazione di legge, assegnava un significato restrittivo a ‘parete finestrata’, intendendo che la finestra dovesse aprirsi su un vano abitabile. Non è consentito, infatti, prosegue il ricorrente, assegnare ai regolamenti locali forza derogatoria del predetto art. 9, salvo che questi prevedano distanze maggiori.
5. Il motivo è fondato.
E’ chiaro che l’attore si è doluto anche della violazione di distanze legali tra fabbricati (come riporta la stessa sentenza a pag. 2), pertanto, la Corte locale aveva il dovere di ricercare la norma applicabile in tema di distanze tra fabbricati.
Questa Corte da lungo tempo afferma che nella materia delle distanze nelle costruzioni, il principio secondo cui la norma
dell’art.9, numero 2, del d.m. 2 aprile 1968 n.1444, che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, non è immediatamente operante nei rapporti fra i privati, va interpretato nel senso che l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la citata norma comporta l’obbligo per il giudice di merito non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del menzionato articolo 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico, in sostituzione della norma illegittima che è stata disapplicata (Sez. 2, n. 7563, 30/03/2006, Rv. 587075 -01; conf., ex multis, Cass. nn. 56/2010, 8767/2010).
Principio, questo, scolpito dalle Sezioni unite, le quali hanno precisato che in tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, secondo comma, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, essendo stato emanato su delega dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica), aggiunto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica. Ne consegue che l’art. 52 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Viareggio – che impone il rispetto della distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate soltanto per i tratti dotati di finestre, con esonero di quelli ciechi – è in contrasto con le previsioni del citato art. 9 e deve, pertanto, essere disapplicato (sentenza n. 14953, 07/07/2011, Rv. 617949 -01; conf., fra le tante, Cass. n. 624/2021).
In motivazione le Sezioni unite spiegano che <> (in esatta conformità si veda successivamente, fra le tante, Cass. nn. 15529/2015, 5017/2018).
Nel caso in esame lo strumento locale -che per legge può prevedere in materia di distanze solo distacchi maggiori rispetto alla previsione codicistica dell’art. 873 cc -risulta ‘contra legem’, in quanto riduce la portata dell’art. 9, limitandola ai soli casi in cui la finestra del fabbricato si apra su un vano abitabile.
In disparte, è appena il caso di soggiungere che l’interpretazione resa dalla Corte di Firenze risulta, peraltro e sotto altro profilo, forzata, ed addirittura riserva un trattamento premiale a quella che sarebbe addirittura una difformità (pag. 6 della sentenza).
6. In conclusione, la sentenza va cassata e il Giudice del rinvio (medesima d’Appello in diversa composizione) dovrà riesaminare la
vicenda adeguandosi ai principi di diritto sopra riportati. Regolerà, inoltre, le spese legali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 4 giugno 2024