Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27443 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27443 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/10/2025
SENTENZA
sul ricorso 17810/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME, giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 901/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale;
udito l’AVV_NOTAIO che si è riportato agli scritti difensivi;
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
NOME NOME, assumendo di essere titolare di una ‘servitus non aedificandi’, in virtù di atto notarile del 07/04/1993, convenne in giudizio NOME COGNOME per sentirlo condannare al ripristino dei luoghi mediante rimozione del muro di sostegno e della sovrastante struttura metallica da questi realizzata lungo il confine; in via subordinata chiese la rimozione della parte del muro che fuoriusciva di circa 80 cm dalla quota del terreno e della struttura metallica sovrastante, nonché la condanna a risarcire i danni, quantificati in via equitativa in € 5.000,00.
1.1. Il convenuto si costituì in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea. In particolar modo, eccepì l’infondatezza dell’avverse pretese assumendo che il muro di contenimento non costituiva violazione della ‘servitus non aedificandi’, in quanto non assimilabile a costruzione soggetta al rispetto delle distanze legali; eccepì inoltre l’esistenza di una scrittura privata intervenuta ‘inter partes’, successivamente alla realizzazione del muro, convenzione dalla quale emergeva la comune volontà di regolare i rapporti e delimitare i confini sulla base della nuova situazione di fatto e che, pertanto, integrava rinuncia alla servitù che aveva fonte nel negozio del 1993.
1.2. Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria, rigettò la domanda attorea valorizzando il contenuto della seconda scrittura privata.
La Corte d’appello di Napoli, accolto parzialmente l’appello proposto dal COGNOME, in riforma della decisione del Tribunale, condannò NOME COGNOME a rimuovere il muro di sostegno per la parte che fuoriusciva di circa 80 cm dalla quota del terreno e la sovrastante struttura metallica lungo tutto il confine con la proprietà dell’appellante.
2.1. Questi, in sintesi, gli argomenti salienti della sentenza, per quel che qui possa rilevare:
-sulla base dell’accertamento peritale espletato in primo grado doveva essere affermata la natura di ‘costruzione’ dell’opera;
-il richiamo operato dall’appellato all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi ‘costruzione’ ex art. 873 cod. civ. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, non trovava applicazione nel caso in cui il terrapieno avesse avuto un’origine artificiale e non naturale;
-nel caso di specie, in forza dell’accertamento peritale, era emerso che il muro fosse stato realizzato allo scopo di contrastare la spinta generata dal terrapieno artificialmente creato dal COGNOME, derivando da ciò la natura di ‘costruzione’ del muro stesso;
il COGNOME non aveva specificamente contestato la prevenienza del COGNOME nella edificazione del proprio fabbricato; l’appellante, nel costruire per primo, aveva osservato la distanza di cinque metri dal confine derivandone, in applicazione del principio di prevenzione, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto rispettare la medesima distanza;
tuttavia, non poteva accogliersi la censura mossa dal COGNOME relativa alla nullità della scrittura privata intercorsa tra le parti, per violazione dell’art. 9 d.m. n. 1444/1968, non potendo operare nel caso di specie la predetta normativa, in forza delle specifiche disposizioni in materia di distanze tra costruzioni previste dallo strumento urbanistico del Comune di Telese Terme, il quale consentiva la costruzione sul confine <> ;
doveva escludersi, da una corretta interpretazione della scrittura intercorsa tra le parti, valutata anche alla luce delle complessive risultanze istruttorie acquisite, che l’appellante avesse voluto
accettare la costruzione di un muro di contenimento sul confine <> ;
-poiché l’attore appellante non aveva esteso la propria domanda al ripristino del terrapieno, avendo reiterato la conclusione di <> , nel mentre la demolizione dell’intero muro di sostegno sarebbe stata fonte di pericolo per la stessa proprietà del NOME, la condanna alla demolizione venne limitata nei termini sopra riportati.
NOME COGNOME propone ricorso fondato su quattro motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso, in seno al quale propone ricorso incidentale fondato su due motivi, avversato da controricorso del COGNOME.
Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e 877 cod. civ. e 9 d.m. 1444/68, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ. non avendo la Corte d’appello <>.
Il motivo è infondato.
La sentenza d’appello ha accertato che il terrapieno edificato dal COGNOME, poiché artificiale, costituisce costruzione. Sul punto, la decisione della Corte di merito è conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, la quale ha avuto modo di spiegare che qualora l’andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e contenimento del terrapieno creato dall’opera dell’uomo; conseguentemente, esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse (Sez. 2, n. 14/06/2023, Rv. 668055 -02; conf., ex multis, Cass. 23843/2018).
5. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1369 e 1371 cod. civ., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ., avendo i giudici di secondo grado violato i canoni ermeneutici di interpretazione dei contratti, così giungendo ad una conclusione incompatibile con la volontà delle parti, lo stato dei luoghi e la documentazione in atti.
La Corte d’appello avrebbe, inoltre, omesso di valutare il comportamento del COGNOME nel periodo successivo alla sottoscrizione della predetta scrittura privata in violazione dell’art. 1362, co. 2, cod. civ.; il resistente, infatti, solamente dopo circa una anno dalla sottoscrizione di essa aveva <> .
Il motivo deve essere disatteso, sia pure con motivazione diversa da quella della Corte di Napoli, la quale, pertanto, deve essere corretta (art. 384 cod. proc. civ., u.c.).
Questa Corte, con giurisprudenza consolidata, afferma che in materia di distanze legali, le norme di cui all’art. 873 c.c., dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli, volte unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose, sono derogabili mediante convenzione tra privati; viceversa, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e negli strumenti urbanistici locali non tollerano deroghe convenzionali, in quanto dettate a tutela dell’interesse generale ad un prefigurato modello urbanistico (Sez. 2, n. 5016, 02/03/2018, Rv. 647817 -01).
La Corte di Napoli scrive che <>.
Tuttavia, il Giudice d’appello non considera che il piano regolatore generale del Comune di Telese Terme, siccome verificato dallo stesso Giudice (v. sentenza pagg. 5 e 6), oltre a prevedere una fascia di rispetto di cinque metri dal confine, impone un distacco di dieci metri tra costruzioni.
Ora poiché l’opera del COGNOME -che, secondo la prospettazione di costui, lo strumento negoziale delle parti avrebbe permesso e che, si è visto, è stata correttamente qualificata costruzione -risulta, all’evidenza, fronteggiare l’edificio del preveniente COGNOME, che aveva costruito a cinque metri dal confine (pag. 5 della sentenza), discende che il COGNOME, nel rispetto dello strumento urbanistico locale (invocato dall’attore) , avrebbe dovuto assicurare il distacco di dieci metri dall’edificio del COGNOME che aveva invocato anche l’obbligo di costruire alla
distanza non inferiore a metri 10,00 dal fabbricato da lui già realizzato.
La convenzione del 29/9/2007, pertanto, risulta affetta da nullità per contrasto con la normativa locale in tema di distanze tra costruzioni, senza che occorra indugiare e disquisire, come invece fa la Corte napoletana, a riguardo delle <> della costruzione messa in opera dal COGNOME.
Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza d’appello in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, avendo la Corte locale, nell’esaminare la volontà delle parti espressa nella citata scrittura privata, omesso del tutto di valutare prove decisive che avrebbero condotto a conclusione diametralmente opposta rispetto a quella cui essa era pervenuta.
In particolar modo il Giudice di secondo grado avrebbe omesso di esaminare la documentazione versata in atti, nonché le dichiarazioni rese dai testimoni escussi, elementi dai quali si traeva che la realizzazione delle opere era avvenuta in epoca antecedente alla sottoscrizione della seconda scrittura privata, che, pertanto, le aveva solo ratificate.
Il rigetto del precedente motivo rende vano il vaglio del presente, che, pertanto, resta assorbito in senso improprio.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., poiché, <> .
Il motivo è infondato.
Il COGNOME aveva chiesto in primo e secondo grado la rimozione del muro emergente dalla quota del terreno, per circa
ottanta centimetri, nonché della sovrastante struttura metallica lungo tutto il confine, lamentando la violazione delle norme urbanistico-edilizie. Non si rinviene, pertanto, decisione esorbitante il chiesto.
11. NOME COGNOME con il primo motivo del ricorso incidentale lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, co. 1, n.3, cod. proc. civ., avendo la Corte d’appello considerato l’intero muro come ‘nuova costruzione’, ma, di contro, ordinato il ripristino solo al di sopra della linea di campagna.
Invero, l’esponente, in primo grado, aveva richiesto in via principale di ripristinare lo ‘status quo ante’ mediante la rimozione dell’intero muro di sostegno, sia nella parte al di sotto sia in quella al di sopra della linea di campagna, laddove il predetto muro fosse stato considerato ‘nuova costruzione’; in subordine e salvo gravame aveva richiesto la rimozione del muro di sostegno per la parte che fuoriusciva di circa 80 cm. la quota del terreno e della sovrastante struttura metallica lungo tutto il confine, laddove il muro fosse stato considerato illegittimo solo nella parte al di sopra della linea di campagna.
12. Il motivo è inammissibile.
Si legge dallo stesso controricorso che il COGNOME aveva chiesto <>.
La sentenza impugnata, accertata l’illiceità dell’opera eseguita dal COGNOME, ha condannato costui a <>. Indi, con specifico rilievo per quel che qui si discute, dopo aver spiegato, sulla base delle osservazioni peritali, che <>, soggiunge, <>.
Il ricorrente incidentale, come si è anticipato, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, non condividendo, nella sostanza, l’interpretazione del giudice di merito.
Questa Corte ha assai di recente affermato che l’erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. (Sez. 5, n. 13439, 20/05/2025, Rv. 675091 -01). Il Collegio condivide e intende dare continuità al principio.
Inoltre, proprio perché la qualificazione/interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, si è, in conformità affermato che la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Sez. 3, n. 11103, 10/6/2020, Rv. 658078). Evenienze tutte che qui non ricorrono.
Con il secondo motivo incidentale viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e 877 cod. civ. e dell’art. 9 d.m. 1444/68, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.
Si assume che la Corte d’appello abbia errato laddove, pur considerando ‘nuova costruzione’ il muro edificato dal COGNOME, <> .
La doglianza resta assorbita in senso improprio dal rigetto del precedente motivo. Le altre attività materiali richiamate nel motivo(v. pag. 42) rientrano ovviamente nella fase esecutiva della sentenza e di esse si discuterà in altra sede.
In conclusione, rigettati entrambi i ricorsi, la reciproca soccombenza comporta la compensazione integrale delle spese di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese tra le parti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 settembre 2025.
Il consigliere est. Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME