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Distanze tra costruzioni: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione interviene in un caso di vicinato riguardante le distanze tra costruzioni, aperture e sopraelevazioni. Con ordinanza, ha cassato la decisione d’appello, stabilendo due principi fondamentali: 1) una veduta aperta a distanza illegale va rimossa anche in presenza di un muro divisorio intermedio; 2) il giudice deve sempre pronunciarsi sulla richiesta di regolarizzare le luci non conformi, pena l’omessa pronuncia. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Distanze tra costruzioni: vedute illegali anche con muro divisorio

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito importanti chiarimenti in materia di distanze tra costruzioni, affrontando una complessa controversia tra proprietari confinanti. La decisione si concentra sulla distinzione tra luci e vedute e sulla irrilevanza di ostacoli, come un muro divisorio, nel sanare una violazione. Questo intervento offre principi guida fondamentali per risolvere le dispute di vicinato, sempre più frequenti nel contesto urbano.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una causa tra due vicini. I ricorrenti lamentavano la presenza di alcune aperture nell’edificio del convenuto, ritenendole vedute illegali, e chiedevano anche l’eliminazione di un’altra apertura in un prefabbricato. Inoltre, il convenuto, in via riconvenzionale, aveva ottenuto in primo grado l’ordine di arretramento di una sopraelevazione realizzata dai ricorrenti sul loro garage, poiché non rispettava le distanze minime previste dal regolamento locale.

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione di primo grado, ritenendo che le aperture principali fossero da qualificarsi come luci (e non vedute) e che la presenza di un muro divisorio tra le proprietà impedisse comunque l’affaccio dall’apertura del prefabbricato, rendendo irrilevante la violazione della distanza. Anche l’ordine di arretramento della sopraelevazione era stato confermato.

La violazione delle distanze tra costruzioni secondo la Cassazione

I proprietari, insoddisfatti della sentenza d’appello, hanno presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse censure. La Suprema Corte ha accolto i motivi principali, ribaltando la precedente decisione.

Il Principio sulla Veduta Illegale

Il primo punto cruciale analizzato dalla Corte riguarda la qualificazione di un’apertura come veduta. I giudici di legittimità hanno stabilito che la Corte d’Appello ha errato nel considerare la facoltà dei vicini di sopraelevare un muro divisorio come un motivo per non ordinare l’eliminazione di una finestra posta a distanza illegale. L’articolo 905 del Codice Civile, che regola le distanze tra costruzioni per l’apertura di vedute, non fa distinzioni: il divieto si applica a prescindere dal fatto che il fondo del vicino sia chiuso o meno. La semplice possibilità di affacciarsi su una proprietà altrui a una distanza inferiore a quella legale costituisce di per sé una violazione che deve essere sanata con la rimozione o la regolarizzazione dell’apertura.

L’Obbligo del Giudice di Pronunciarsi

Il secondo motivo accolto riguarda un vizio procedurale: l’omessa pronuncia. I ricorrenti si erano lamentati del fatto che la Corte d’Appello non avesse deciso sulla loro specifica richiesta di ordinare la regolarizzazione delle aperture qualificate come ‘luci’, nel caso in cui non fossero state ritenute ‘vedute’. La Cassazione ha rilevato una contraddizione nella sentenza impugnata: pur dando atto dell’esistenza della richiesta, i giudici d’appello avevano poi affermato che i ricorrenti non avevano contestato la conformità delle luci ai parametri di legge. Questa contraddizione si traduce in un’omessa pronuncia, poiché il giudice ha l’obbligo di esaminare e decidere su ogni singola domanda formulata dalle parti.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, delineando principi di diritto chiari. In primo luogo, la tutela offerta dall’art. 905 c.c. è assoluta e mira a proteggere la privacy e la sicurezza del vicino, indipendentemente dalla presenza di barriere fisiche che potrebbero essere rimosse o modificate. La potenzialità dell’affaccio è sufficiente a integrare la violazione. In secondo luogo, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) è cardine del processo civile. Un giudice non può ignorare una domanda subordinata (come quella di regolarizzare le luci) solo perché rigetta quella principale (la qualificazione come veduta). Deve analizzare e decidere nel merito anche su quella.

Le Conclusioni

La decisione in esame ribadisce l’importanza del rigoroso rispetto delle normative sulle distanze tra costruzioni. Per i proprietari, ciò significa che non è possibile aprire vedute a distanza inferiore a quella legale confidando nella presenza di muri o altri ostacoli. Per i legali, sottolinea la necessità di formulare domande chiare e, se necessario, subordinate, e di vigilare affinché il giudice si pronunci su tutte. Il caso torna ora alla Corte d’Appello, che dovrà attenersi a questi principi per emettere una nuova decisione, riconsiderando anche la ripartizione delle spese legali dell’intero giudizio.

La presenza di un muro divisorio impedisce di chiedere la rimozione di una veduta aperta a distanza illegale?
No, la legge vieta l’apertura di vedute a distanza non conforme a prescindere dal fatto che il fondo vicino sia chiuso o meno. La semplice possibilità di affaccio è sufficiente a integrare la violazione.

Se un giudice qualifica delle aperture come ‘luci’, è tenuto a pronunciarsi anche sulla richiesta di regolarizzarle?
Sì, il giudice commette un errore di ‘omessa pronuncia’ se non decide su una specifica domanda della parte, come quella di ordinare la regolarizzazione delle luci che non rispettano i requisiti di legge.

Il rispetto delle norme edilizie comunali sana una violazione delle distanze del Codice Civile tra vicini?
No, il rispetto delle distanze legali tra proprietà private è un principio autonomo. La regolarità urbanistica di un’opera non esclude che essa possa violare le norme del Codice Civile sulle distanze, e viceversa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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