Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12926 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 12926 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31384/2021 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata;
-ricorrente –
contro
COGNOME E COGNOME, rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. NOME COGNOME e C. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO sono elettivamente domiciliati; -controricorrenti-ricorrenti incidentali –
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
-intimati –
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n. 3469 del 15/4/2019, pubblicata il 24/5/2019 e non notificata; udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 17/4/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le memorie depositate da entrambe le parti;
sentite le parti presenti.
Fatti di causa
Con sentenza n. 5300/2005, il Tribunale di Roma rigettò tutte le domande proposte dagli attori COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME e NOME, aventi ad oggetto la condanna dei predetti alla demolizione delle opere da essi poste in essere in violazione delle norme civili e amministrative sull’immobile adiacente al proprio e consistite nella realizzazione di un piano attico, previo smantellamento della preesistente struttura, e nell’allargamento di una pensilina al primo piano.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 5272/2010 accolse parzialmente l’appello proposto dalla sola COGNOME NOME e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accertò l’illegittimità dell’ampliamento dell’attuale ultimo piano e della realizzazione della pensilina dell’immobile degli appellati, COGNOME NOME e NOMECOGNOME e li condannò, in solido, al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento delle spese processuali del grado nella misura di due terzi.
Avverso tale sentenza, COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME proposero ricorso per cassazione, all’esito del quale questa Corte emise la sentenza n. 82/17, depositata il 4/1/2017, con la quale accolse i primi quattro motivi del ricorso
principale, dichiarò assorbiti i restanti e il ricorso incidentale, cassò la sentenza impugnata e rinviò alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
COGNOME NOME COGNOME NOME Silvio e COGNOME NOME riassunsero il giudizio di rinvio con atto di citazione notificato il 2021/3/2017 e il 28/4/2017, chiedendo la condanna degli appellati Gallo alla demolizione di tutte le opere realizzate in violazione delle distanze e di quelle comportanti un grave danno, ovvero, in difetto, al versamento della somma necessaria all’esecuzione della richiesta demolizione.
Nel giudizio di rinvio, si costituirono anche COGNOME NOME e COGNOME NOME, concludendo per il rigetto dell’avversa domanda.
Con sentenza n. 3469/2019, pubblicata il 24/5/2019, la Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma dell’impugnata sentenza del Tribunale, condannò NOME e NOME alla riduzione in pristino della sola pensilina ubicata nel cortile interno dell’immobile oggetto di causa e confermò per il resto la pronuncia.
Per quanto qui rileva, i giudici di merito, tenuto conto della decisione di legittimità, ritennero che dovesse essere esaminata la sola domanda di riduzione in pristino della pensilina e della sopraelevazione e decisero nel senso che solo la prima, sulla quale i Gallo non avevano proposto impugnazione, andasse considerata come nuova costruzione e andasse arretrata, siccome realizzata a ridosso della finestra degli appellanti, ma non anche la seconda, per la realizzazione delle quale non risultavano chieste autorizzazioni, in quanto non risultava violata la norma sulle distanze di mt. 3 dal corpo di fabbrica dei INDIRIZZO e in quanto non erano imposte, dai regolamenti locali, distanze dai confini, sicché poteva essere riconosciuto il solo risarcimento del danno per la modifica in altezza e in larghezza della costruzione, la cui condanna
generica era stata pronunciata dalla Corte d’Appello con la sentenza n. 5272/2010. Ritennero inoltre inammissibili le prove orali dedotte e non necessario un supplemento di c.t.u..
Avverso questa sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. COGNOME NOME e COGNOME NOME resistono con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale, affidato a un solo motivo, contrastato, a sua volta, dal controricorso dalla ricorrente principale, mentre COGNOME NOME NOME e COGNOME NOME NOME sono rimasti intimati.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., con riferimento alla mancata applicazione dei principi giuridici sanciti dalla Suprema Corte in sentenza. Infatti, a fronte della decisione di questa Corte, che aveva affermato l’inapplicabilità – alle azioni tese a far valere un diritto reale dell’art. 2058 cod. civ., che prevede la possibilità di risarcimento del danno per equivalente in luogo della reintegrazione in forma specifica in caso di eccessiva onerosità, esigendo la relativa tutela la rimozione del fatto lesivo, i giudici di merito avevano esaminato la domanda di riduzione in pristino e accertato i presupposti per il suo accoglimento, sebbene detta decisione avrebbe loro imposto di non esaminare i fatti impliciti nel principio di diritto affermato, ma soltanto di applicare il principio stesso della tutela dei diritti reali.
Con il secondo motivo di ricorso principale, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di
individuare i manufatti oggetto del contenzioso (costituiti dalla realizzazione sul confine di strutture portanti della nuova copertura), rendendo una motivazione contraddittoria anche con riguardo alla sentenza di primo grado. Ad avviso dei ricorrenti, infatti, la Corte d’Appello si era appiattita sulle conclusioni del c.t.u. circa l’assenza di manufatti sul confine, nonostante i Gallo non avessero contestato la sussistenza, in quel punto, di travi e pilastri; aveva ritenuto che il corpo di fabbrica dei COGNOME distasse oltre tre metri dal confine; aveva omesso di spiegare quale fosse l’esatta contestazione relativa ai due archi lignei ivi rinvenuti e aveva escluso che la costruzione dei COGNOME fosse avanzata sul confine, pur dichiarando di condividere la valutazione del giudice di primo grado che aveva detto invece tutt’altro.
Con il terzo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 874, 875 e 877 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano affermato che l’art. 873 cod. civ. prescriveva unicamente il rispetto delle distanze tra costruzioni e non tra confini, imposto invece dagli strumenti urbanistici locali, senza considerare che la doglianza aveva riguardato le prescrizioni di cui al combinato disposto degli artt. 873, 874, 875 e 877 cod. civ., in virtù dei quali le due costruzioni avrebbero dovuto essere o aderenti o in appoggio oppure distanti oltre tre metri, e che tali disposizioni avrebbero dovuto essere applicate al caso di specie, insistendo la costruzione in zona A e non prevendo i regolamenti edilizi distanze maggiori. Ad avviso della ricorrente, colui che avanza la propria costruzione deve arretrarla della metà qualora il prevenuto non possa a sua volta avanzare la propria costruzione sul confine.
4.1 I primi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente in ragione della stretta connessione, trattando tutti la questione
dell’omessa condanna dei controricorrenti alla riduzione in pristino relativamente alla sopraelevazione realizzata in violazione delle distanze, ora affrontata in termini di violazione del principio di diritto affermato da questa Corte nel giudizio rescindente, ora di violazione delle norme sulle distanze, ora di omessa individuazione dei manufatti, sono fondati.
4.2 Al riguardo, va premesso che questa Corte, con la sentenza n. 82 del 4/1/2017, aveva accolto i primi quattro motivi del ricorso principale proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, affermando che con i primi due motivi era stato denunciato il vizio di omessa pronuncia in relazione alle richieste di riduzione in pristino, che questo, in realtà, era «caudatario della premessa di ordine generale contenuta nell’impugnata decisione, secondo cui “il disposto della prima parte del secondo comma dell’art. 872 cod. civ. appare come norma speciale rispetto all’art. 2058 cod. civ.”», e che tale affermazione non era «conforme all’orientamento di questa Corte, secondo cui l’art. 2058, secondo comma, cod. civ., il quale prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anziché la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest’ultima, non trova applicazione alle azioni intese a far valere un diritto reale, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come nel caso della domanda di riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso (Cass., 17 febbraio 2012, n. 2359; Cass., 10 agosto 2003, n. 11744)», con la conseguenza che il sostanziale rigetto della domanda di riduzione in pristino non era conforme a diritto. Pertanto, in applicazione del principio della tutela ripristinatoria in caso di violazione delle distanze, affermato da questa Corte, il giudice di rinvio aveva il dovere innanzitutto di individuare con esattezza le opere realizzate e quindi, in ottemperanza al principio iura novit curia applicabile in tema di distanze, di individuare
correttamente la normativa dettata in materia per le zone A, ove si trova l’immobile in questione, secondo quanto accertato nella fase di merito (si veda sul punto sentenza d’appello, pg. 7).
4.3 La Corte d’Appello non ha, invece, ottemperato a tali incombenze, in quanto, dopo avere osservato che la richiesta di riduzione in pristino era stata formulata in modo generico, essendo stata richiesta l” immediata demolizione di tutte le opere che costituiscono violazione delle distanze prescritte dal codice civile e di tutte le altre che comportano grave danno ‘, ha ritenuto che le opere all’ultimo piano, site in zona A, non fossero state realizzate a distanza inferiore rispetto a quella prescritta dall’art. 873 cod. civ. rispetto al fabbricato dei Bertini, come accertato dal c.t.u., e che non fosse, dunque, possibile la riduzione in pristino stato, ma soltanto la tutela risarcitoria, essendo al contempo emerso un ampliamento non consentito in altezza e in larghezza.
4.4 In tal modo, i giudici d’appello si sono discostati dai principi costantemente affermati da ultimo da questa Corte in ordine alla corretta individuazione della disciplina applicabile in tema di distanze per gli edifici collocati in zona A), la quale va rinvenuta nell’art. 9, comma 1, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che – traendo la sua forza cogente dai commi 8 e 9 dell’art. 41 -quinquies legge 17 agosto 1942, n. 1150 – c.d. legge urbanistica -, aggiunto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e prescrivendo, per la ‘zona A’, quanto alle operazioni di risanamento conservativo ed alle eventuali ristrutturazioni, che le distanze tra gli edifici non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti , rappresenta una disciplina integrativa dell’art. 873 cod. civ., immediatamente idonea ad incidere sui rapporti interprivatistici, atteso che le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai
quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cass., Sez. U, 07/07/2011, n. 14953, Rv. 617949), o ne integrano le disposizioni in caso di mancata previsione delle distanze o in presenza di divieto assoluto di costruire (Cass., Sez. U, 07/07/2011, n. 14953, Rv. 617949).
Peraltro, come chiarito da Cass., Sez. 2, 15/7/2024, n. 19405, la sopraelevazione costituisce nuova costruzione soggetta ai limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati previsti dal comma 2 del ridetto art. 9, limiti che, come si è detto, prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica, e trovano applicazione anche con riferimento alle nuove costruzioni, quali devono considerarsi le sopraelevazioni effettuate nei centri storici ove, vigendo il generale divieto di nuove edificazioni, è previsto solo che le distanze tra gli edifici interessati da interventi di ristrutturazione e di risanamento conservativo non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i preesistenti volumi edificati (in questi termini, Cass., Sez. 2, 15/02/2018, n. 3739, Rv. 64780002).
In siffatte situazioni, il giudice di merito ha l’obbligo di dare attuazione alla disposizione integrativa dell’art. 873, mediante condanna all’arretramento di quanto successivamente edificato oltre i limiti, ove il costruttore sia stato proprietario di un preesistente volume edilizio, o all’integrale eliminazione della nuova edificazione, qualora invece non sussista alcun preesistente volume (Cass., Sez. 2, 23/01/2018, n. 1616, Rv. 647082-01. Negli stessi termini, Cass., Sez. 2, 19/1/2018, n. 1360, non massimata). Hanno, dunque errato i giudici di merito nell’affermare che il manufatto era stato edificato nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 873 cod. civ. in tema di distanze, non avendo considerato che il decreto 2 aprile 1968 n. 1444, dettato in tema di standards
urbanistici e di definizione delle zone territoriali omogenee «consente nelle zone A) – di carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale, come definite dall’art. 2 del citato decreto – esclusivamente interventi di risanamento conservativo senza incremento delle densità edilizia di zona e territoriale preesistenti (art. 7), prevedendo che le distanze fra gli edifici non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti (art. 9), sicché, essendo imposto un vincolo conformativo inerente alle caratteristiche intrinseche del territorio non temporaneo e, come tale, non caducabile -, il mancato rispetto del divieto di nuove costruzioni nella zona A non è privo di conseguenze sul piano della violazione delle disposizioni concernenti le distanze legali tra costruzioni, che devono rimanere quelle preesistenti (Cass., Sez. 2, 24/1/2006, n. 1282; Cass., Sez. U, 5/9/2013, n. 20354, non massimata), avendo la norma regolamentare efficacia precettiva nei rapporti privatistici, in quanto integrativa delle disposizioni dettate dall’art. 873 cod. civ. (in questi termini Cass., Sez. 2, 15/7/2016, n. 14552), sicché non possono trovare applicazione i criteri stabiliti dall’art. 873 cod. civ., né quelli di cui all’art. 17, primo comma, legge n. 765 del 1967 (in questi termini, anche Cass., Sez. 2, 26/7/2016, n. 15458).
In sostanza, il giudice di rinvio dovrà -previa esatta individuazione delle opere realizzate -attenersi ai principi sopra citati.
5. Con il quarto motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 872, secondo comma, e 2058 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché, a fronte della pronuncia di legittimità secondo cui l’art. 872 cod. civ. non costituisce norma speciale rispetto all’art. 2058 cod. civ., mentre il danneggiato da altrui opere edilizie può ricorrere a quest’ultima disposizione, il giudice del rinvio aveva evitato di prendere posizione, considerando in linea di principio
improponibile la richiesta di risarcimento in forma specifica, e aveva considerato ferma la condanna generica al risarcimento del danno, da quantificarsi in separato giudizio. Ad avviso della ricorrente, detto danno era già stato accertato e poteva essere liquidato in forma specifica, con condanna alla riduzione in pristino, senza bisogno di alcuna quantificazione, posto che la struttura portante della nuova copertura non poteva essere arretrata senza comportare il suo completo smantellamento.
Con il quinto motivo di ricorso principale, infine, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, pur avendo posto a base della decisione le considerazioni del c.t.u., avevano ritenuto non necessaria la sua riconvocazione, benché questi non avesse dato conto della presenza di pilastri e travi sul confine, ancorché oggetto di doglianza.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, si lamenta l’omessa pronuncia, da parte del giudice del rinvio, sulle questioni dichiarate assorbite dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 82/2017 e riproposte in sede di rinvio e, segnatamente, sulla causa dell’ampliamento della tettoia, in precedenza in eternit, riconducibile al mutamento del materiale utilizzato, come accertato dal c.t.u., con contestuale violazione degli obblighi decisori conseguenti alla dichiarazione di assorbimento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. Ad avviso dei ricorrenti, infatti, la verifica sulle ragioni dell’ampliamento avrebbe inciso sulla domanda risarcitoria proposta dall’appellante.
L’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso principale comporta logicamente l’assorbimento delle restanti censure e del motivo di ricorso incidentale.
9. In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo, secondo e terzo motivo di ricorso principale e l’assorbimento dei restanti e del motivo di ricorso incidentale, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in