Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 337 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 337 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31219/2021 R.G. proposto da:
ABBASCIA’ COGNOME, ABBASCIA’ COGNOME, ABBASCIA’ PANTALEO, ABBASCIA’ NOME COGNOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME
-ricorrenti- contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 1787/2021 depositata il 13/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1.NOMECOGNOME COGNOME NOME ed NOME COGNOME hanno proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 1787/2021 della Corte d’appello di Bari, depositata il 13 ottobre 2021.
Resiste con controricorso NOME COGNOME
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4 -quater , e 380 -bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 -bis .1, comma 1, c.p.c.
2.1. Deve premettersi che, formando oggetto di ricorso una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio a seguito di cassazione, il collegio può essere composto anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la pronuncia di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (Cass. Sez. Unite, n. 24148 del 2013).
La Corte d’appello di Bari, pronunciando quale giudice di rinvio a seguito della sentenza di cassazione 24 febbraio 2016 n. 3654/2016, ha rigettato l’appello proposto dai signori COGNOME contro la sentenza del Tribunale di Foggia n. 231/2001, che aveva condannato gli stessi a demolire la scalinata esterna al loro fabbricato realizzata in violazione delle distanze legali dal confine e tra fabbricati, così come stabilite dal codice civile, integrato delle previsioni degli strumenti urbanistici del Comune di San Giovanni Rotondo.
La Corte di cassazione aveva accolto il primo motivo del ricorso (per violazione degli artt. 1170, 2697 c.c., 345, comma 1, c.p.c.) contro la sentenza n. 1255/2010 della Corte d’appello di Bari, escludendo che fosse inammissibile l’allegazione operata in sede di gravame circa il sopravvenuto regime giuridico dello spazio interposto tra i due fabbricati conseguente ad una Convenzione stipulata con il Comune
nel 2005, e così rimettendo al giudice di rinvio di ‘valutare se effettivamente sia avvenuta una cessione di proprietà in favore dell’ente pubblico comportante l’inapplicabilità della normativa sulle distanze tra i due immobili delle parti che, per effetto della stessa, non sarebbero più confinanti, restando separati da un suolo adibito ad uso pubblico’, in ‘applicazione del regime più favorevole ai fini di cui all’art. 879 c.c.’.
La Corte di Bari nella sentenza pronunciata all’esito del giudizio di rinvio ha affermato che ‘dalla documentazione allegata, risulta che, con le deliberazioni di C.C. n. 109 dell’8.10.2002 e n. 22 del 13.3.2003, il Comune di San Giovanni Rotondo ha definitivamente approvato il piano particolareggiato INDIRIZZO, che ha destinato l’area interposta tra i fondi di cui è causa a verde pubblico e parcheggi, e che con la convenzione di lottizzazione stipulata in data 7.4.2005, gli odierni appellanti, proprietari delle aree interessate al piano particolareggiato, dopo aver aderito al consorzio, hanno ceduto in proprietà al Comune la porzione di fondo di cui si discute, cioè suolo di mq. 93, in catasto foglio 58, p.lla 3482, destinata a verde pubblico ed il Comune ha trasferito agli Abbascià, a titolo di permuta, corrispondente superficie’. Non di meno, i giudici di rinvio hanno sostenuto che ‘al secondo quesito posto dalla Corte di cassazione (se la cessione di proprietà in favore dell’ente pubblico comporti l’inapplicabilità della normativa sulla distanza tra i due immobili delle parti…) debba essere data risposta negativa, nel senso che l’avvenuta cessione da parte degli appellanti al Comune di San Giovanni Rotondo della proprietà dell’area interposta tra i due fabbricati, adibita a verde pubblico, non comporti l’inapplicabilità delle norme sulle distanze tra costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile. Ne consegue l’infondatezza del primo motivo di appello, atteso che le questioni già decise nei precedenti gradi di giudizio e non oggetto di
censura con il ricorso per cassazione (quale l’accertamento in concreto della violazione delle norme sulle distanze tra costruzioni, integrative di quelle contenute nel codice civile per motivi diversi) devono ritenersi coperte dal cd. giudicato implicito, costituendo le premesse logico -giuridiche della decisione della Corte di legittimità che ha rimesso a questo giudice di rinvio solo di verificare se sia effettivamente avvenuta la cessione di proprietà in favore dell’ente pubblico dell’area interposta tra i due immobili e se essa comporti l’inapplicabilità della normativa sulle distanze tra i due immobili’.
4. Il primo motivo del ricorso di NOMECOGNOME NOME ed NOME COGNOME denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. nonché dell’art. 879, comma 2, c.c., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe ‘ violato e/o falsamente applicato il principio di diritto dettato dalla pronuncia rescindente’ di cassazione, nonché ritenuto che le ‘potesse essere rimessa la risoluzione di una questione di diritto che, invece, aveva deciso la Corte di Cassazione’, errando nella valutazione che era rimessa alla fase rescissoria. Si afferma che la Corte di Bari, ‘una volta accertata la destinazione ad uso pubblico dell’area che separa i due fabbricati delle parti in causa per l’intervenuto trasferimento della stessa al Comune, avrebbe dovuto dichiarare l’inapplicabilità delle norme relative alle distanze per l’operare della previsione di cui all’art. 879, co. 2, c.c.’.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 879, comma 2, c.c., dell’art. 4, lett. g), l. n. 847 del 1964, nonché degli artt. 872 e 873 c.c. I giudici di rinvio avrebbero violato e/o erroneamente applicato il disposto dell’art. 879, comma 2, c.c., in quanto avrebbero dovuto affermare che ‘un’area adibita a verde attrezzato e destinata ad uso pubblico comporta l’inapplicabilità delle norme relative alle distanze tra costruzioni’.
I due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano non fondati.
5.1. La statuizione finale della sentenza della Corte d’appello di Bari, avuto riguardo alle censure specificamente proposte, è rispettosa dei limiti posti al giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., dalla sentenza rescindente di questa Corte n. 3654/2016, la quale aveva in sostanza accolto il primo motivo di ricorso nella parte relativa alla falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., escludendo la inammissibilità per novità dell’allegazione fatta in appello inerente al mutato regime giuridico dello spazio interposto tra i due fabbricati in conseguenza della Convenzione stipulata con il Comune nel 2005. Questa Corte, rimarcato l’ error in procedendo della sentenza d’appello, cassò comunque tale sentenza con rinvio, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto proprio alla luce dell’esigenza di esaminare nel merito la nuova questione sollevata in appello. Tali accertamenti di fatto riguardavano, in particolare, la ‘avvenuta … cessione di proprietà in favore dell’ente pubblico’ e la correlata ‘inapplicabilità della normativa sulle distanze tra i due immobili delle parti che, per effetto della stessa, non sarebbero più confinanti, restando separati da un suolo adibito ad uso pubblico’, in ‘applicazione del regime più favorevole ai fini di cui all’art. 879 c.c.’. Avendo la sentenza di cassazione accolto il ricorso per falsa applicazione di norma processuale, che aveva comportato il mancato esame nel merito di una determinata questione, la ” potestas iudicandi ” del giudice di rinvio non poteva, del resto, non comportare altresì la valutazione ” ex novo ” dei fatti già acquisiti, nonché estrinsecarsi nella valutazione di altri fatti, la cui acquisizione era consentita proprio in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione, sia pur sempre nel rispetto delle decadenze e preclusioni pregresse (Cass. n. 6707 del 2004; n. 17790 del 2014; n. 4946 del
2017 ). In tal senso, i giudici di rinvio hanno proceduto ad un apprezzamento delle vicende occorse in relazione alla destinazione ed alla proprietà del l’area interposta tra i fondi di cui è causa, in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata.
5.2. Ha errato, semmai, la Corte d’appello di Bari a ritenere ‘coperte dal cd. giudicato implicito … le questioni già decise nei precedenti gradi di giudizio e non oggetto di censura con il ricorso per cassazione (quale l’accertamento in concreto della violazione delle norme sulle distanze tra costruzioni)’. La Corte di cassazione, invero, aveva dichiarato assorbito il secondo motivo di ricorso, che lamentava omessa pronunzia, vizio di extra petita e violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1170 c.c., avendo i giudici del merito omesso di considerare che le rampe di scale violassero la distanza legale ‘solo per m 1,22’. Il giudice di rinvio, nel riesaminare le questioni che la pronuncia di cassazione ha dichiarato assorbite, alla stregua della pregiudizialità logica di quelle per le quali ha accolto il ricorso, non può, infatti, porre in discussione i principi e le ragioni su cui si fonda tale declaratoria (cfr. Cass. n. 534 del 2023; n. 18578 del 2022; Cass. Sez. Unite, n. 1543 del 1987; Cass. n. 7176 del 2001). È corretto, piuttosto, che, in sede di giudizio di rinvio, il giudice è obbligato a pronunciare sulle questioni dichiarate assorbite dalla sentenza di cassazione purché esse siano state espressamente riproposte davanti a lui, restando altrimenti coperte da giudicato (Cass. n. 534 del 2023; n. 30184 del 2018; Cass. n. 24093 del 2013).
Tale parte della sentenza dei giudici di rinvio non è stata, comunque, specificamente impugnata dai ricorrenti.
5.3. Alcuna decisività hanno le circostanze che l’area interposta di mq. 93 fra i fondi delle parti in lite sia stata dapprima destinata a verde pubblico e parcheggi, con deliberazioni comunali del 2002 e del 2003, e poi acquistata in proprietà dal Comune di San Giovanni
Rotondo in forza di convenzione di lottizzazione stipulata in data 7 aprile 2005.
5.3.1. Fatto impeditivo del diritto alla distanza fra costruzioni, inteso, questo, come contenuto normale del diritto di proprietà, è, a norma dell’art 879, comma 2, c.c., l’esistenza di una piazza o via pubblica e la prova di tale fatto impeditivo spetta a chi costruisca senza osservare la distanza. Per aversi una piazza o una via pubblica ai fini dell’esonero dall’osservanza delle norme dettate dal Codice civile in tema di distanza tra costruzioni non è sufficiente che si tratti di uno spazio che soddisfi comunque all’esigenza del pubblico transito, ma occorre che esso appartenga ad un ente territoriale autarchico e che questo lo abbia destinato -con una manifestazione di volontà espressa o tacita -al pubblico servizio. Ogni altra diversa destinazione o utilizzazione pubblica non ha al riguardo rilievo (Cass. n. 5199 del 1983). Né ha quindi parimenti rilievo ai fini dell’esonero dall’obbligo del rispetto della distanza nelle costruzioni o dal confine l’esistenza tra i due fondi di una striscia di terreno di larghezza inferiore a quella legale appartenente alla pubblica amministrazione, ma non destinata a piazza o via pubblica, dovendosi intendere la nozione di ‘fondi finitimi’ di cui all’art. 873 c.c. come ‘fondi vicini’, anche se non necessariamente ‘confinanti’ (ad esempio, Cass. n. 627 del 2003).
6. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, regolandosi secondo soccombenza le spese processuali del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo in favore del controricorrente, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore dell’avvocato NOME COGNOME.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -dell’obbligo di
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di cassazione dal controricorrente, che liquida in complessivi € 5.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore dell’avvocato NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione