Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11504 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 11504 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 30841/2019 R.G. proposto da:
NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
avverso la sentenza n. 3967/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 21/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
udito il P.G. dr. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento de l ricorso; udito l’ avv. NOME COGNOME per le ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME nuda proprietaria al 50% di un fondo sito in Forio d’Ischia, convenne in giudizio NOME COGNOME proprietario del confinante terreno.
Affermò che costui aveva edificato un nuovo fabbricato a distanza inferiore a 3 metri dalla finestra da cui la stessa esercitava il diritto di veduta, che aveva piantato un albero a distanza inferiore a 1,50 metri dal confine della proprietà attorea e che le aveva impedito di accedere al fondo di sua proprietà per i necessari lavori di manutenzione sul fabbricato. Conseguentemente domandò al Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, di adottare le statuizioni del caso.
NOME COGNOME si costituì in giudizio, rilevando come la finestra avesse natura di luce irregolare e spiegando domanda riconvenzionale per la regolarizzazione della stessa, nonché per l’eliminazione di un parapetto da cui le controparti esercitavano una veduta illegittima e per l’arretramento a distanza regolamentare di una nuova costruzione, consistente in una stanza con terrazzo e tettoia. Si costituì anche NOME COGNOME, nuda proprietaria della restante quota dell’immobile attoreo, chiamata in causa su richiesta del Matarese.
Il Giudice adito, in esito ad una C.T.U., rigettò le domande principali ed accolse quella riconvenzionale per quanto qui di interesse.
NOME COGNOME e NOME COGNOME proposero gravame, esponendo di aver eccepito in primo grado l’usucapione del diritto di veduta dalla finestra e contestando la titolarità, in capo al Matarese, della proprietà del giardino su cui detta apertura insisteva. Nella resistenza della controparte, con sentenza n. 3967 del 21 agosto 2018, la Corte d’Appello di Napoli rigettò l’originaria domanda
riconvenzionale di arretramento del parapetto, confermando nel resto la pronuncia impugnata.
Sostenne la Corte partenopea che l’apertura oggetto di contrasto costituisse una luce e non una veduta, evidenziando come l’altezza del parapetto non consentisse l’ inspicere ed il prospicere nel fondo del vicino, secondo la valutazione del Tribunale, non specificamente impugnata, tanto da far ritenere maturato un giudicato interno. Invece, il primo giudice avrebbe assiomaticamente ritenuto che il parapetto posto a delimitazione della scala di proprietà delle appellanti costituisse una veduta, laddove in realtà il manufatto non era destinato all’affaccio, assolvendo unicamente una funzione divisoria. Aggiunse la sentenza impugnata che parte attrice non aveva tempestivamente eccepito l’usucapione del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale, trattandosi di un’eccezione in senso stretto.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione, sulla scorta di otto motivi. NOME COGNOME è rimasto intimato.
In prossimità dell’udienza pubblica, le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., le ricorrenti denunciano la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 81 c.p.c. e 24 Cost. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente qualificato la contestazione della titolarità del diritto di proprietà del giardino su cui si proietta l’apertura delle ricorrenti come nuova eccezione, violativa dell’art. 345, comma 2° c.p.c. Per converso, stante l’attinenza dell’eccezione alla carenza di legittimazione ad agire del Matarese, la stessa sarebbe stata rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, nonché d’ufficio dal giudice.
Il motivo è fondato.
Va premesso che nel processo opera il principio secondo cui la qualità di parte legittimata a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta a chi abbia
assunto la veste di parte nel giudizio di merito conclusosi con la decisione impugnata, indipendentemente dalla effettiva titolarità (dal lato attivo o passivo) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio (Sez. 6-1, n. 17234 del 29 luglio 2014).
In ogni caso, l’eccezione è stata esaminata nel merito dalla Corte territoriale, coerentemente con l’indirizzo per il quale la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda (Sez. U., n. 2951 del 16 febbraio 2016; Sez. 6-3, n. 22525 del 24 settembre 2018).
Orbene, la sentenza impugnata ha affermato ‘ Con l’atto di appello, le attrici hanno contestato per la prima volta che il Matarese non è proprietario del giardino sul quale prospetta l’apertura; si tratta di una nuova eccezione, non consentita in fase di impugnazione ai sensi dell’art. 345 comma 2 c.p.c., e comunque indimostrata, non essendo utilizzabile il certificato catastale prodotto solo con l’atto di appello, in violazione del divieto di produzione di nuovi documenti sancito dal comma 3 della richiamata disposizione normativa. Peraltro, il titolo di proprietà del Matarese non suffraga la tesi difensiva, mentre l’accertamento del CTU avvalora che l’apertura affaccia su area di proprietà Matarese, così come del resto ha prospettato la stessa attrice con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado’ .
A fronte delle suddette considerazioni, le ricorrenti oppongono, a ragione, la rilevabilità anche officiosa dell’eccezione, e contestano la legittimazione sostanziale del Matarese, richiamandosi ‘ allo stesso atto del notaio NOME COGNOME già presente nel fascicolo di primo grado – doc. 5. Nella elencazione dei beni acquistati non vi è alcun riferimento alla particella n. 476 che identifica, per l’appunto, il giardino. Questo è un dato documentale, non scalfito affatto dalla relazione del CTU -doc. 6, il quale si limita a riprodurre la parte di rogito notarile senza la detta particella ‘. Ed effettivamente, un accesso agli atti da parte di questa Corte, consentito dalla natura processuale della doglianza (Sez. 2, n. 20716 del 13 agosto 2018; Sez. 1, n. 16164 del 30 luglio 2015), ha dimostrato la veridicità di quanto affermato dalla COGNOME e dalla COGNOME.
Pertanto, in sede di rinvio, il giudice adito dovrà riesaminare gli atti, alla luce dei principi indicati.
Attraverso la seconda censura, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., le ricorrenti lamentano la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 892, comma 1°, n. 2 e penultimo comma c.c. Attesa la distanza di 1,40 metri intercorrente tra il centro del tronco della pianta e il confine, accertata dal C.T.U., il Giudice a quo avrebbe erroneamente presunto che la parte esterna del tronco si trovasse a distanza superiore a 1,50 metri dal confine, incorrendo nel vizio di omessa e contraddittoria motivazione.
Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata afferma: ‘ Sul punto, osserva il Collegio che se è vero che, ai sensi dell’art. 892 comma 2° c.c., la misura deve essere effettuata dalla linea di confine alla base esterna del tronco dell’albero al tempo della piantagione (oppure dalla linea di confine al luogo della semina), e che nella specie il CTU ha misurato la distanza dal centro del tronco della pianta di limone in m. 1,40, è altresì vero che, alla stregua di tale accertamento, appare fondato presumere che la distanza dalla base esterna sia maggiore e rispetti quella minima di m. 1,50 ‘.
L’assunto della Corte d’appello non può essere condiviso.
Per un verso, in materia di distanze in cui il codice civile e le varie norme di settore fissano limiti precisi, non v’è spazio per ragionare secondo presunzioni, tanto più che l’unica misura oggettiva in atti (quella del consulente tecnico) attestava una violazione.
Per altro verso, va considerato che il concetto di “fusto” richiamato dal n. 1 dell’art. 892 c.c. comprende il tronco vero e proprio (da terra alla prima imbracatura) e le branche principali che se ne diramano, fin dove esse si diffondono in rami, dando chioma alla pianta (Sez. 2, n. 26130 del 30 dicembre 2015). Ed allora, anche da un punto di vista empirico, appare impossibile che la base esterna del tronco sia più lontana dal confine rispetto al centro del tronco medesimo.
In definitiva, la motivazione sul punto, da un lato, viola il principio di diritto posto dall’art. 892 comma 1 n. 2) c.c. e, dall’altro, risulta illogica e contraddittoria.
Con il terzo motivo, subordinato al secondo e proposto ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132 n. 4 c.p.c. e 892, comma 1°, n. 2 e penultimo comma c.c., le ricorrenti lamentano l’illogicità della motivazione in quanto fondata su presunzioni soggettive in contrasto con le risultanze numeriche della c.t.u.
Il mezzo resta assorbito dall’accoglimento del precedente.
Con il quarto, articolato motivo, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 873 c.c. La Corte territoriale, nel confermare la condanna delle ricorrenti alla demolizione della stanza, della tettoia e del terrazzo, avrebbe disatteso la c.t.u. e le domande di demolizione avanzate dalle appellanti, senza motivare adeguatamente sul punto o disporre una rinnovazione della consulenza d’ufficio. Di talché, il Giudice di secondo grado avrebbe erroneamente ritenuto applicabile al caso di specie la distanza di 3 metri prescritta dall’art. 873 c.c., omettendo di considerare che le proprietà sono in aderenza tra loro. La contestazione della normativa sulle distanze, se esaminata, avrebbe aperto la strada allo scrutinio dell’eccezione di usucapione.
Attraverso il quinto motivo, subordinato al quarto e articolato in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., si censura la gravata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 873 c.c. La Corte d’Appello avrebbe illegittimamente ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 873 c.c., sull’errato presupposto che la misura di 3 metri dal confine riguardi la distanza tra una costruzione e il fondo limitrofo e non la distanza tra costruzioni su fondi confinanti.
I suddetti motivi sono fondati.
La Corte d’appello ha riproposto l’assunto del Tribunale circa ‘l’accertamento che tali opere violano la distanza minima dalla linea confinaria’, mancando sostanzialmente di motivare sul rilievo dell’interposta censura circa le modalità di calcolo delle distanze. Motivazione tanto più necessaria, considerato che la
valutazione della doglianza rivestiva affetti decisivi, sia alla luce del tenore delle risultanze della CTU, le quali, siccome riportate alla pag. 10 del ricorso, fanno riferimento alla demolizione della tettoia e non della stanza e terrazzo, sia del rilievo della possibile aderenza dei due fabbricati in considerazione della collocazione delle scale di accesso alle proprietà delle COGNOME/COGNOME – e della stanza posta sotto la scala esterna – divise da quelle del Matarese dal medesimo parapetto che funge da muro di confine.
Sul punto va rimarcato che, in tema di distanze legali tra edifici, costituisce volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione, solo il manufatto privo di autonomia funzionale, anche potenziale, perché destinato a contenere impianti serventi di un edificio principale, per esigenze tecnico strutturali dell’abitazione, che non possono essere ubicati nello stesso (Sez. 2, n. 7673 del 21 marzo 2024; Sez. 2, n. 30708 del 27 novembre 2018). Pertanto, non rientra in tale nozione il vano scale, il quale è parte integrante del fabbricato, presentando connotati di consistenza e stabilità, idonei ad attribuirgli natura di opera edilizia.
La Corte d’appello avrebbe pertanto dovuto verificare -tenendo presente il concetto di costruzione -se si trattava di costruzioni in aderenza, e se comunque nella situazione concreta potesse trovare applicazione l’art. 873 c.c., che prevede distacchi tra costruzioni e non dai confini.
Col sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., si censura l’impugnata sentenza in relazione all’art. 116 c.p.c. e alle risultanze della C.T.U. La Corte territoriale si sarebbe discostata dalle risultanze del consulente d’ufficio, omettendo di motivare adeguatamente sul punto o di disporre una rinnovazione della perizia.
Il motivo resta assorbito dall’accoglimento dei precedenti.
Con la settima censura, articolata in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 345 c.p.c., 116 c.p.c. e 1158 c.c. Il Giudice di secondo grado avrebbe errato nel ritenere tardiva, in quanto proposta per la prima volta in appello, l’eccezione di usucapione del diritto a mantenere la camera con terrazzo e tettoia a distanza inferiore a quella legale. Tale
statuizione si porrebbe in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che, in tema di diritti autodeterminati, ammette la deduzione per la prima volta in appello di un titolo di acquisto della proprietà diverso da quello su cui, in primo grado, la medesima parte fondava la domanda. Inoltre, stante l’acquisto del bene in capo alle ricorrenti nello stato in cui si trova attualmente, le stesse avrebbero usucapito il diritto di mantenere la costruzione ai sensi dell’art. 1158 c.c.
Si tratta di una censura infondata.
La Corte d’appello ha respinto l’eccezione di usucapione, rilevando come la stessa ‘eccezione in senso proprio’ soggiacesse al regime di decadenze e preclusioni previste dal codice di rito (pagg. 10-11).
Va premesso che è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva (Sez. 2, n. 25843 del 5 settembre 2023).
La relativa eccezione deve, peraltro, essere sollevata nel termine utile secondo il codice di rito, prima che maturino le preclusioni processuali, trattandosi di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio e non proponibile per la prima volta in grado di appello (Sez. 2, n. 18322 del 27 giugno 2023; Sez. 2, n. 6009 del 4 marzo 2020; Sez. 2, n. 10206 del 19 maggio 2015).
La decisione della Corte territoriale sul punto è dunque in linea con il pacifico orientamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte.
Attraverso l’ottavo motivo, subordinato al settimo e articolato in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., si denuncia la violazione degli artt. 345 c.p.c., 116 c.p.c. e 1159 c.c. Le ricorrenti espongono che, pur facendo decorrere l’esercizio del possesso dell’immobile dall’atto di compravendita, la COGNOME avrebbe usucapito il diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale, non ai sensi dell’art. 1158 c.c., bensì a norma del successivo art. 1159 c.c.
La suddetta censura, una volta rigettata la precedente, finisce per essere carente di interesse.
In definitiva, va disposta la cassazione della sentenza impugnata ed il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, dovrà procedere ad una nuova valutazione degli elementi probatori, alla luce dei principi sopra enunciati.
Il giudice del rinvio provvederà altresì in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, rigetta il settimo e l’ ottavo motivo del ricorso, accoglie il primo, il secondo, il quarto ed il quinto motivo, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 17 aprile 2025, nella pubblica udienza della 2 Sezione