Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20727 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20727 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
Oggetto: Distanze
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 04238/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
COGNOME e COGNOME, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti – per la cassazione della sentenza n. 1563/2019 resa dalla Corte di appello di Genova il 16/7/2019, pubblicata il 20/11/2019 e notificata il 22/11/2019;
udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 29/5/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le memorie depositate da entrambe le parti; sentiti i difensori presenti.
Fatti di causa
1. Con atto di citazione notificato il 28/7/2010, COGNOME NOMECOGNOME quale comproprietario, unitamente alla moglie NOME COGNOME, di una villetta con circostante giardino, sita in Marina di Carrara, INDIRIZZO convenne in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE, deducendo che originariamente insisteva sul terreno confinante una piccola costruzione unifamiliare costituita da un solo piano fuori terra distante mt. 1,55 dal confine e mt. 2,80 dalla villetta, che il Comune di Carrara, in data 24/11/2006, aveva rilasciato alla dante causa della società un permesso di costruire per l’esecuzione di un intervento di ristrutturazione edilizia che prevedeva l’ampliamento e la sopraelevazione di un piano della costruzione e approvato, in data 11/7/2007, una variante sostanziale per un ulteriore ampliamento e l’ottenimento di cinque unità immobiliari e che la società, negli anni 2006-2008, aveva eseguito l’intervento di demolizione e ricostruzione con ampliamento e sopraelevazione del preesistente fabbricato in contrasto, fin dal progetto, con l’art. 873 cod. civ. e con l’art. 9 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, e chiedendo che la convenuta venisse condannata all’arretramento fino alla distanza legale, oltre al risarcimento dei danni.
Costituitasi in giudizio, la RAGIONE_SOCIALE contestò le pretese attoree e, deducendo che anche i COGNOME–COGNOME avevano realizzato, oltre trent’anni prima, alcune opere illecite sul proprio fabbricato, chiese, in via riconvenzionale, la condanna dei predetti
alla riduzione in pristino, oltre al risarcimento dei danni anche per lite temeraria.
Si costituì in giudizio anche NOME COGNOME chiamata in causa dalla convenuta in qualità di comproprietaria del bene oggetto della domanda riconvenzionale, chiedendo il rigetto della stessa, proponendo, in via riconvenzionale, domanda di accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale e associandosi alle domande di riduzione in pristino e di condanna per i danni, avanzate dal coniuge.
Con sentenza n. 30/16 del 13/1/2016, il Tribunale dichiarò che il fabbricato realizzato dalla società violava le norme sulle distanze legali e, essendosi in presenza di una nuova costruzione e non di una fattispecie di ristrutturazione edilizia, condannò la società all’arretramento della costruzione a distanza di mt. 5 dal confine con il fondo di proprietà attorea, nonché al risarcimento dei danni.
Il giudizio di gravame, instaurato dalla RAGIONE_SOCIALE con atto d’appello notificato il 11/5/2016, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la sentenza n. 1563/2019, pubblicata il 20/11/2019, con la quale la Corte d’Appello di Genova rigettò l’appello, condannando le parti alle spese di lite.
Per quanto qui interessa, i giudici di merito, dopo avere richiamato gli arresti di questa Corte in merito alla distinzione tra ristrutturazione, ricostruzione e nuova costruzione, ritennero che lo strumento urbanistico vigente consentisse il mantenimento delle preesistenti distanze dai confini in misura inferiore ai mt. 5,00 in ipotesi diverse dalla totale demolizione dell’edificio preesistente e dalla sua sostituzione con un nuovo organismo edilizio; che nel nuovo edificio non fosse residuato, per sagoma, dimensioni e superficie, alcun elemento di quello precedente; che la distanza di
mt. 5 dai confini prevista per le nuove costruzioni dovesse considerarsi cogente in tutte le ipotesi in cui fosse stata accertata la realizzazione di una nuova costruzione, ossia in caso di ampliamento, e che questa disposizione valesse anche per il manufatto in esame, autorizzato ai sensi dell’art. 9, lett. d), delle N.T.A. quale Ru3 ampliamento, siccome eccedente i limiti stabiliti per gli interventi di manutenzione e ristrutturazione descritti nelle lett. a), b) e c) del medesimo art. 9.
I giudici di merito osservarono, inoltre, che la costruzione si poneva in contrasto con le disposizioni civilistiche e con l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, posto che le costruzioni si fronteggiavano tra loro per almeno un metro (oltre al portico per mt. 3,85) e che non era possibile sostituire la riduzione in pristino con il risarcimento per equivalente, come richiesto, non potendo applicarsi l’art. 2058 cod. civ.
Avverso la suddetta sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Vanno preliminarmente rigettate le eccezioni di inammissibilità, sollevate dai controricorrenti in ragione della genericità del ricorso e della conformità della sentenza ai principi affermati da questa Corte.
Quanto al primo punto, si osserva che il requisito dell’autosufficienza, corollario del requisito di specificità dei motivi, deve essere interpretato in maniera elastica (Cass., Sez. 1, 2/5/2023, n. 11325), in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte -oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022 -e alla luce dei principi stabiliti nella sentenza C.E.D.U. del 28 ottobre 2021 ( Succi e altri c. Italia ), che
lo ha ritenuto compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della C.E.D.U., a condizione che, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa (Cass., Sez. 1, 19/4/2022, n. 12481); tra l’altro, esso non può tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, ove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass., Sez. 1, 7/11/2023, n. 30917; vedi Cass. Sez. U, 18/3/2022, n. 8950).
Nella specie, il ricorso è articolato in modo tale da far comprendere adeguatamente in che modo si siano svolte le fasi di merito e quali questioni siano state prospettate in quelle sedi, sicché l’eccezione non può che essere rigettata.
I rilievi sollevati con la seconda eccezione saranno, invece, chiariti in sede di esame della seconda censura, dovendo i principi di questa Corte, cui fanno riferimento i controricorrenti, essere riesaminati alla luce delle modifiche legislative medio tempore intervenute.
2.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione di legge (art. 102 cod. proc. civ.) e la nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stata la sentenza inutiliter data , al pari di quella di primo grado, in quanto entrambe emesse a contraddittorio non integro, non essendo stato evocato in giudizio l’istituto bancario BCC, Banca Versilia Lunigiana e Garfagnana, il quale, in quanto creditore ipotecario in seguito a iscrizione del 2008 per la somma di un milione di euro, andava considerato litisconsorte necessario.
2.2 Il primo motivo è inammissibile.
Nella sentenza impugnata non vi è, infatti, alcun richiamo alla questione riguardante il prospettato difetto di integrità del contraddittorio, che non risulta né descritta nella parte relativa allo svolgimento del processo, né trattata nella parte riguardante la decisione, con la conseguenza che, implicando essa un accertamento di fatto, la ricorrente, nel proporla in sede di legittimità, avrebbe dovuto, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta deduzione della stessa dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde consentire a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. 6-5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430), non essendo consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum e implichino indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 2, 15/3/2022, n. 12877; Cass., Sez. 2, 06/06/2018, n. 14477).
Né la questione deve essere sollevata d’ufficio in questa sede, posto che Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’azione diretta al rispetto delle distanze legali, volta a conseguire la demolizione o l’arretramento dell’opera, è modellata sullo schema dell’ actio negatoria servitutis , essendo rivolta non già all’accertamento del diritto di proprietà dell’attore, bensì a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dar luogo a servitù, sicché è esperibile esclusivamente nei confronti del proprietario confinante in considerazione del carattere reale dell’azione medesima (Cass., Sez. 6-2, 16/2/2022, n. 5078; Cass., Sez. 2, 12/12/2016, n.
25342; Cass., Sez. 2, 24.3.2015, n. 5899; Cass., Sez. 2, 01/03/2001, n. 2998) oppure di chi si affermi proprietario della porzione immobiliare oggetto dell’azione pur non avendone il possesso, in quanto finalizzata a rimuovere una situazione che comporti una manomissione del godimento del fondo stesso, o di chi vanti un preteso diritto configurabile come ius in re aliena , (Cass., Sez. 2, 23/01/2009 , n. 1778).
Nell’ actio negatoria servitutis , infatti, volta a sentir dichiarare l’inesistenza di un diritto di servitù sul fondo dell’attore (Cass., Sez. 2, 29/3/1999, n. 2982), la legittimazione attiva e passiva compete a coloro che sono titolari delle posizioni giuridiche dominicali, rispettivamente svantaggiate o avvantaggiate dalla servitù (Cass., Sez. 2, 17/03/2016, n. 5321; Cass., Sez. 2, 18/12/2014, n. 26769), senza che possa ad esse equipararsi la posizione del creditore ipotecario, la cui tutela, in caso di diritti reali limitati altrui, è apprestata dall’art. 2812 cod. civ., che gli consente di ‘far subastare il bene come libero’.
Non rilevano neppure i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 1238 del 23/1/2015, come invece suggerito nella censura, in quanto attinenti alla diversa situazione in cui la reintegrazione o la manutenzione del possesso richiedano, per il ripristino dello stato dei luoghi, la demolizione di un’opera in proprietà o possesso di più persone, e in cui sono litisconsorti necessari il comproprietario o compossessore non autore dello spoglio, ossia soggetti che vantano per l’appunto un diritto dominicale o una situazione di fatto ad esso riconducibile, e non certo il creditore ipotecario, il quale non può vantare alcun potere immediato sulla cosa, contrariamente a quanto sancito dall’art. 1140 cod. civ., non essendo ipotizzabile un possesso del bene corrispondente al diritto reale di garanzia (in questi termini di recente anche Corte Cost. 3/10/2024, n. 160).
3. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 9 e 10 Norme tecniche di attuazione del Regolamento Urbanistico del Comune di Carrara, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito erroneamente affermato che l’intervento realizzato aveva superato, in volume e altezza, i limiti assentiti col titolo abilitativo, posto che, in luogo di un ampliamento in linea orizzontale, era stata realizzata una palazzina di tre piani, senza, invece, considerare che l’ultimo piano era costituito da un sottotetto non abitabile, che lo strumento edilizio consentiva per gli edifici R3, come quello di specie, una sopraelevazione fino all’altezza massima di mt. 7,5, come quella realizzata nel caso in esame, che l’edificio costruito era conforme ai titoli edilizi acquisiti e costituiva una ristrutturazione urbanistica, come affermato dal dirigente del settore urbanistico del Comune, e non una nuova costruzione e che, in ragione di ciò, la società aveva diritto a mantenerlo alla distanza preesistente, come di fatto avvenuto.
4. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione di legge e l’errata interpretazione delle norme regolamentari (art. 9 N.T.A. del Regolamento edilizio) del Comune di Carrara in materia di distanze, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che fosse stata integrata la violazione delle distanze sancita dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, senza considerare che l’edificio realizzato non poteva considerarsi come nuova costruzione, ma come ristrutturazione edilizia, per la quale erano consentite modifiche di sagome e incrementi di volume, che l’art. 9 delle N.T.A. del Regolamento edilizio comunale prevedeva il rispetto della distanza di mt. 5 dal confine per le sole nuove costruzioni e per gli interventi aventi dimensioni eccedenti i limiti previsti per quelli di manutenzione e di ristrutturazione ordinaria descritti nelle lett. a), b), c), che per gli
interventi in ampliamento del tipo Ru3, come quello in esame, era possibile il mantenimento della distanza preesistente, la cui violazione soltanto avrebbe imposto il rispetto della distanza di mt. 5 dal confine, e che la nuova struttura era stata realizzata per adeguarla alla normativa antisismica.
5.1 Il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto afferenti alla nozione di nuova costruzione e di ristrutturazione ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile in tema di distanze, sono fondati.
5.2 Occorre innanzitutto respingere i rilievi di inammissibilità delle censure, sollevati dai controricorrenti e fondati sulla mancata impugnazione, da parte della ricorrente, della qualificazione del fabbricato in termini di nuova costruzione operata dal giudice di primo grado, con conseguente giudicato formatosi sul punto, e sulla natura meritale delle censure.
Questa Corte ha, infatti, già avuto modo di affermare che l’ambito di operatività del giudicato, in virtù del principio secondo il quale esso copre il dedotto e il deducibile, è correlato all’oggetto del processo e colpisce, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull’esistenza del diritto azionato, ma anche sull’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti, senza estendersi a fatti ad esso successivi e a quelli comportanti un mutamento del petitum e della causa petendi , fermo restando il requisito dell’identità delle persone (Cass., Sez. 1, 9/11/2022, n. 33021).
La preclusione per effetto di giudicato sostanziale può scaturire, invero, solo da una statuizione che abbia attribuito o negato “il bene della vita” preteso e non anche da una pronuncia che non contenga statuizioni al riguardo, pur se essa risolva questioni giuridiche strumentali rispetto all’attribuzione del bene controverso,
non essendo suscettibili di passare in giudicato quei capi della pronuncia che, sebbene non impugnati, sono strettamente collegati da rapporto pregiudiziale o conseguenziale (Cass., Sez. 1, 17/1/2022, n. 1252), atteso che il giudicato interno si forma solo su di un capo autonomo di sentenza che, restando del tutto indipendente, risolva una questione avente una propria individualità e autonomia, la quale non può dirsi sussistente allorché consista in una mera argomentazione, ossia nella semplice esposizione di un’astratta tesi giuridica, pur se funzionale a risolvere questioni strumentali rispetto all’attribuzione del bene controverso. In quest’ultimo caso, infatti, l’impugnazione della pronunzia di merito coinvolge necessariamente anche il ragionamento giuridico – esatto o errato che sia – che la sostiene, lasciando libero il giudice dell’impugnazione di confermare la decisione anche sulla base di una diversa motivazione in diritto (Cass., Sez. 1, 30/6/2022, n. 20951; Cass., Sez. 3, 05/09/2005, n. 17767; Cass., Sez. 1, 28/10/2005, n. 21092; Cass., Sez. 2, 03/07/2003, n. 10527; Cass., Sez. 3, 23/01/2002, n. 738; Cass., Sez. 3, 17/05/2001, n. 6757; Cass., Sez. 3, 02/10/1997, n. 9628). non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale ” unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno effetto giuridico, con la conseguenza che, sebbene
In particolare, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se minima ” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (fra le
tante Cass., Sez. 3, 19/10/2022, n. 30728; Cass., Sez. 6-L, 12/8/2018, n. 24783, non massimata).
Orbene, risulta dalla sentenza impugnata che la società ebbe a contestare, con l’atto di appello, la reputata illegittimità dell’intervento edilizio realizzato anche con riguardo alla violazione delle distanze e l’affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado, dell’applicabilità del limite di distanza di mt. 5 dai confini a tutte le ‘nuove costruzioni’, benché ne dovessero restare esclusi gli interventi di ristrutturazione urbanistica con parziale o totale demolizione e ampliamento.
Dal tenore delle censure appare allora evidente come la ricorrente abbia inteso rimettere in discussione anche la qualificazione dell’intervento edilizio operata dai giudici di merito, dalla quale sarebbe derivata una diversa disciplina in tema di distanze, senza che possa dirsi di carattere meritale la dedotta falsa applicazione della norma in tema.
5.3 Venendo al merito, si osserva innanzitutto che, nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che l’intervento edilizio realizzato dalla società fosse stato autorizzato ai sensi dell’art. 9, lett. d), delle N.T.A. del Comune di Massa, quale (ru3) ampliamento, sostenendo che anche in tale caso fosse cogente il rispetto del limite di distanza di mt. 5 dal confine, atteso che la disposizione di chiusura imponeva il rispetto della distanza minima per ogni intervento che realizzasse un manufatto dalle dimensioni eccedenti i limiti stabiliti per gli interventi di manutenzione e ristrutturazione descritti alle lett. a), b) e c) della medesima norma.
5.4 Orbene, partendo dal principio iura novit curia , operante in materia di distanze, in virtù del quale spetta al giudice e quindi anche a questa Corte di legittimità acquisire conoscenza d’ufficio, quando la violazione sia dedotta dalla parte, delle prescrizioni che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai
confini, in quanto integrative del codice civile (art. 873 cod. civ.) e valenza, pertanto, di norme giuridiche (anche se di natura secondaria) (cfr. Cass., Sez. 2, 5/2/2020, n. 2661; Cass., Sez. 2, 02/12/2014, n. 25501; Cass., Sez. 2, 15/06/2010, n. 14446), occorre evidenziare che la nozione di ristrutturazione urbanistica ha subito importanti cambiamenti in seguito alla modifica della lett. d) dell’art. 3, T.U. dell’Edilizia intervenuta con l’art. 10, comma 1, lett. b), del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv., con modif., dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, dettato ” al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo “, oltreché con il d.l. 1 marzo 2022, n. 17, conv., con modif., dalla legge 27 aprile 2022, n. 34 che ha posto come eccezione gli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell’art. 142 del medesimo codice – e con il d.l. 17 maggio 2022, n. 50, conv., con modif., dalla legge 15 luglio 2022, n. 91 che ha sostituito il richiamo all’art. 142 con l’indicazione degli artt. 136, comma 1, lett. c) e d), e 142 -, in quanto, in virtù di essa, la ricostruzione non riguarda più i soli interventi di ‘ demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica ‘, ma contempla anche i casi in cui l’intervento sia avvenuto con modifica di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico e altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli
strumenti urbanistici comunali, con incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.
Come osservato dalla Sez. 3, penale, di questa Corte, con la sentenza n. 1669 del 18/1/2023, il riportato ampliamento dell’ambito di operatività della nozione attuale di ristrutturazione, quand’anche riguardante manufatti crollati o demoliti e soggetti poi a “ripristino”, non ha fatto venir meno la ratio qualificante del suddetto intervento edilizio, ossia quella del recupero del fabbricato preesistente, con la conseguenza che esso non può fare a meno di una certa continuità con l’edificato pregresso, come affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza (T.A.R. Veneto Sez. H n. 660 del 2 maggio 2022; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 183; Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020 n. 1641), nonché, analogamente, da questa Suprema Corte (Cass., Sez. 3 n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338-01), laddove ha precisato, ancorché rispetto a un quadro normativo non inclusivo ancora del citato d.l. del luglio 2020 n. 76, che l’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, che gli “interventi di ristrutturazione edilizia” non prescindono, né potrebbero, dalla necessità che venga conservato l’immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero, e che l’interpretazione della definizione di intervento di ristrutturazione edilizia deve essere aderente (e non tradire) la finalità di conservazione del patrimonio edilizio esistente, che lo contraddistingue rispetto all’intervento di “nuova costruzione” di cui alla successiva lettera e), senza prestarsi all’elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione e applicabili in caso di nuova costruzione, come confermato dallo stesso art. 10, integrativo dell’art. 3 comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001, laddove premette che le novelle introdotte rispondono ” al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle
imprese, nonché di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo “.
Proprio con specifico riguardo agli interventi di demolizione e ricostruzione, la suddetta disposizione va correlata, per quanto qui interessa, al comma 1ter dell’art. 2 -bis , del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001, aggiunto dall’art. 5, comma 1, legge n. 55 del 2019 poi così sostituito dall’art. 10, comma 1, lett. a), legge n. 120 del 2020, il quale stabilisce che ‘ In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti ‘.
Con circolare, a firma congiunta del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e della Funzione Pubblica, del 2 dicembre 2020, sono stati forniti alcuni chiarimenti interpretativi sulle modifiche al T.U. edilizia in materia di distanze in caso di interventi di demolizione e ricostruzione di edifici già esistenti e sulla definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia, precisandosi, innanzitutto, che « Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per
l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico », che « l’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana » e che « costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza ».
Si è poi chiarito che « la modifica di cui sub a) amplia l’area degli interventi ricadenti nella nozione di ristrutturazione edilizia, individuando i parametri la cui modifica -a differenza di quanto previsto dalla previgente disciplina -non risulta rilevante ai fini della qualificazione di un intervento di demolizione e ricostruzione come ristrutturazione edilizia, piuttosto che come nuova costruzione », e che sono possibili ora « incrementi di volumetria non solo per l’adeguamento alla normativa antisismica, ma anche per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico », salvo che si tratti di edifici vincolati ovvero ricadenti in zona A o assimilate, o per previsioni legislative e degli strumenti urbanistici che contemplino siffatti incrementi per finalità di ‘rigenerazione urbana’.
Si è infine chiarito che « le previsioni contenute nel comma 1-ter dell’articolo 2 -bis del testo unico vanno lette nel contesto della disposizione in questione, che è specificamente intesa a disciplinare i casi in cui siano oggetto di demolizione e ricostruzione edifici preesistenti che risultino ‘legittimamente’ ubicati rispetto ad altri immobili in posizione tale da non rispettare specifiche norme in materia di distanze (ivi comprese quelle contenute nel d.m. n.
1444/1968), di guisa che non ne sarebbe consentita l’edificazione ex novo», sicché la ricostruzione è possibile col mantenimento delle distanze preesistenti « se non è possibile la modifica dell’originaria area di sedime e purché l’edificio originario fosse stato ‘legittimamente’ realizzato » (intendendosi con ciò realizzato alla stregua di un titolo edilizio), che « la previsione è testualmente riferita ad ‘ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici’, e quindi indipendentemente dall’ascrivibilità degli interventi alla categoria della ristrutturazione edilizia o a quella della nuova costruzione» e che «in questi casi sono consentiti gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento, anche fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, purché sia sempre rispettata la distanza preesistente », intendendosi con tale previsione « non ogni incremento volumetrico, ma solo quelli aventi carattere di ‘incentivo’, ad esempio perché attribuiti in forza di norme di ‘piano casa’ ovvero aventi natura premiale per interventi di riqualificazione ».
In sostanza, in virtù della ratio della lett. d) dell’art. 3, T.U. dell’Edilizia, così come modificata dall’art. 10, comma 1, lett. b), del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv., con modif., dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, data dall’esigenza di recuperare il patrimonio edilizio preesistente, il ripristino di edifici eventualmente crollati o demoliti e la loro ricostruzione, quando ne sia accertabile la preesistente consistenza e non sia possibile modificare l’originaria area di sedime, può avvenire nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti, ossia quelle riguardanti un edificio realizzato sulla base di un titolo edilizio, anche quando siano stati realizzati ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, purché questi avvengano nell’ambito di incrementi volumetrici aventi carattere di
incentivo (ad es. piano casa) o natura premiale (come in caso di adeguamento alla normativa antisismica, applicazione della normativa sull’accessibilità, installazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico) o il fine di promuovere interventi di rigenerazione urbana, salvo che si tratti di edifici vincolati ovvero ricadenti in zona A o assimilate.
Ebbene, posto che sia le norme tecniche di attuazione dei piani regolatori generali, sia i regolamenti edilizi comunali hanno valenza integrativa dell’art. 873 cod. civ. e natura regolamentare o di atti amministrativi generali e che sono, pertanto, subordinati solamente alle norme di rango primario in esecuzione delle quali sono stati emanati (Cass., Sez. 2, 2/2/2002, n. 3241; Cass., Sez. 2, 23/7/2009, n. 17338), deve ritenersi che queste debbano adeguarsi anche alle novità normative sopra riportate, alle quali deve essere volta anche l’ermeneusi delle stesse.
Ciò comporta che i giudici di merito, partendo dal dato pacifico che le distanze dal confine e dalle costruzioni sono rimaste invariate (rispettivamente mt. 1,55 e mt. 2,80) e che il manufatto insiste sullo stesso sedime e tenendo conto del tipo di intervento edilizio realizzato, sono tenuti ad accertare non solo se l’edificio sia stato posto in essere alla distanza stabilita dal N.T.A. del Regolamento edilizio del Comune di Carrara, sia se l’aumento di volume del nuovo manufatto rientri nell’ambito di quegli incentivi che consentono comunque la sua ubicazione nel luogo in cui preesisteva l’immobile demolito alla stregua delle nuove disposizioni di cui si è dato conto, onde calcolare il rispetto delle distanze nei termini sopra precisati.
Deriva da quanto detto la fondatezza delle censure.
Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
per avere i giudici di merito trascurato il fatto che l’edificio dei COGNOME–COGNOME fosse affetto da numerosi abusi edilizi e violazioni delle distanze e che, pur avendo i predetti maturato il periodo utile per usucapire, come accertato in primo grado, sarebbe stato aberrante e contra legem condannare all’arretramento colui che avesse effettuato un intervento edilizio nel rispetto della normativa, a favore di chi quelle regole aveva invece violato. Ad avviso della ricorrente, l’arretramento era stato ordinato perché il proprio edificio fronteggiava per un metro lineare la veranda-cucina dei convenuti, abusiva e non sanabile, che non avrebbe neppure dovuto esistere e che avrebbe dovuto essere demolita.
7. Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta, infine, « l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La sostituzione della condanna al ripristino con il risarcimento del danno, abuso del diritto e mancato esercizio del diritto secondo buona fede », in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito respinto la domanda formulata dall’appellante circa la sostituzione della riduzione in pristino con il risarcimento del danno per equivalente, senza tener conto della situazione di grave irregolarità urbanistica e di grave violazione della normativa in materia di distanze in cui versava l’immobile dei convenuti, come accertata dal c.t.u.
Ad avviso della ricorrente, coloro che avevano invocato la tutela ripristinatoria avevano costruito in spregio al vincolo di inedificabilità sussistente nel proprio terreno, in assenza di titolo abilitativo e in violazione delle distanze che ora pretendevano violate dalla controparte, situazione questa che la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare, onde accertare il sacrificio imposto alla società e la sproporzione di esso con l’interesse delle controparti a ottenere l’arretramento, costituente in sé abuso del diritto e comportamento contrario a buona fede e correttezza.
8. Il quarto e quinto motivo sono entrambi inammissibili.
Infatti, ne ll’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 3, 28/2/2023, n. 5947; Cass., Sez. 3, 20/9/2023, n. 26934;Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860), onere che non viene meno in caso di successione nel diritto controverso tra primo e secondo grado, giacché il sopravvenuto mutamento del soggetto titolare della posizione sostanziale dedotta in giudizio non implica necessariamente la diversità tra le ragioni di fatto alla base della sentenza di primo grado e quelle della conferma in grado di appello (Cass., Sez. 3, 20/9/2023, n. 26934, cit.).
Pertanto, non avendo la ricorrente ottemperato a tale incombente, deve dichiararsi l’inammissibilità delle censure.
In conclusione, dichiarata la fondatezza del secondo e terzo motivo, l’inammissibilità del primo, quarto e quinto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Genova che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 29/5/2025.