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Distanze tra costruzioni: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un costruttore, confermando la condanna alla demolizione di porzioni di un edificio realizzate in violazione delle distanze tra costruzioni. La sentenza ribadisce che le norme nazionali sulle distanze minime prevalgono sui regolamenti locali e non possono essere derogate. La Corte ha inoltre chiarito che, in sede di legittimità, non possono essere presi in esame nuovi documenti volti a dimostrare la carenza di interesse della controparte, specialmente se non ammessi da tutte le parti. Infine, è stato sottolineato come il giudice di rinvio sia vincolato ai principi di diritto enunciati dalla Cassazione e non possa riaprire l’accertamento dei fatti.

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Distanze tra costruzioni: la Cassazione ribadisce la rigidità delle norme

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato una complessa e annosa vicenda giudiziaria in materia di distanze tra costruzioni, riaffermando principi fondamentali sull’inderogabilità delle norme nazionali e sui limiti del processo civile. La decisione offre spunti cruciali per proprietari, costruttori e professionisti del settore immobiliare, chiarendo i confini tra regolamenti locali e legislazione statale.

I Fatti di Causa

La controversia ha origine nel lontano 1986, quando i proprietari di un immobile avviano un’azione legale contro i vicini, lamentando danni strutturali causati da lavori di sbancamento per la costruzione di un nuovo edificio. La disputa, inizialmente focalizzata sulla stabilità degli immobili, si è rapidamente evoluta in una questione relativa alla violazione delle distanze tra costruzioni.

Il Tribunale, in prima istanza, aveva ordinato opere di consolidamento ma rigettato la domanda di demolizione. La Corte d’Appello, in un primo momento, confermò tale decisione, ritenendo che le norme sulle distanze non fossero applicabili nel caso specifico. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con una prima sentenza, cassò la decisione d’appello, enunciando principi di diritto fondamentali: le norme regolamentari sulle distanze tutelano l’assetto urbanistico e si applicano a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino, e il D.M. 1444/1968 ha efficacia di legge e prevale sui regolamenti locali contrastanti.

A seguito di tale annullamento, la Corte d’Appello, in sede di rinvio, si adeguò ai principi della Cassazione e condannò i costruttori e i successivi acquirenti degli appartamenti alla demolizione delle parti dell’edificio costruite a una distanza inferiore a 5 metri dal confine e 10 metri dalla parete dell’edificio vicino.

Contro quest’ultima sentenza, i costruttori hanno proposto un nuovo ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte sulle distanze tra costruzioni

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando in via definitiva la sentenza d’appello che ordinava la demolizione. I giudici hanno esaminato e respinto i due motivi principali sollevati dai ricorrenti.

Il primo motivo si basava su due argomenti: primo, che lo spazio tra i due edifici costituiva una “chiostrina” non accessibile a terzi, e che quindi non vi fosse violazione; secondo, che i vicini avrebbero perso la titolarità ad agire a causa di un’ordinanza di demolizione (poi convertita in sanzione pecuniaria) emessa dal Comune sul loro stesso immobile.

Il secondo motivo di ricorso lamentava un’errata interpretazione delle norme e un mancato accertamento istruttorio, sostenendo che il giudice di rinvio avrebbe dovuto disporre una nuova perizia.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha smontato le argomentazioni dei ricorrenti con un ragionamento giuridico rigoroso.

In merito al primo motivo, i giudici hanno chiarito che la questione della “chiostrina” non poteva superare la regola generale imposta dal D.M. n. 1444 del 1968. Tale decreto, avendo forza di legge, impone una distanza minima inderogabile di dieci metri tra pareti finestrate, e i regolamenti locali possono solo prevedere distanze maggiori, mai inferiori. La finalità della norma non è solo evitare la formazione di intercapedini insalubri, ma anche tutelare l’assetto urbanistico generale. Pertanto, la natura dello spazio intermedio è irrilevante.

Riguardo alla presunta perdita di titolarità degli attori, la Corte ha dichiarato inammissibile la produzione di nuovi documenti (come le ordinanze comunali) in sede di legittimità. Tali documenti possono essere ammessi solo se riguardano l’ammissibilità del ricorso stesso o se dimostrano la cessazione della materia del contendere, a condizione però che ciò sia riconosciuto da tutte le parti in causa. In questo caso, i controricorrenti avevano contestato la rilevanza di tali atti, impedendone l’esame. La questione, secondo la Corte, potrà eventualmente essere sollevata in sede di esecuzione della sentenza.

Infine, respingendo il secondo motivo, la Corte ha ricordato la natura del giudizio di rinvio. Quando la Cassazione annulla una sentenza per violazione di legge, come in questo caso, il giudice del rinvio ha il solo compito di conformarsi al principio di diritto enunciato, senza poter modificare l’accertamento dei fatti già acquisiti al processo. Non era quindi possibile né necessario disporre una nuova perizia, essendo il quadro fattuale già cristallizzato e la questione puramente giuridica.

Le Conclusioni

La sentenza consolida alcuni capisaldi in materia di diritto immobiliare e processuale. In primo luogo, viene riaffermata la supremazia della normativa statale in tema di distanze tra costruzioni, che non ammette deroghe da parte dei regolamenti edilizi comunali. In secondo luogo, vengono tracciati confini netti riguardo ai poteri del giudice di legittimità e del giudice di rinvio, a garanzia della certezza del diritto e della ragionevole durata del processo. Per i cittadini e le imprese, il messaggio è chiaro: il rispetto delle distanze legali è un obbligo non negoziabile, la cui violazione porta a conseguenze severe come la demolizione, anche a distanza di decenni.

Un regolamento edilizio comunale può prevedere distanze tra edifici inferiori a quelle stabilite dalla legge nazionale (D.M. 1444/1968)?
No. La sentenza ribadisce che il D.M. 1444/1968 ha efficacia di legge e le sue disposizioni sui limiti inderogabili di distanza tra i fabbricati prevalgono su eventuali previsioni contrastanti dei regolamenti locali. Questi ultimi possono solo stabilire distanze maggiori, mai inferiori.

È possibile presentare nuovi documenti per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione per dimostrare che la controparte non ha più interesse nella causa?
Di norma, no. Il deposito di nuovi documenti nel giudizio di legittimità è ammesso solo in casi eccezionali, come per questioni di ammissibilità del ricorso o per provare la cessazione della materia del contendere. Tuttavia, in quest’ultimo caso, è necessario che il fatto sopravvenuto sia riconosciuto e ammesso da tutte le parti del processo, altrimenti i documenti non possono essere presi in considerazione.

Il giudice a cui la Cassazione rinvia la causa può ordinare nuove perizie o rivalutare i fatti già accertati?
Dipende dal motivo dell’annullamento. Se la sentenza è stata annullata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, come nel caso di specie, il giudice di rinvio deve limitarsi ad applicare il principio di diritto enunciato dalla Cassazione alla situazione di fatto già accertata, senza poterla modificare o riesaminare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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