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Distanze tra costruzioni: Cassazione chiarisce regole

La Corte di Cassazione si pronuncia su una complessa vicenda di distanze tra costruzioni tra un privato e un’impresa edile. La sentenza chiarisce due punti fondamentali: l’onere di impugnare tempestivamente le sentenze non definitive e il corretto criterio per misurare le distanze quando i regolamenti locali sono più restrittivi del Codice Civile. La Corte ha stabilito che, per tutelare l’assetto urbanistico, la distanza va misurata in sé, a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino, superando il ‘metodo lineare’ previsto per le sole intercapedini.

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Distanze tra costruzioni: la Cassazione detta le regole

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale in materia di distanze tra costruzioni, fornendo chiarimenti fondamentali sia sul piano del diritto sostanziale che su quello procedurale. La decisione analizza il corretto metodo di misurazione delle distanze imposte dai regolamenti edilizi e ribadisce l’importanza di impugnare tempestivamente le sentenze non definitive, pena l’inammissibilità del ricorso. Questo caso offre spunti preziosi per cittadini, imprese e professionisti del settore immobiliare.

I Fatti del Caso: Una Lunga Controversia sulle Distanze

La vicenda ha origine dalla causa intentata da un proprietario immobiliare contro un’impresa costruttrice. L’attore lamentava la violazione delle distanze minime legali (5 metri dal confine e 10 metri dal proprio fabbricato) da parte di una nuova costruzione dell’impresa.
Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione al proprietario, ordinando l’arretramento della costruzione. La società costruttrice ha però impugnato la decisione davanti alla Corte d’Appello. Quest’ultima, con una prima sentenza non definitiva, ha annullato parte degli atti del primo grado per violazione del contraddittorio e ha disposto una nuova consulenza tecnica (CTU). Con la successiva sentenza definitiva, la Corte d’Appello ha parzialmente accolto le ragioni dell’impresa, condannandola a un arretramento limitato solo a una parte dell’edificio (l’ala ovest dell’autorimessa).
Il proprietario, insoddisfatto, ha quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando sia la sentenza definitiva sia, retroattivamente, quella non definitiva.

La Decisione della Corte e le Distanze tra costruzioni

La Corte di Cassazione ha esaminato i sette motivi di ricorso presentati, giungendo a una decisione che distingue nettamente le questioni procedurali da quelle di merito.

L’Inammissibilità dei Motivi Procedurali: La Lezione sulla Sentenza Non Definitiva

I primi quattro motivi di ricorso, insieme al sesto, sono stati dichiarati inammissibili. Essi miravano a contestare la sentenza non definitiva con cui la Corte d’Appello aveva annullato gli atti del primo grado. La Cassazione ha ricordato un principio cardine del nostro ordinamento processuale: una sentenza non definitiva deve essere impugnata immediatamente, entro i termini di legge (in questo caso, sei mesi dalla pubblicazione), oppure la parte soccombente deve formulare una specifica ‘riserva di ricorso’ per poterla contestare insieme alla sentenza definitiva.
Nel caso di specie, il ricorrente non aveva fatto né l’una né l’altra cosa. Di conseguenza, al momento del ricorso contro la sentenza finale, la precedente pronuncia non definitiva era già passata in giudicato, rendendo ogni successiva contestazione tardiva e, quindi, inammissibile.

Il Cuore della Questione: Come si Misurano le Distanze tra costruzioni?

Il settimo motivo di ricorso, invece, è stato accolto. Questo motivo verteva sul criterio utilizzato dalla Corte d’Appello per misurare la distanza tra i fabbricati. I giudici di secondo grado avevano applicato il cosiddetto ‘metodo lineare’, che si usa per verificare il rispetto della distanza minima di cui all’art. 873 del Codice Civile, finalizzato a evitare la creazione di intercapedini dannose tra pareti che si fronteggiano.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione spiegando che quando i regolamenti edilizi locali impongono distanze maggiori rispetto a quelle del Codice Civile, lo scopo non è solo quello di regolare i rapporti di vicinato, ma anche di tutelare interessi generali legati all’assetto urbanistico del territorio.
In questi casi, la norma mira a garantire una certa densità edilizia, aerazione e luminosità, a prescindere dal fatto che le costruzioni si fronteggino o meno. Pertanto, ciò che rileva è la distanza ‘in sé’ tra gli edifici. Il metodo di misurazione non può essere quello ‘lineare’, pensato per le sole pareti antistanti, ma deve essere un criterio che rispetti la finalità urbanistica della norma locale, misurando la distanza minima tra i punti più vicini dei due edifici, anche se non si fronteggiano.
La Corte d’Appello, utilizzando il metodo lineare, ha commesso un errore di diritto. Per questo motivo, la Cassazione ha annullato la sentenza su questo punto, rinviando la causa a una diversa sezione della Corte d’Appello di Napoli per una nuova valutazione basata sul principio di diritto corretto.

le conclusioni

Questa sentenza offre due importanti lezioni. La prima, di natura processuale, è un monito sulla necessità di prestare la massima attenzione ai termini e alle modalità di impugnazione delle sentenze non definitive per non perdere il diritto di far valere le proprie ragioni. La seconda, di natura sostanziale, chiarisce che le norme sulle distanze previste dai regolamenti locali hanno una portata più ampia di quelle del Codice Civile e richiedono un metodo di misurazione coerente con le finalità di tutela del territorio e dell’assetto urbanistico.

Come si deve impugnare una sentenza non definitiva?
Una sentenza non definitiva deve essere impugnata immediatamente entro i termini previsti dalla legge (artt. 325 e 327 c.p.c.). In alternativa, la parte soccombente deve presentare una ‘riserva facoltativa di ricorso’ per poterla contestare insieme alla sentenza definitiva. Se non si segue una di queste due strade, la sentenza non definitiva passa in giudicato e non può più essere contestata.

Quale metodo va usato per misurare le distanze tra costruzioni imposte dai regolamenti edilizi?
Quando i regolamenti edilizi impongono distanze maggiori di quelle del Codice Civile per finalità urbanistiche, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino. Non si deve usare il ‘metodo lineare’ (valido per l’art. 873 c.c.), ma un criterio che misuri la distanza minima tra i punti più vicini dei due fabbricati, per rispettare l’obiettivo di tutela dell’assetto del territorio.

È possibile sollevare per la prima volta una questione nuova, come l’effetto di una sentenza penale, nel giudizio di Cassazione?
No. Nel giudizio di Cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che implichino accertamenti di fatto non effettuati nei gradi di merito. La parte ha l’onere di dimostrare di aver già sollevato la questione dinanzi al giudice di merito, indicando in quale atto specifico lo ha fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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