Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22765 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 22765 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/08/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19510/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME e COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2179/2018 depositata il 14/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso per denuncia di nuova opera, depositato il 10/01/2002, NOME COGNOME, proprietario di una casa per civile abitazione sita nel Comune di Pignataro Maggiore (INDIRIZZO), assumendo che i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari del fondo confinante, avevano intrapreso la costruzione di un nuovo edificio ad una distanza minore di quella minima inderogabile dal fabbricato dell’attore (dieci metri tra pareti finestrate), prevista dall’art. 11 del regolamento edilizio comunale, domandò al Tribunale di Santa NOME Capua Vetere di ordinare ai vicini di sospendere i lavori e di condannarli, all’esito del giudizio di merito, all’arretramento o all’abbattimento della nuova costruzione.
Il Tribunale, con ordinanza del 30 luglio 2002, dispose la sospensione dell’opera. Esaurita la fase nunciatoria, il COGNOME instaurò la causa di merito e domandò la condanna dei convenuti all’arretramento del loro fabbricato e al risarcimento del danno. Costituendosi in giudizio, i coniugi COGNOME e COGNOME chiesero il rigetto della domanda e proposero domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna del confinante all’abbattimento della sua abitazione, che assumevano essere stata realizzata in difformità dalla concessione edilizia.
Il Tribunale, istruita la causa a mezzo di una c.t.u., con sentenza n. 3217/2011, in accoglimento della domanda dell’attore, condannò i convenuti ad arretrare il fabbricato di loro proprietà in modo tale che venisse rispettata la distanza di dieci metri dall’edificio del
COGNOME, respinse la domanda di risarcimento del danno di quest’ultimo, respinse altresì la domanda riconvenzionale dei convenuti, che condannò al pagamento delle spese di lite.
La Corte d’appello di Napoli, adita dai soccombenti e nel contraddittorio di controparte, ha rigettato il gravame (testualmente, a pag. 5 della sentenza) ‘per sopravvenuta carenza di legittimazione ( rectius : titolarità) attiva degli appellanti’. Nello specifico, la Corte d’appello ha dato atto che l’immobile dei coniugi COGNOME e COGNOME era stato acquisito gratuitamente al patrimonio dell’ente territoriale e, quindi, sul rilievo che essi non erano più proprietari dell’immobile in relazione al quale si poneva la questione del rispetto o meno delle distanze legali, ha rigettato l’appello per sopravvenuta carenza di legittimazione attiva (o titolarità) degli appellanti.
Ai fini della regolamentazione delle spese del grado, la Corte territoriale ha ravvisato la soccombenza virtuale degli appellanti, sul presupposto che tutte le censure rivolte da questi ultimi alla sentenza del Tribunale non erano idonee ad indebolire la fitta trama argomentativa della decisione di primo grado.
Contro la predetta sentenza ricorrono per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, sulla scorta di tre motivi.
Ha proposto tempestivo controricorso NOME COGNOME.
La causa, originariamente assegnata alla camera di consiglio del 23 gennaio 2024, è stata rimessa all’udienza pubblica, alla luce della valenza nomofilattica della materia del contendere.
In prossimità dell’udienza pubblica, entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Procuratore Generale, rappresentato dal sostituto NOME COGNOME, ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DI DIRITTO
Come accennato in narrativa, la Corte d’appello, pur avendo rilevato la carenza di legittimazione attiva del COGNOME e della COGNOME, ha tuttavia esaminato anche il merito del gravame (seppure ai fini della individuazione della soccombenza virtuale), sicché ha sostanzialmente posto una diversa ratio decidendi , oggetto del secondo e del terzo motivo di ricorso.
Vanno dunque esaminati con priorità le censure di merito.
Il secondo motivo ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 cpc, in relazione all’art. 360 cpc n. 4’ denuncia la motivazione apparente della sentenza impugnata che, senza esaminare i numerosi rilievi che gli appellanti avevano rivolto alla decisione del Tribunale, si era limitato a trascrivere integralmente la motivazione di tale pronuncia, sulla quale si era appiattita.
La doglianza è infondata.
2.1. La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Sez. U, n. 8053 del 7 aprile 2014).
2.2. Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il
vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez. U, n. 2767 del 30 gennaio 2023).
Nella specie, non sussiste una motivazione apparente, giacché il fondamento della decisione è chiaramente percepibile, trattandosi invece di motivazione per relationem .
2.3. Nel loro atto, i ricorrenti hanno semplicemente affermato che ‘le questioni poste nell’atto di appello non sono state affrontate e comunque in motivazione non se ne dà alcun conto’ ed hanno poi riprodotto pedissequamente i nove punti che aveva riportato la sentenza impugnata. Quest’ultima ha sostenuto: ‘ L’articolata motivazione del giudice di prime cure -che, come è evidente, da puntuale risposta a tutte le obiezioni sollevate dai convenuti e riproposte in tal sede -è ineccepibile e conforme ai consolidati principi di diritto espressi in subiecta materia dalla giurisprudenza di legittimità, oltre che perfettamente in linea con quanto statuito nelle pronunzie rese nell’ambito del doppio grado della giustizia amministrativa……………..In definitiva, quindi, in assenza di convincenti argomentazioni giuridiche di segno contrario, non risultando le censure di parte appellante minimamente idonee a scalfire l’impianto motivazionale del giudice di primo grado e risultando altresì inconferenti le richiamate pronunzie giurisprudenziali (inerenti a fattispecie in cui, diversamente che nella specie, i corpi aggettanti non erano strutturalmente rilevanti) l’appello, infondato, andava rigettato. .’
In effetti, a leggere i motivi di gravame, si rileva che gli stessi erano meramente riproduttivi delle difese svolte in primo grado,
2.4. Va dunque ribadito il principio, già espresso da questa Corte, per il quale la sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Sez. 1, n. 20883 del 5 agosto 2019).
In definitiva, come già detto, i motivi di appello erano esattamente riproduttivi delle difese svolte in primo grado dagli allora convenuti ed imperniate sulla medesima tesi dell’incomputabilità dei balconi nel calcolo delle distanze e sull’illegittimità della costruzione avversaria, sicché logicamente, a parità di questioni prospettate in primo e secondo grado, ben poteva la Corte distrettuale richiamare la sentenza del Tribunale. Oltretutto, la sentenza impugnata, oltre a condividere la decisione di prime cure, ha significativamente ricordato la conformità della stessa alla giurisprudenza di legittimità sul calcolo delle distanze con riferimento ai balconi aggettanti (Sez. 2, n. 25191 del 17 settembre 2021; Sez. 2, n. 23845 del 2 ottobre 2018; Sez. 2, n. 18282 del 19 settembre 2016), prendendo altresì posizione sulle censure riguardanti la costruzione dell’attore.
2.5. D’altronde, l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore ( in procedendo o in iudicando ) per cui è proposto, non può essere assolto con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i
documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Sez. 5, n. 342 del 13 gennaio 2021).
3. Il terzo motivo -‘violazione e falsa applicazione art. 873 c.c. e art. 9 d.m. n. 1444/68, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3’ denuncia l’errore di diritto della sentenza impugnata che, nell’apprezzare la soccombenza virtuale al fine della statuizione sulle spese del giudizio, aveva erroneamente calcolato la distanza tra gli edifici tenendo conto dei balconi aggettanti dell’edificio degli attori, che invece non dovevano essere considerati, non costituendo essi corpi di fabbrica di particolare sporgenza, con ampiezza e profondità rilevanti.
3.1. Il mezzo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
Risulta infondato nella prima parte, giacché la Corte d’appello, condividendo in fatto l’accertamento del Tribunale, ha acclarato la presenza di balconi ed ha poi applicato correttamente la giurisprudenza sul relativo calcolo delle distanze. Risulta inammissibile nella seconda parte, risolvendosi nella richiesta di una nuova valutazione dell’istruzione probatoria.
Invero, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dai ricorrenti non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, volta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).
3.2. È, in conclusione, va respinto il motivo di ricorso che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Le esposte considerazioni sulle questioni a base della controversia rendono logicamente assorbito l’esame del motivo di ricorso -‘violazione e falsa applicazione dell’art. 100 del c.p.c. e dei principi in materia di interesse ad agire, in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3 e n. 4’ -con cui si denuncia che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile il gravame dei coniugi COGNOME e COGNOME per sopravvenuta carenza di legittimazione attiva, essendo, in pendenza del giudizio, il loro immobile stato acquisito gratuitamente al patrimonio del Comune ex art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente, come liquidate in dispositivo.
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000 (cinquemila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002 se dovuto.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2024