Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19686 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19686 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13030/2020 R.G. proposto da :
COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
nonchè contro
COGNOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n.1368/2019 depositata il 24.9.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.7.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 18.8.2005, il Giudice del Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, rigettava il ricorso con cui COGNOME COGNOME aveva proposto azione di manutenzione nel possesso nei confronti dei vicini COGNOME COGNOME ed COGNOME COGNOMEper sentirli condannare alla demolizione o all’arretramento della costruzione da essi realizzata a confine con la proprietà attorea a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 873 cod. civ. e fissava l’udienza per il merito possessorio.
In seguito all’intervenuto decesso di COGNOME i suoi eredi COGNOME COGNOME NOME e COGNOME Giuliano riassumevano la causa, che veniva riunita ad altra causa connessa, di natura petitoria, introdotta da COGNOME e dalla coniuge COGNOME avente ad oggetto la richiesta di arretramento delle opere realizzate dai coniugi COGNOME alla quale i medesimi resistevano.
Istruite le cause mediante CTU, con sentenza n. 358/2012 il Tribunale di Ancona accoglieva le domande di manutenzione e petitoria, condannando i coniugi COGNOMECOGNOME alla demolizione della porzione non interrata del garage, costruito in aderenza al vecchio muro di cinta, ovvero all’arretramento
dell’intera opera a distanza legale, ed al risarcimento del danno quantificato in € 273,90 oltre interessi, nonché alle spese di lite.
COGNOME NOME e COGNOME COGNOME proponevano appello avverso la predetta decisione e COGNOME NOME e COGNOME COGNOME resistevano al gravame, mentre COGNOME NOME rimaneva contumace.
Nelle more del giudizio decedeva anche COGNOME COGNOME e la causa veniva riassunta dagli appellanti nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME anche come eredi di COGNOME COGNOME.
Con la sentenza n. 1368/2019 del 16.1/24.9.2019, la Corte d’Appello di Ancona accoglieva il solo motivo di gravame concernente la condanna degli appellanti alle spese del primo grado, riducendone il quantum , e confermava nel resto la decisione impugnata. Il Giudice di secondo grado, condividendo la ricostruzione dello stato dei luoghi operata dal Tribunale e ritenendo che il muro eretto dai coniugi COGNOME a ridosso del preesistente muro di confine assolvesse alla funzione di contenimento tra i due fondi a dislivello, qualificava l’opera per cui è causa come costruzione, e non come muro di cinta, con conseguente violazione della distanza prescritta dall’art. 873 cod. civ. e delle norme urbanistiche locali di cui al Regolamento Edilizio del Comune di Jesi.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME e COGNOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre doglianze. COGNOME NOME, in proprio e quale erede di COGNOME NOME e COGNOME COGNOME, ha resistito con controricorso, mentre COGNOME NOME è rimasto intimato.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art.
873 cod. civ. e delle norme dei regolamenti locali in tema di distanze delle costruzioni, nonché omessa e/o insufficiente motivazione sul punto. La Corte territoriale avrebbe apoditticamente condiviso la descrizione dello stato dei luoghi effettuata dal Giudice di primo grado, ritenendo che la stessa trovasse conforto nelle risultanze istruttorie e, di conseguenza, avrebbe erroneamente qualificato l’opera oggetto di controversia come costruzione, assoggettata alla disciplina sulle distanze di cui all’art. 873 cod. civ..
Il primo motivo, nella parte in cui si lamenta l’insufficienza della motivazione, é inammissibile, in quanto dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. apportata dall’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7.8.2012 n 134, non é più censurabile.
Il primo motivo é invece infondato, nella parte in cui si lamentano l’omessa motivazione e la violazione dell’art. 873 cod. civ..
Le sentenze di primo e di secondo grado, infatti, in base alla CTU espletata, hanno ritenuto che i ricorrenti abbiano scavato per realizzare il garage solo parzialmente interrato oggetto di contestazione, e che il muro volto a contenere la spinta del vuoto determinato con lo scavo e del terreno, e addossato al precedente muro di confine privo di fondamenta, costituisca costruzione (vedi in tal senso Cass. ord. 27.9.2023 n. 27482; Cass. ord. 2.10.2018 n. 23843; Cass. 13.5.2013 n. 11388), tanto più che é stato ritenuto anche in prosecuzione del muro di fabbrica di maggior larghezza sottostante, per cui hanno applicato la distanza tra costruzioni di tre metri prevista dall’art. 873 cod. civ. e quella dal confine della normativa locale. I ricorrenti assumono, in contrasto con tale accertamento in fatto, che il muro di cinta preesistente fosse invece un muro reggi terra dotato di proprie fondazioni, avente natura di costruzione sul confine, rispetto al quale essi avrebbero costruito in aderenza, e chiedono una nuova valutazione
di merito sul punto in sede di legittimità, il che non é consentito (vedi in tal senso ex multis Cass. ord. 29.7.2024 n.21201; Cass. ord. 22.11.2023 n. 32505).
Peraltro, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, in caso di distanza minima dal confine imposta dalla normativa locale, la costruzione in aderenza non é consentita se non specificamente prevista dalla stessa normativa locale (Cass. 19.3.2025 n. 7290; Cass. 26.4.2024 n. 11193; Cass. 14.5.2018 n.11664; Cass. 6.11.2014 n.23693; Cass. 9.4.2010 n. 8465; Cass. 30.10.2007 n.22896; Cass. 20.4.2005 n. 8283).
2) Attraverso la seconda doglianza i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui la Corte d’Appello di Ancona non ha valutato la sentenza penale di assoluzione dei ricorrenti dando luogo ad un contrasto di giudicati. Il Giudice di seconde cure avrebbe omesso di esaminare e di considerare, ai fini della decisione, la sentenza penale emessa all’esito di un procedimento incardinato nei confronti dei ricorrenti, che ne aveva escluso qualsivoglia responsabilità per l’edificazione del garage in questione in totale difformità rispetto alla concessione edilizia rilasciata. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le richieste istruttorie formulate dagli appellanti.
Il secondo motivo, col quale si lamenta ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. l’omesso esame della sentenza penale, che ha assolto, perché il fatto non sussiste, i ricorrenti, dalle imputazioni relative agli abusi edilizi per totale difformità del garage in questione dalla concessione edilizia rilasciata, é inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., per ‘doppia conforme’ sulla qualificazione del muro e del garage da abbattere per il fuori terra come costruzioni (in secondo grado la sentenza di primo grado é stata riformata limitatamente alla riduzione della condanna alle spese processuali, senza modifiche alla ricostruzione in fatto).
Quanto alla mancata valutazione delle richieste istruttorie formulate dagli appellanti, la doglianza é inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non sono state neppure riportate tali richieste istruttorie, per consentire alla Corte di valutarne la decisività.
3) Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, comma 1°, n.3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 115 c.p.c., per avere la Corte d’Appello di Ancona respinto le richieste istruttorie formulate dagli odierni ricorrenti. La Corte di Appello avrebbe rigettato le richieste istruttorie articolate dagli appellanti -in specie, di espletamento di nuova CTU o di chiarimenti da parte del CTU -omettendo totalmente di argomentare ovvero argomentando in maniera non esaustiva sul punto.
Il terzo motivo, col quale si lamenta la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 c.p.c., é inammissibile. Con esso, infatti, non ci si lamenta che sia stata erroneamente individuata la parte gravata dall’onere della prova, bensì della cattiva valutazione delle risultanze istruttorie (vedi sull’inammissibilità di tale censura ex multis Cass. ord. 1.4.2025 n. 8546; Cass. ord. 3.2.2025 n.2573), e non si denuncia che il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (vedi sulla violazione dell’art. 115 c.p.c. censurabile in tale ipotesi ex multis Cass. ord. 17.6.2025 n. 16297).
Quanto al mancato accoglimento in secondo grado delle richieste istruttorie avanzate dagli attuali ricorrenti, la doglianza é inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto non sono state riportate tali richieste per intero nel ricorso, facendosi mero rinvio alle conclusioni del giudizio di secondo grado.
La giurisprudenza di questa Corte, infatti, afferma ( ex multis , Cass. 13.7.2023 n. 20120; Cass. 27.2.2019 n. 5741) che la parte che si
sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi.
Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti in solido, con distrazione in favore dei legali antistatari del controricorrente.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso di NOME COGNOME COGNOME ed NOME COGNOME e li condanna in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed € 3.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, da distrarre in favore dei legali antistatari del controricorrente, avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n.115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 9.7.2025