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Distanze tra costruzioni: la Cassazione decide

Il caso riguarda una controversia sulla violazione delle distanze tra costruzioni a seguito di una sopraelevazione. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che la distanza minima di 10 metri prevista dal D.M. 1444/1968 è una norma imperativa che si applica automaticamente, sostituendo le normative locali, non appena un comune ha provveduto alla zonizzazione del territorio, anche se il piano urbanistico è solo adottato e non ancora approvato in via definitiva.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Distanze tra costruzioni: quando la normativa nazionale prevale su quella locale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia edilizia: il rispetto delle distanze tra costruzioni. La questione, centrale in innumerevoli contenziosi tra vicini, riguarda l’applicabilità della normativa nazionale, in particolare del D.M. 1444/1968, e la sua prevalenza sulle disposizioni urbanistiche locali. La Suprema Corte chiarisce che la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate è inderogabile non appena il Comune abbia avviato un processo di pianificazione del territorio, anche se non ancora concluso.

I Fatti del Caso: Una Sopraelevazione Contesa

La vicenda ha origine da una causa avviata nel 1999. Un proprietario citava in giudizio il vicino, lamentando che quest’ultimo avesse realizzato una sopraelevazione del proprio fabbricato violando le distanze minime previste dal Piano Regolatore Generale (P.R.G.) comunale adottato nel 1990. Il proprietario chiedeva quindi la demolizione di quanto costruito illegittimamente.

In primo grado, il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che l’immobile ricadesse in una zona agricola secondo un vecchio Piano di Fabbricazione del 1977, non soggetto alla regola dei dieci metri. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado, basandosi su una nuova consulenza tecnica, stabilivano che al momento della costruzione (iniziata dopo il 1997), erano già operative le misure di salvaguardia di un nuovo P.R.G. adottato nel 1997. Questo nuovo piano classificava l’area come ‘residenziale satura’, rendendo obbligatoria l’applicazione della distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate, come stabilito dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968. Di conseguenza, l’erede del costruttore originale veniva condannato all’arretramento dell’opera.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’erede del costruttore proponeva ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:
1. Errata applicazione della legge: La Corte d’Appello avrebbe individuato erroneamente la normativa urbanistica vigente all’epoca dei fatti, non considerando che il P.R.G. del 1997 era stato solo adottato ma mai approvato definitivamente.
2. Omesso esame di un fatto decisivo: I giudici non avrebbero considerato adeguatamente alcuni certificati di destinazione urbanistica, in particolare uno del 2018 che classificava l’area come ‘zona bianca’ (priva di pianificazione), dove la costruzione sarebbe stata legittima.
3. Violazione di legge: Si sosteneva l’errata mancata applicazione di una norma di interpretazione autentica introdotta dalla Legge n. 55/2019 (‘Decreto Sblocca Cantieri’), che a dire del ricorrente avrebbe reso inapplicabile la regola dei dieci metri al caso specifico.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo importanti chiarimenti sull’applicazione delle norme in materia di distanze tra costruzioni.

L’automatica applicabilità delle distanze legali

Sul primo motivo, la Corte ha riaffermato il principio iura novit curia, secondo cui il giudice ha il dovere di individuare e applicare la norma giuridica corretta, indipendentemente da quanto indicato dalle parti. La Cassazione ha spiegato che le prescrizioni dei piani regolatori in materia di distanze sono integrative del Codice Civile e hanno valore di norme giuridiche.

Il punto cruciale della decisione è che le distanze minime previste dall’art. 9 del D.M. 1444/1968 diventano operative e inderogabili nel momento in cui un Comune procede alla divisione del proprio territorio in zone omogenee. Questo presupposto si considera verificato anche con la semplice adozione di uno strumento urbanistico (come il P.R.G. del 1997), senza che sia necessaria la sua approvazione definitiva. Una volta che esiste una zonizzazione, la norma nazionale (D.M. 1444/1968) si inserisce automaticamente nello strumento locale, sostituendo qualsiasi disposizione contraria o meno restrittiva. Pertanto, la conclusione della Corte d’Appello era giuridicamente corretta.

L’inammissibilità della censura sui documenti

Il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha sottolineato che il vizio di ‘omesso esame di un fatto’ riguarda fatti storici principali o secondari, non documenti. Nel caso di specie, il ricorrente si doleva di una presunta errata interpretazione dei certificati urbanistici, che costituisce una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità. La Corte d’Appello aveva comunque considerato la situazione, basando la propria decisione sulla perizia tecnica, e la sua valutazione non poteva essere riesaminata.

L’ambito di applicazione del ‘Decreto Sblocca Cantieri’

Infine, anche il terzo motivo è stato respinto. La Corte ha chiarito che l’interpretazione autentica dell’art. 9 del D.M. 1444/1968, fornita dall’art. 5 della Legge n. 55/2019, si applica esclusivamente ai fabbricati situati in ‘zona C’ (zone di nuova espansione). Poiché l’immobile oggetto della controversia non ricadeva in tale zona, la norma invocata non era pertinente al caso.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza pratica. La regola della distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti non è un mero dettaglio tecnico, ma un principio posto a tutela della salubrità e della qualità dell’abitare. La Corte di Cassazione conferma che tale regola ha carattere imperativo e prevale sulla normativa locale non appena l’ente comunale abbia definito una zonizzazione del territorio. I costruttori e i proprietari devono quindi essere consapevoli che, anche in presenza di piani urbanistici non ancora definitivi, le norme nazionali sulle distanze sono pienamente efficaci e la loro violazione può comportare la condanna alla demolizione o all’arretramento dell’opera.

Quando si applica la distanza minima di 10 metri tra fabbricati prevista dal D.M. 1444/1968?
La distanza minima di 10 metri si applica non appena un Comune ha proceduto alla pianificazione del proprio territorio, individuando le zone territoriali omogenee. È sufficiente la mera adozione di uno strumento urbanistico (come un Piano Regolatore Generale), anche se non ancora approvato in via definitiva.

Una norma di un regolamento edilizio comunale che prevede distanze inferiori a quelle del D.M. 1444/1968 è valida?
No. Una volta che il Comune ha effettuato la zonizzazione, le prescrizioni del D.M. 1444/1968 si inseriscono automaticamente e in via sostitutiva nella normativa locale, rendendo illegittime e disapplicabili eventuali disposizioni che prevedano distanze inferiori.

La norma del ‘Decreto Sblocca Cantieri’ (L. 55/2019) che interpreta l’art. 9 del D.M. 1444/1968 si applica a tutti i tipi di zone territoriali?
No. La sentenza chiarisce che l’interpretazione autentica fornita dalla Legge n. 55/2019 riguarda esclusivamente i fabbricati ricadenti in ‘zona C’, ovvero le zone destinate a nuova espansione, e non si estende ad altre zone, come quelle residenziali sature (zona B1) del caso in esame.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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