Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19766 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19766 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Oggetto
Dott. NOME COGNOME
Presidente
DISTANZE
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 26/06/2025
Dott. NOME COGNOME
Rel. Consigliere R.G.N. 4260/2020
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4260/2020 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE
-intimata –
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 3630/2019 depositata il 28/06/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Sostituto Procuratore generale in persona del dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto di tutti i motivi di ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio dinanzi il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere la società RAGIONE_SOCIALE al fine di sentirla condannare ad arretrare la costruzione edificata dalla convenuta fino al rispetto della distanza minima di 5 mt. dal confine e di 10 mt. dal fabbricato dell’attore, sito in INDIRIZZO, alla INDIRIZZO per violazione delle distanze prescritte dalla normativa edilizia vigente nell’area interessata.
RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere accoglieva la domanda attorea e condannava la convenuta ad arretrare il piano rialzato eretto in INDIRIZZO alla INDIRIZZO in prossimità del confine con la proprietà di NOME COGNOME.
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME si costituiva nel giudizio di appello chiede ndone l’inammissibilità o il rigetto .
La Corte d’appello di Napoli con sentenza non definitiva, in accoglimento del primo motivo di appello, dichiarava la nullità dell’ordinanza resa dal giudice di primo grado in data 18 ottobre 2010 e dei successivi atti, oltre che della sentenza impugnata e, contestualmente, disponeva la prosecuzione del giudizio previa rinnovazione degli atti processuali compiuti in violazione del contraddittorio. Disponeva, pertanto, la rinnovazione delle
operazioni peritali con nomina di un nuovo consulente nella persona dell’ingegner NOME COGNOME.
Con la sentenza definitiva la Corte d’Appello accoglieva parzialmente il gravame e condannava la parte appellante ad arretrare l ‘ ala ovest dell’autorimessa di sua proprietà in modo da posizionarsi alla distanza lineare non inferiore a 10 mt. dall’edificio di proprietà COGNOME, assumendo come riferimento il grafico allegato dell’elaborato peritale a firma del CTU NOME COGNOME. Questi aveva provveduto innanzitutto alla specifica individuazione della linea di confine tra i fondi vista la contrastante prospettazione fornita dalle parti. Per questo motivo erano infondate le eccezioni sollevate contro l’operato del consulente che aveva invece espletato l’incarico in perfetta aderenza al mandato ricevuto.
Secondo l’elaborato peritale i fondi erano confinanti e la linea di confine era individuabile attraverso i grafici del rilievo dei luoghi del piano di lottizzazione e della mappa catastale. Secondo il perito tra il muro con recinzione delimitante la proprietà dell’appellato COGNOME e quello delimitante la proprietà dell’appellante COGNOME vi era una fascia di terreno in pendenza, incolta ed invasa dai rovi avente forma trapezoidale, non posseduta né rivendicata da alcuno dei contendenti né da terzi, denominata ‘ fascia di terreno che residua ‘ . Il CTU, acclarato che i fondi confinavano, dopo aver valutato il tipo di frazionamento da cui aveva avuto origine la proprietà COGNOME e quello da cui aveva avuto origine la proprietà COGNOME, all’esito dei rilievi e delle verifiche, valendosi anche dell’opera di un esperto topografo, accertava che detti tipi di frazionamento, pur derivando dalla medesima proprietà originaria e conseguendo dalla medesima lottizzazione, non collimavano con
precisione tra di loro, sussistendo un leggero scostamento in particolare quanto al fondo della proprietà Di COGNOME.
Il muro di recinzione in cemento armato delimitante il lato est della proprietà di NOME COGNOME era arretrato rispetto alla linea di confine in misura ben maggiore della tolleranza ammissibile ed era evidente l’errore di posizionamento del fondo COGNOME rispetto al tipo di frazionamento da cui aveva avuto origine, sicché sulla scorta di tali accertamenti ed avendo definito l’entità delle tolleranze ammissibili, il consulente aveva individuato la linea di confine quale quella più probabile tra i fondi delle parti con una fascia di tolleranza. In tal modo la delimitazione della proprietà RAGIONE_SOCIALE era costituita dal muro con ringhiera nel primo tratto a partire dalla INDIRIZZO e poi in prosieguo dal muro perimetrale dell’autorimessa.
Il corpo di fabbrica relativo all’autorimessa di proprietà RAGIONE_SOCIALE era edificato sul confine e il fabbricato di proprietà dell’appellante RAGIONE_SOCIALE, alto metri 11,16 nel lato prospiciente al detto confine era edificato alla distanza di metri 5,65 dal confine. Pertanto, erano entrambi conformi alle prescrizioni circa le distanze dal confine.
Quanto alle distanze tra fabbricati da misurarsi con metodo lineare e non radiale era precisato che l’autorimessa che doveva qualificarsi come costruzione in senso tecnico era a distanza di metri 9,37 con il corpo di fabbrica del di Nardo in violazione della distanza di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti mentre non sussistevano violazioni per il fabbricato posto a distanza lineare superiore a mt. 10.
Dunque doveva accogliersi solo parzialmente l’originaria domanda avanzata dal COGNOME con conseguente condanna della RAGIONE_SOCIALE ad arretrare l’ala ovest dell’autorimessa di sua proprietà in modo da posizionarla a distanza lineare non inferiore a 10 mt. dall’edificio di proprietà COGNOME.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza sulla scorta di 7 motivi.
NOME è rimasta intimata.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: sulla natura delle sentenza non definitiva n. 1074/2018, rg 2998/15 del 9.02.18, da ritenersi ordinanza; violazione o falsa applicazione dell’art. 131 c.p.c. (forma dei provvedimenti in generale), art. 277 c.p.c. (pronuncia sul merito), 278 c.p.c. (condanna generica provvisionale), 279 c.p.c. (forma dei provvedimenti del collegio), art. 176 c.p.c. (forma dei provvedimenti), art. 177 c.p.c. (effetti e revoca delle ordinanze), 350 c.p.c. (trattazione), art. 356 c.p.c. (ammissione e assunzione di prove), in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., art. 361 c.p.c. (riserva facoltativa di ricorso contro sentenze non definitive).
Il provvedimento indicato in rubrica non avrebbe natura di sentenza non definitiva bensì di ordinanza e, dunque, il regime impugnatorio dovrebbe seguire le regole delle ordinanze e non delle sentenze non definitive.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: sulle conclusioni dell’appellante RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE; – omessa domanda di annullamento degli atti
processuali e delle intere attività svolte nel 1° grado, ma solo quelle svoltesi dopo l’ud. del 4.10.10; violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), art. 113 (pronuncia secondo diritto), art. 156 c.p.c. (rilevanza delle nullità), art. 157 c.p.c. (rilevanza e sanatoria delle nullità), art. 159 c.p.c. (estensione della nullità), art. 354 c.p.c. (rimessione al primo giudice per altri motivi).
Secondo parte ricorrente fino all’ud. del 4.10.10, le attività processuali si sono svolte nel rispetto del contraddittorio, addirittura con il deposito della CTU. Ed infatti, la RAGIONE_SOCIALE non ha mai contestato le operazioni processuali relative alla CTU del 1° grado. Invece, con la sentenza non definitiva in questione si è disposta la rinnovazione della CTU e, dunque, di tutta l’attività istruttoria svoltasi in 1° grado, anche quella relativa alla nomina, giuramento, sopralluoghi, verbali, e lo stesso elaborato della CTU. Il giudice di 2° grado avrebbe dovuto, eventualmente, dichiarare (con ordinanza) la nullità delle attività” istruttorie svolte dopo l’ud. del 4.10.10, e cioè, far regredire il processo, consentendo all’Appellante di esplicare solo le attività (eventualmente) preclusegli da quella data e provvedere ex art. 159 c.p.c. (estensione della nullità) e art. 354 c.p.c. (rimessione al primo giudice per altri motivi).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: sulla CTU in 2° grado; – omessa contestazione della CTU svolta nel 1° grado; vizio di ultrapetizione derivante dalla rinnovazione della CTU in 2° grado; violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), art. 113 (pronuncia secondo diritto), art. 156 c.p.c. (rilevanza delle nullità), art. 157
c.p.c. (rilevanza e sanatoria delle nullità), art. 159 c.p.c. (estensione della nullità), art. 196 c.p.c. (rinnovazioni delle indagini e sostituzione del consulente), art. 354 c.p.c. (rimessione al primo giudice per altri motivi), in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: sull’ordinanza del 9.05.13 del giudice di 1° grado; – omessa querela di falso impugnazione: violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), art. 113 (pronuncia secondo diritto), art. 176 c.p.c. (forma dei provvedimenti), art. 177 c.p.c. (effetti e revoca delle ordinanze),art. 156 c.p.c. (rilevanza delle nullità), art. 157 c.p.c. (rilevanza e sanatoria delle nullità) art. 159 c.p.c. (estensione della nullità), in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c..
4.1 I primi quattro motivi, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
I suddetti motivi, infatti, sono proposti avverso la sentenza non definitiva n. 1074, depositata il 9 febbraio 2018 senza che la parte abbia fatto riserva di appello.
Nel caso in esame, la ricorrente, che ha totalmente omesso di menzionare l’avvenuta riserva facoltativa di impugnazione, sostiene che la sentenza non definitiva oggetto del ricorso per cassazione dovrebbe seguire il regime delle impugnazioni delle ordinanze non potendo essere considerata alla stregua di una sentenza.
La tesi è del tutto infondata.
In proposito occorre preliminarmente richiamare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui: Per stabilire se un provvedimento costituisca sentenza o ordinanza endoprocessuale, è necessario avere riguardo non alla sua forma esteriore o all’intestazione adottata, bensì al suo contenuto e, conseguentemente, all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sicché hanno natura di sentenze – soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i provvedimenti che, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio. (Cass. Sez. 1, 19/02/2018, n. 3945, Rv. 647415 – 01).
Ciò precisato, nel caso di specie non può sorgere alcun dubbio sulla natura di sentenza del provvedimento sopra citato vista la coincidenza tra la forma esteriore adot tata dalla Corte d’Appello con l’intestazione recante sentenza non definitiva e il suo contenuto decisorio, dichiarativo della nullità dell’ordinanza resa dal giudice di primo grado in data 18 ottobre 2010 e dei successivi atti processuali, oltre che della sentenza impugnata, in accoglimento del primo motivo di appello.
Pertanto, il ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva n. 1074/2018, rg 2998/15 del 9.02.18 è inammissibile in quanto tardivo. Infatti, l ‘art. 361 c.p.c. prevede che contro le sentenze previste dall’articolo 278 e contro quelle che decidono una o alcune delle domande senza definire l’intero giudizio, il ricorso per cassazione può essere differito, qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la
proposizione del ricorso e, in ogni caso, non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa .
La regola generale in tema di gravame avverso sentenze non definitive è, dunque, quella della loro impugnabilità immediata al fine di evitare la preclusione da giudicato interno sulla questione da essa risolta. In mancanza di espressa riserva ex art. 361 c.p.c. la sentenza non definitiva può essere, pertanto, impugnata entro i termini per appellare previsti dagli artt. 325 e 327 c.p.c., e perciò, in caso di mancata comunicazione o notificazione di essa, entro sei mesi dalla sua pubblicazione, a nulla rilevando che l’art. 340 c.p.c. preveda la possibilità di esercitare la facoltà di impugnazione differita fino alla prima udienza successiva alla comunicazione, giacché tale norma prevede che detta facoltà vada esercitata a pena di decadenza entro il termine per appellare e, in ogni caso, non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione, con il chiaro intento non già di dilatare i termini di impugnazione previsti dai citati artt. 325 e 327 c.p.c., bensì di restringerli nel caso in cui la prima udienza successiva alla comunicazione intervenga prima dello scadere di essi (Cass. n. 4285 del 2000, che ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva impugnata dopo il decorso di un anno dal deposito ancorché detta sentenza non risultasse comunicata; Cass. n. 617 del 1980).
Deve ribadirsi dunque che: La sentenza non definitiva può essere impugnata entro i termini per appellare previsti dagli artt. 325 e 327 c.p.c. e, quindi, in caso di sua mancata comunicazione o notificazione, entro sei mesi, dalla sua pubblicazione.
Nella specie i suddetti termini risultano ampiamente superati e dunque l’impugnazione della sentenza non definitiva è inammissibile in quanto tardiva. Infatti, la sentenza è stata depositata il 9 febbraio 2018 e il ricorso proposto unitamente alla sentenza definitiva è stato notificato in data 17 gennaio 2020.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: sul giudicato penale sent. n. 1051(17 (alleg. 8b); – effetti sul giudizio civile; violazione o falsa applicazione dell’art. 651 c.p.p. (efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o….), art. 654 c.p.p. (efficacia della sentenza penale di condanna o di…, in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c.
Il ricorrente sostiene che la sentenza resa in sede penale dalla Corte d’appello di Napoli, passata in giudicato, del quale riporta il capo di imputazione contro COGNOME NOME avrebbe inequivocabilmente esaminato oltre la sua responsabilità anche i titoli amministrativi rilasciati al fabbricato nonché tutti gli aspetti tecnici irregolari tra cui anche le distanze tra i fabbricati oggetto del giudizio civile. Era precluso pertanto al giudice di civile procedere ad un nuovo accertamento e ad una diversa ricostruzione dei fatti.
5.1 Il quinto motivo è inammissibile.
In primo luogo, deve affermarsi l’inammissibilità della censura per novità della questione.
Nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. Sez. 1, 25/10/2017, n. 25319, Rv. 645791 – 01).
Nella sentenza impugnata, infatti, non vi è alcun riferimento all’esistenza del giudizio penale cui fa riferimento il ricorrente, il quale omette del tutto di indicare in quale atto del giudizio ha sollevato la questione del giudicato penale.
Deve farsi applicazione dei seguenti principi del tutto consolidati: «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio» ( ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 61, Ord n. 15430 del 2018).
Infatti, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599;
Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).
Peraltro, la censura essendo del tutto generica presenta ulteriori profili di inammissibilità non emergendo alcuno specifico riferimento all’oggetto del presente giudizio se non un richiamo a d alcuni titoli abilitativi non meglio specificati.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: sulla ordinanza del 9.05.13 del giudice di 1° grado (alleg. 25); – omesse ricerche/indagini ricostruzione (nel 1° e 20 grado civile) della notifica della comunicazione dell’ordinanza del 9.05.13 del giudice di 1° grado (alleg. 25); violazione o falsa applicazion e dell’art. 168 c.p.c. (iscrizione della causa a ruolo e formazione del fascicolo d’ufficio), art. 36 disp. att. c.p.c. (fascicoli di cancelleria), art. 45 dsp. att. c.p.c. (forma delle comunicazioni del cancelliere), art. 354 c.p.c. (rimessione al primo giudice per altri motivi), in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c.
6.1 Il sesto motivo di ricorso è inammissibile perché rivolto anch’esso avverso la sentenza non definitiva rispetto alla quale non vi è stata riserva di appello e, dunque, il ricorso è tardivo per le ragioni già indicate nel dichiarare inammissibili i primi quattro motivi.
Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: sulla linea di confine; – sulla fascia di tolleranza; violazione o falsa applicazione dell’art. 873 cc (distanze nelle costruzioni), art. 28 L. n. 110/1942 (legge urbanistica), in relazione all’art. 360 co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c.
Con la censura in esame parte ricorrente ritiene erronea la determinazione del confine tra i due fondi operato dal consulente tecnico sulla base dei frazionamenti e in relazione alle tolleranze alla fascia di tolleranza e, inoltre, lamenta l’utilizzo del metodo lineare anziché di quello radiale per la determinazione delle distanze tra fabbricati.
7.1 Il settimo motivo di ricorso è in parte fondato.
La censura relativa alla erronea determinazione del confine tra i fondi è inammissibile perché implica una richiesta di rivalutazione dei fatti come accertati dal giudice del merito, attività che si sottrae al sindacato di legittimità. La Corte d’Appello ha ritenuto sulla base della ctu che il confine tra i fondi fosse quello indicato dal tecnico nominato esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento. L ‘attività di determinazione del confine anche se genericamente censurata sotto il profilo della violazione di legge si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova e non consentita valutazione di risultanze di fatto.
Quanto alla distanza tra fabbricati la Corte d’appello ha adoperato il metodo c.d. lineare nella determinazione della distanza senza tenere conto che, nella specie, non si discuteva delle distanze di cui all’art. 873 c.c., la cui finalità consiste nell’evitare intercapedini dannose. Solo in tale ipotesi, infatti, per i fabbricati che, sorgendo da bande opposte rispetto alla linea di confine, si fronteggiano, anche solo in minima parte, la distanza tra gli stessi va misurata in modo lineare e non, come invece previsto in materia di vedute, in modo radiale (Cass. Sez. 2, 11/05/2016, n. 9649, Rv. 639696 – 01).
Viceversa, le norme dei regolamenti edilizi che impongono distanze tra le costruzioni maggiori rispetto a quelle previste dal codice civile o stabiliscono un determinato distacco tra le costruzioni e il confine sono volte non solo a regolare i rapporti di vicinato evitando la formazione di intercapedini dannose, ma anche a soddisfare esigenze di carattere generale, come quella della tutela dell’assetto urbanistico. Pertanto in tal caso si è ripetutamente affermato che, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino (Sez. 2, 11/09/2018, n. 22054, Rv. 650320 -01, conf. Sez. 6 – 2, Ord. n. 3854 del 18/02/2014 Rv. 629629 -01 e di recente Sez. 2, Ord. n. 10395 del 2025 in corso di massimazione).
In definitiva il solo settimo motivo di ricorso è fondato mentre i primi sei motivi sono da rigettare. Si impone la cassazione della sentenza in relazione al motivo accolto per un nuovo esame nel giudizio di rinvio della distanza tra fabbricati in applicazione dei principi sopra indicati. La Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione provvederà anche in relazione alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il settimo motivo di ricorso, rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 26 giugno 2025.
IL CONSIGLIERE ESTENSORE NOME COGNOME
IL PRESIDENTE NOME COGNOME
Ric. 2020 n.4260 sez. S2 – ud. 26/06/2025