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Distanze tra costruzioni: la legge nazionale prevale

La Corte di Cassazione ha affermato la prevalenza della normativa nazionale sulle distanze tra costruzioni rispetto ai regolamenti edilizi locali. Un proprietario aveva citato in giudizio la vicina perché il suo edificio non rispettava la distanza minima dal confine. La Corte d’Appello aveva respinto la domanda, applicando una norma locale che consentiva deroghe. La Cassazione ha cassato la sentenza, stabilendo che il D.M. 1444/1968, che impone una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate, prevale su qualsiasi norma locale contrastante e si applica automaticamente, anche nei rapporti tra privati. I regolamenti locali non possono ridurre tale distanza, ma solo aumentarla.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Distanze tra Costruzioni: La Legge Nazionale Vince Sempre sul Regolamento Locale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia edilizia: le norme nazionali sulle distanze tra costruzioni sono inderogabili e prevalgono sui regolamenti locali che prevedono limiti inferiori. Questa decisione chiarisce che la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate, stabilita dal D.M. 1444/1968, non può essere ridotta dai Comuni, i quali possono solo stabilire distanze maggiori.

Il Fatto: Una Controversia sulle Distanze di Confine

La vicenda nasce dalla causa intentata da un proprietario contro la sua vicina di casa. L’attore sosteneva che l’edificio della convenuta fosse stato costruito a una distanza dal confine inferiore a quella di 5 metri prevista dal regolamento edilizio locale. Di conseguenza, chiedeva l’arretramento della costruzione.

Inizialmente, il Tribunale aveva dato ragione all’attore. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, accogliendo le difese della convenuta. Secondo i giudici di secondo grado, una norma del regolamento locale permetteva una deroga, in quanto anche l’edificio dell’attore non era a distanza regolamentare e, inoltre, le finestre della convenuta non si aprivano su vani abitabili. La Corte d’Appello aveva anche considerato trascurabile la differenza di pochi centimetri rispetto alla distanza minima.

La Decisione della Corte di Cassazione

Contro la sentenza d’appello, il proprietario ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione non solo della norma locale, ma soprattutto dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968. Questa norma nazionale, che ha forza di legge, impone una distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’Appello per un nuovo esame. I giudici hanno affermato che la Corte territoriale aveva commesso un errore nel non applicare la normativa nazionale, che prevale su quella locale.

Le Motivazioni della Suprema Corte: La Gerarchia delle Fonti nelle distanze tra costruzioni

Le motivazioni della Corte si basano su un principio consolidato: la normativa statale in materia di distanze tra costruzioni, in particolare l’art. 9 del D.M. 1444/1968, è una norma imperativa e inderogabile. Essa è stata emanata per tutelare interessi pubblici come la salubrità e la sicurezza, e non può essere derogata dai regolamenti edilizi comunali se non per stabilire distanze maggiori.

La Corte ha chiarito che quando un regolamento locale contrasta con questa norma nazionale, il giudice ha il dovere di disapplicarlo e applicare direttamente la disposizione statale. Quest’ultima si inserisce automaticamente nello strumento urbanistico locale, sostituendo la norma illegittima.

Inoltre, la Cassazione ha specificato che la nozione di ‘parete finestrata’ si riferisce all’intera parete e non solo ai tratti in cui sono presenti le finestre. È irrilevante che le finestre si aprano su vani abitabili o meno. Limitare l’applicazione della norma ai soli vani abitabili, come aveva fatto la Corte d’Appello, rappresenta un’interpretazione ‘contra legem’ (contro la legge), perché riduce illegittimamente la portata della tutela voluta dal legislatore nazionale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza la certezza del diritto in un settore cruciale come quello edilizio. Le conclusioni che se ne traggono sono chiare e di grande impatto pratico:
1. Prevalenza Assoluta della Legge Statale: I proprietari e i costruttori devono sempre fare riferimento alla distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate prevista dal D.M. 1444/1968 come limite invalicabile, a meno che il regolamento locale non preveda distanze superiori.
2. Irrilevanza della Norma Locale Difforme: Qualsiasi norma comunale che preveda distanze inferiori o introduca deroghe non consentite dalla legge nazionale è illegittima e deve essere disapplicata dal giudice.
3. Tutela Piena per i Proprietari: I proprietari che subiscono la costruzione di un edificio a distanza inferiore a quella legale possono agire in giudizio per chiederne l’arretramento, potendo contare sulla forza della normativa nazionale.

Un regolamento edilizio comunale può prevedere distanze tra edifici inferiori a quelle stabilite dalla legge nazionale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la normativa nazionale (specificamente l’art. 9 del D.M. 1444/1968) che fissa una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate è inderogabile. I regolamenti locali possono solo prevedere distanze maggiori, ma non inferiori.

Cosa si intende per ‘parete finestrata’ ai fini del calcolo delle distanze?
Per ‘parete finestrata’ si intende l’intera parete di un edificio su cui è presente almeno una finestra. La norma si applica a tutta la parete e non solo alla porzione antistante la finestra. È irrilevante che la finestra si apra su un vano abitabile o su un locale accessorio (es. bagno, ripostiglio).

Cosa succede se un giudice applica una norma locale che contrasta con la legge nazionale sulle distanze?
La sentenza basata su una norma locale illegittima può essere impugnata e cassata. Il giudice ha l’obbligo di disapplicare la norma locale contrastante con la legge statale e di applicare direttamente quest’ultima, che si sostituisce automaticamente alla previsione locale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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