Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4401 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4401 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34429/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 607/2019 depositata il 03/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Udine – decidendo sulle contrapposte domande avanzate da NOME e NOME COGNOME (proprietari degli immobili censiti al foglio 22, mappali 745, 722, 802 e 856 del Comune di Pulfero) da un lato, e da NOME COGNOME (proprietario degli immobili censiti al foglio 22, mappali 801, 926 (ex 723) e 821 del medesimo Comune) dall’altro, rigettava la domanda di demolizione di parte del fabbricato del convenuto e accoglieva quella di rimozione di un cavo elettrico che congiungeva il mappale 801 di Ivo Cedermas con il suo mappale accessorio 821 nella parte in cui sorvolava il fabbricato attoreo mappale 74; rigettava invece la domanda riconvenzionale del convenuto di condanna degli attori alla rimozione del cavo elettrico proveniente dal mappale attoreo n. 722 e sorvolante il suo mappale n. 723; accertava che il mappale n. 856 era parte integrante del mappale n. 721 e che i suoi confini rispetto al mappale 745 erano individuati come nell’allegato 6 della c.t.u. con segno rosso da considerarsi parte integrante della sentenza.
NOME e NOME COGNOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
COGNOME NOME resisteva all’appello e proponeva appello incidentale.
La Corte d’Appello di Trieste rigettava sia l’appello principale che l’appello incidentale e per l’effetto confermava la sentenza di primo grado.
4.1 Il primo motivo relativo alla errata interpretazione dell’art.2 delle Norme di Attuazione del Piano Regolatore Generale Comunale del Comune di Pulfero e dell’art. 9 D.M. 1444/68 era ritenuto infondato.
La Corte d’ Appello, dopo aver ricostruito lo stato dei luoghi sulla base della CTU e dell’autorizzazione rilasciata dal Comune di Pulfero per la ricostruzione di un edificio preesistente accessorio all’abitazione del proprietario, affermava l’erroneità della tesi dell’appellante perché i l Tribunale non aveva affermato che le norme di attuazione del PRGC rappresentassero sempre uno strumento idoneo a legittimare una dero ga all’art. 9 dm 1444/1968 ma solo che l’art. 2 delle norme di attuazione nella fattispecie concreta riferita a gruppi di edifici B1 costituisse fonte idonea alla deroga sulla base del medesimo art. 9 dm. 1444/68.
Peraltro, anche in base all ‘art. 3, comma 2 ter, della l . r. FriuliVenezia Giulia n.19/2009, introdotto dall’art. 33, comma 3b, della l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 29/2017 era consentito di non considerare le opere pertinenziali non idonee a compromettere il profilo igienico sanitario e il corre tto inserimento dell’opera nel contesto urbanistico.
4.2 Anche il secondo motivo relativo all’omessa pronuncia sulla domanda di arretramento del fabbricato alla distanza di 5 mt. dal confine era ritenuto infondato sempre in base all’art. 2 delle norme di attuazione sopra citato che consentiva per gli edifici preesistenti di mantenere la medesima distanza nel rispetto di quelle previste dall’art. 873 c.c.
4.3 Infine, per quel che ancora rileva, la Corte di merito rigettava anche il terzo motivo relativo all’accoglimento della domanda di usucapione della comproprietà del mappale 856 erroneamente intesa come appartenente alla corte comune del mappale 721 perché gli appellanti non avevano impugnato il quarto capo della sentenza, con la quale il Tribunale aveva accertato che
“il mappale n. 856 era parte integrante del mappale 721 sicché erano privi di interesse all’impugnazione del sesto capo della sentenza di primo grado relativo all’usucapione del medesimo mappale 856.
La Corte rigettava anche l’appello in cidentale di NOME COGNOME ma le questioni ivi trattate non rilevano nel presente giudizio.
NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso e con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insist ito nella richiesta di rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Erronea interpretazione dell’art. 9 DM 1444/68 e dell’art. 2 delle Norme di Attuazione del Piano Regolatore Generale Comunale del comune di Pulfero e dell’art. 3 co. 2 ter L.R. Friuli Venezia Giulia 19/2009.
Illiceità della deroga al d.m. n. 1444/68 formulata tramite disposizioni inserite nelle Norme Tecniche di Attuazione che sono parte costitutiva dei PRGC.
La Suprema Corte ha chiarito la differenza tra le NTA, le quali hanno natura regolamentare e fanno parte integrante dei PRGC ed i piani particolareggiati i quali danno luogo ad uno strumento urbanistico esecutivo. La conseguenza di tale distinzione è che lo strumento regolamentare (NTA) non può disporre valida deroga all’art 9 del citato DM per intere zone del territorio urba no ma al più per uno specifico gruppo di edifici.
La Corte d’Appello di Trieste ha inoltre ritenuto che la questione della obbligatorietà delle distanze di 10 metri tra edifici
sarebbe divenuta irrilevante poiché la L.R. Friuli-Venezia Giulia 29/17 all’art. 33 ha introdotto nella Legge Regionale Urbanistica n. 19/09 (art. 3, comma 2 ter) il principio che ‘in materia di distanze non vengono computati ai fini del calcolo della distanza tra pareti finestrate ed edifici antistanti i manufatti quali ‘……5) box o altri manufatti comunque pertinenziali, fino all’altezza di 3 metri rispetto al fabbricato principale’. Qui l’errore di interpretazione della Norma sarebbe del tutto evidente: la lettera n. 5 dell’art. 2 co. 2 ter consente la costruzione di manufatti accessori fino ad una altezza di 3 metri da non computarsi ai fini delle distanze tra pareti finestrate ed edifici antistanti solo rispetto al fabbricato principale e non certo rispetto a fabbricati presenti su altrui terreno.
Infine, la Corte sarebbe incorsa in un ulteriore errore omettendo di rilevare che il fabbricato in questione ha una altezza superiore ai 3 metri fatto questo che renderebbe comunque inapplicabile la norma citata.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
L’inesistenza di un fabbricato nei 20 anni anteriori alla nuova edificazione è stato oggetto di prova per testi capitolata da entrambe le parti.
La Corte d’Appello ha omesso totalmente di esaminare le risultanze probatorie su tale fatto limitandosi e dare per pacifica la preesistenza di un fabbricato sulla base di una istruttoria comunale che nessuna valenza può avere.
Il primo motivo è fondato.
La sentenza si fonda su ll’applicazione dell ‘art. 33 dell a l.r. n. 29/17 che ha aggiunto il comma 2 ter dell’art. 3 della Legge
Regionale Urbanistica n. 19/09 secondo cui ‘in materia di distanze non vengono computati ai fini del calcolo della distanza tra pareti finestrate ed edifici antistanti i manufatti quali ‘……box o altri manufatti comunque pertinenziali, fino all’altezza di 3 metri rispetto al fabbricato principale’.
La Corte, infatti, si è limitata a richiamare la motivazione del giudice di primo grado quanto alla violazione dell’art. 9 del d.m. n.1444 del 1968 evidenziando che la questione della corretta applicazione della norma e della possibilità di una sua deroga in tema di distanze in virtù dell ‘art. 2 delle norme di attuazione del P.R.G.C. del Comune di Pulfero non fosse più rilevante anche a prescindere dalla previsione del d.l. n. 32 del 2019, convertito in legge n. 55 del 2019 dovendosi applicare la norma regionale sopra indicata.
Tuttavia, la sentenza impugnata si limita a richiamare la suddetta norma senza svolgere alcuna interpretazione della stessa con riferimento specifico al caso concreto e alla sussistenza dei presupposti per la sua applicazione, quantomeno con riferimento all’altezza dell’ edificio ricostruito, come lamenta il ricorrente.
Dunque, si impone l’accoglimento del motivo con rinvio alla Corte d’Appello perché chiarisca le ragioni per le quali in virtù dell’art. 3, comma 2 ter, della l.r. Friuli-Venezia Giulia le opere in esame non debbano essere computate ai fini delle distanze tra costruzioni.
Infine, con riferimento alla normativa sopravvenuta e non esaminata dalla Corte d’Appello , deve evidenziarsi che questa Corte ha ritenuto trattarsi di norma di interpretazione autentica e quindi applicabile anche al caso in esame.
In proposito deve richiamarsi il seguente precedente: L’art. 5, comma 1, lett. b-bis), del d.l. n. 32 del 2019, conv. con mod. dalla l. n. 55 del 2019, nella parte in cui stabilisce che le disposizioni di cui all’art. 9, comma 2, del d.m. n. 1444 del 1968 si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al comma 1, n. 3), del detto articolo, integra, alla stregua del senso letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore e di una lettura logicosistematica della disciplina, gli estremi di una norma di interpretazione autentica, sicché la stessa è applicabile ai rapporti in corso, non già quale disciplina normativa favorevole sopravvenuta, ma perché corrispondente alla regolamentazione applicabile ” ab origine ” al rapporto, fermo restando il solo limite delle situazioni consolidate per essersi lo stesso definitivamente esaurito (Sez. 2, Ordinanza n. 7027 del 12/03/2021, Rv. 660749 01).
In tale occasione si è detto, infatti, che come chiaramente denota il senso letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore, trattasi di norma interpretativa, che recepisce le indicazioni provenienti sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. T.A.R. Genova sez. I, 28/11/2018, n.933, secondo cui il secondo comma ed il primo periodo del terzo comma dell’articolo 9 DM n.1444 del 1968 sono applicabili ai soli edifici ubicati in zona urbanistica “C”, posto che detta interpretazione, oltre che basata sul tenore letterale della normativa richiamata, trae fondamento da una lettura logico-sistematica della disciplina, che regola in modo differenziato la pianificazione urbanistica a seconda del diverso stato di urbanizzazione delle aree,
differenziando le prescrizioni a seconda che l’edificazione venga effettuata in aree in gran parte già edificate e urbanizzate, in zone di espansione o di nuova edificazione.
Si rende pertanto necessario un nuovo esame sulla scorta dei citati principi.
Resta così logicamente assorbito l’esame del secondo motivo .
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Erronea interpretazione e applicazione dell’art. 100 c.p.c.
P arte attrice aveva effettivamente riconosciuto l’utilizzo da parte del convenuto del mappale 856 quando lo stesso era parte integrante della corte comune mappale 721. Con la stipula del rogito notarile di data 20.03.98 il convenuto aveva però ceduto la sua quota di comproprietà della porzione di corte comune che, frazionata nel 1997, aveva fatto nascere il mappale 856.
Sulla base di tali circostanze COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno contestato in appello la decisione di primo grado evidenziando che dal giorno del rogito in virtù del quale la loro dante causa era divenuta proprietaria esclusiva del mappale 856 al giorno della domanda riconvenzionale, non erano decorsi 20 anni e che, pertanto, non poteva ritenersi maturata l’usucapione .
Il Tribunale, infatti, aveva riconosciuto la proprietà comune in virtù della non contestazione dell’uso comune da tempo immemore
L’interesse ad agire degli attori in appello sarebbe, dunque, evidente e si fonderebbe sul disconoscimento del diritto di comproprietà in capo al convenuto di un bene immobile di loro esclusiva pertinenza.
Anche tale motivo è fondato.
I ricorrenti avevano proposto appello avverso il capo di sentenza che aveva riconosciuto l’usucapione del mappale 856 in virtù della mancata contestazione circa il fatto che era da sempre utilizzato quale parte della corte comune, di cui al mapp. 721, per il passaggio per e dall’abitazione di Ivo Cedarmas.
La Corte d’Appello ha ritenuto erroneamente insussistente l’interess e all’impugnazione perché i ricorrenti non hanno contestato che la particella 856 fa parte del mappale n.721 mentre la questione da decidere riguardava l’usucapione della stessa in capo a RAGIONE_SOCIALE che aveva ceduto la sua quota e da tale cessione non erano decorsi 20 anni, sicché il motivo di appello doveva essere esaminato sussistendo l’interesse.
Il giudice di rinvio ( Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione) provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione