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Distanze tra costruzioni: DM 1444/68 si applica sempre

In una lunga disputa tra proprietari confinanti, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio cruciale in materia di distanze tra costruzioni. La Corte ha sentenziato che la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate, prevista dal D.M. 1444/1968, si applica direttamente anche quando i piani regolatori locali sono silenti o prevedono solo l’inedificabilità, come in una zona agricola. Inoltre, ha ribadito che in caso di violazione delle norme edilizie e antisismiche, il rimedio principale è il ripristino della situazione originaria (demolizione o arretramento) e non il semplice risarcimento del danno, a tutela del diritto di proprietà e della sicurezza pubblica. La sentenza di merito è stata annullata con rinvio per una nuova valutazione basata su questi principi.

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Distanze tra Costruzioni: La Cassazione Sancisce la Prevalenza del DM 1444/1968

Il rispetto delle distanze tra costruzioni è un pilastro del diritto immobiliare, essenziale per garantire la salubrità, la sicurezza e la privacy abitativa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in questa materia, chiarendo la gerarchia delle fonti normative e i rimedi esperibili in caso di violazione. La decisione analizza un caso complesso, originato da una controversia tra vicini, per stabilire che le norme statali prevalgono sulla pianificazione locale quando questa è carente.

I Fatti del Caso: Una Controversia Trentennale

La vicenda giudiziaria ha inizio nel 1991. La proprietaria di un fabbricato a uso abitativo e di un garage citava in giudizio i proprietari di un edificio confinante di cinque piani, accusandoli di aver costruito in violazione delle distanze legali. La richiesta era chiara: ottenere la demolizione parziale dell’immobile, la rimozione dei balconi e la chiusura delle vedute, oltre al risarcimento dei danni.
I costruttori del nuovo edificio si difendevano sostenendo che la presenza di una strada privata ad uso pubblico tra le due proprietà escludesse l’applicazione delle norme sulle distanze.
Il Tribunale, in primo grado, condannava i costruttori a un risarcimento di oltre 32.000 euro. La Corte d’Appello, in seguito, modificava parzialmente la decisione: pur respingendo l’appello principale, accoglieva in parte quello incidentale della proprietaria originaria. Ordinava ai vicini di trasformare la loro parete in un muro cieco, chiudere i balconi e realizzare finestre lucifere, condannandoli inoltre a un risarcimento di quasi 30.000 euro per la violazione della normativa antisismica.

Le Distanze tra Costruzioni e la Normativa Applicabile

Il cuore del ricorso in Cassazione verteva sulla corretta individuazione della normativa applicabile. I costruttori sostenevano che, trovandosi gli immobili in zona agricola (zona E del P.R.G.), per la quale il piano regolatore non prevedeva specifiche distanze per l’edilizia residenziale, si dovesse applicare la norma generale del Codice Civile (art. 873), che prescrive una distanza di soli tre metri. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato completamente questa interpretazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La sentenza della Cassazione si fonda su due pilastri argomentativi: la prevalenza della normativa statale in materia di distanze e la natura dei rimedi contro le violazioni edilizie.

La Prevalenza del D.M. 1444/1968

I giudici hanno stabilito che, in materia di distanze tra costruzioni, il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968 rappresenta una norma imperativa e di ordine pubblico. L’articolo 9 di tale decreto fissa una distanza minima inderogabile di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti. Questa regola, secondo la Corte, si integra automaticamente negli strumenti urbanistici locali, anche quando questi sono silenti, incompleti o prevedono solo un’inedificabilità assoluta. Il giudice di merito ha quindi l’obbligo di disapplicare qualsiasi norma locale in contrasto e applicare direttamente il D.M. 1444/1968. La Corte d’Appello aveva errato nel non individuare e applicare questa norma fondamentale, limitandosi a un’analisi incompleta.

Violazione della Normativa Antisismica e Primato della Riduzione in Pristino

La Suprema Corte ha anche censurato la decisione d’appello riguardo alla violazione della normativa antisismica. La Corte territoriale aveva optato per una soluzione (trasformazione della parete in muro cieco) senza spiegare adeguatamente come questa potesse mitigare il rischio sismico, che anzi, secondo la Cassazione, poteva essere aggravato dall’avvicinamento della nuova costruzione.
Inoltre, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: la violazione di norme sulle distanze, che attengono a un diritto reale, impone come rimedio primario la riduzione in pristino, ovvero l’eliminazione fisica dell’opera illecita (demolizione o arretramento). Il risarcimento per equivalente è una soluzione eccezionale, non applicabile quando la tutela del diritto reale e della pubblica incolumità esige la rimozione del fatto lesivo. Limitare la tutela al solo risarcimento economico svuoterebbe di significato la protezione del diritto di proprietà.

Conclusioni

La sentenza riafferma con forza due principi cardine per chiunque si occupi di edilizia e contenzioso immobiliare:
1. Gerarchia delle fonti: Le norme statali sulle distanze minime (D.M. 1444/1968) prevalgono sempre sui piani regolatori locali, colmando le loro lacune o sostituendo le loro disposizioni illegittime. La distanza di 10 metri tra pareti finestrate è un limite inderogabile.
2. Tutela reale: Di fronte a una costruzione illegittima, il proprietario danneggiato ha diritto, in via principale, a ottenere la rimozione fisica dell’abuso (riduzione in pristino). Il risarcimento monetario non può sostituire questo diritto, specialmente quando sono in gioco anche la sicurezza e la normativa antisismica.

Cosa succede se un piano regolatore locale (P.R.G.) non specifica le distanze minime tra edifici in una certa zona, come quella agricola?
In questo caso, non si applica automaticamente la distanza generica di tre metri del Codice Civile. La Corte di Cassazione ha stabilito che si deve applicare direttamente la norma statale inderogabile del D.M. 1444/1968, che prescrive una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti.

Il risarcimento del danno può sostituire la demolizione di un edificio che viola le distanze legali o le norme antisismiche?
No, di regola non può. La violazione di norme sulle distanze lede un diritto reale. La tutela principale prevista dalla legge è la ‘riduzione in pristino’, ossia l’eliminazione fisica dell’abuso (demolizione o arretramento). Il risarcimento monetario è considerato un rimedio secondario e non adeguato a ripristinare il diritto violato e a garantire la sicurezza.

Le regole sulle distanze tra costruzioni si applicano anche se uno degli edifici è stato costruito abusivamente?
Sì. La Corte ha ribadito il principio secondo cui le norme sulle distanze legali devono essere rispettate indipendentemente dalla legittimità edilizia delle costruzioni. La regolarità della concessione edilizia riguarda il rapporto tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione, mentre le distanze tutelano i rapporti tra privati e i loro diritti di proprietà.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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