Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7744 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7744 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 17163/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliati in INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 507/2019 della CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA, depositata il 15.03.2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
NOME COGNOME, nella qualità di procuratore speciale del fratello NOME COGNOME, citò in giudizio i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, chiedendo che i convenuti fossero condannati a rimuovere un cancello apposto all’estremità di un percorso da sempre utilizzato per il transito dall’attore e suoi danti causa, nonché di un manufatto costruito a distanza non legale dalla costruzione dell’esponente.
1.1. I convenuti negarono sussistere servitù di passaggio e affermarono che il manufatto era stato eretto previa autorizzazione di NOME COGNOME, procuratore dell’attore.
In via riconvenzionale chiesero accertarsi il loro diritto di transito sulla stradella e la rimozione del cancello collocato dall’attore sull’altro capo di essa; l’accertamento dell’abusiva occupazione di circa 14 mq della corte di proprietà degli esponenti, con condanna al rilascio; infine, accertata l’illegalità di due finestre dell’edificio attoreo, conclusero chiedendone la rimozione.
1.2. Il Tribunale così decise:
rigettò le domande (attoree e riconvenzionali) afferenti alla stradella;
in accoglimento della domanda attorea, accertata la violazione delle distanze dalle costruzioni, condannò i convenuti ad arretrare il loro manufatto fino a 10 metri dalla parete fronteggiante la costruzione attorea;
rigettò la riconvenzionale con la quale era stata chiesto il rilascio della piccola parte del cortile;
-in accoglimento dell’altra domanda riconvenzionale, condannò i l’attore <>.
1.3. La Corte d’appello di L’Aquila rigettò l’impugnazione proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME, in sintesi, evidenziando che:
la violazione delle distanze tra fabbricati non viene meno anche nel caso in cui una sola delle pareti fronteggianti sia finestrata;
irrilevante rispetto alla violazione delle norme del codice civile doveva reputarsi il permesso di costruire in sanatoria;
irrilevante doveva del pari reputarsi il consenso prestato da NOME COGNOME alla realizzazione da parte di NOME COGNOME di un opera prefabbricata lungo il confine, senza tener conto dei vincoli sulle distanze stabiliti dagli strumenti urbanistici locali; inoltre, all’epoca NOME COGNOME non era munito dei poteri di rappresentanza di NOME COGNOME;
la domanda riconvenzionale riguardante i 14 metri cortilizi doveva qualificarsi di rivendicazione e gli appellanti non avevano soddisfatto l’onere probatorio gravante sul rivendicante;
in assenza di altri elementi di prova correttamente il Tribunale si era rifatto alle carte catastali per definire il confine;
non violava il principio della domanda aver condannato la controparte, invece che alla demolizione dei balconi, ponendo in alternativa l’arretramento dei soli parapetti, trattandosi di modalità idonea a eliminare la veduta illegale.
Gli insoddisfatti appellanti propongono ricorso sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 9 d.m. n. 1444/1968 e 872 cod. civ.
Si sostiene l’erroneità della sentenza impugnata, la quale aveva affermato che il rispetto della distanza minima assoluta tra fabbricati rispondeva a esigenze pubblicistiche non derogabili, così da evitare il formarsi di intercapedini, senza tenere conto dell’acquisito condono edilizio, che aveva, a dire dei ricorrenti, <> l’interesse pubblico in discorso.
3.1. Il motivo è infondato.
Costituisce principio consolidato quello secondo il quale in tema di distanze nelle costruzioni, ai sensi dell’art. 873 cod. civ., il condono edilizio, esplicando i suoi effetti sul piano dei rapporti pubblicistici tra P.A. e privato costruttore, non ha incidenza nei rapporti tra privati, i quali hanno ugualmente facoltà di chiedere la tutela ripristinatoria apprestata dall’art. 872 cod. civ. per le violazioni delle distanze previste dal codice civile e dalle norme regolamentari integratrici (tra le tante, v. Sez. Sez. 2, n. 3031, 06/02/2009, Rv. 606558).
Si era già in precedenza chiarito che la sanatoria o il condono degli illeciti urbanistici, inerendo al rapporto fra P.A. e privato costruttore, esplicano i loro effetti soltanto sul piano dei rapporti pubblicistici – amministrativi, penali e/o fiscali – e non hanno alcuna incidenza nei rapporti fra privati, lasciando impregiudicati i diritti dei privati confinanti derivanti dalla eventuale violazione delle distanze legali previste dal codice civile e dalla norme
regolamentari di esse integratrici (Sez. 2, n. 12966, 31/05/2006, Rv. 592543).
Ed ancora, l’obbligo di rispettare le distanze legali – previste dagli strumenti urbanistici per le costruzioni legittime non soltanto a tutela dei proprietari frontisti ma anche per finalità di pubblico interesse – deve essere osservato a maggior ragione nel caso di costruzioni abusive, anche se sia intervenuta la relativa sanatoria amministrativa, i cui effetti sono limitati al campo pubblicistico e non pregiudicano i diritti dei terzi; pertanto, il proprietario del fondo contiguo, leso dalla violazione delle norme urbanistiche, ha comunque il diritto di chiedere ed ottenere l’abbattimento o la riduzione a distanza legale della costruzione illegittima nonostante sia intervenuto il condono edilizio (Sez. 2, n. n. 18728, 26/09/2005, Rv. 584791).
Peraltro, l’art. 9, comma 1, del d.m. n. 1444 del 1968 traendo la sua forza cogente dai commi 8 e 9 dell’art. 41 quinquies l. n. 1150 del 1942 e prescrivendo, per la zona A, quanto alle operazioni di risanamento conservativo ed alle eventuali ristrutturazioni, che le distanze tra gli edifici non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti -, rappresenta una disciplina integrativa dell’art. 873 c.c. immediatamente idonea ad incidere sui rapporti interprivatistici, sicché, sia in caso di adozione di strumenti urbanistici contrastanti con l’art. 9 citato, sia in presenza di disposizioni di divieto assoluto di costruire, sussiste l’obbligo per il giudice di merito di dare attuazione alla disposizione integrativa dell’art. 873, mediante condanna all’arretramento di quanto successivamente edificato oltre i limiti, ove il costruttore sia stato proprietario di un preesistente volume edilizio, o all’integrale eliminazione della
nuova edificazione, qualora invece non sussista alcun preesistente volume (Sez. 2, n. 1616, 23/01/2018, Rv. 647082).
3.2. Sotto altro profilo deve rilevarsi che le norme contenute nei regolamenti edilizi che stabiliscono le distanze fra le costruzioni e di esse dal confine sono volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini nocive fra edifici frontistanti ma anche a tutelare l’assetto urbanistico di una data zona e la densità degli edifici in relazione all’ambiente, finalità quest’ultima che viene realizzata dalle norme regolamentari stabilendo una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dall’art. 873 cod. civ., in cui ciò che rileva è la distanza in sé delle costruzioni a prescindere dal loro fronteggiarsi o meno e dal dislivello dei fondi su cui insistono; ne consegue che una convenzione tra le parti che deroghi alle norme sulle distanze previste nel regolamento edilizio è senz’altro invalida, trattandosi di norme inderogabili perché non si limitano a disciplinare i rapporti intersoggettivi di vicinato, ma mirano a tutelare anche interessi generali (Sez. 2, n. 19449, 28/09/2004, Rv. 578209; ma già prima, Cass. nn. 12894/1999 e 4366/2001). L’indirizzo risulta essere stato, successivamente reiteratamente confermato.
Con la decisione n. 27373/2021 si è approfonditamente fatto nuovamente il punto. Appare utile riprenderne il passaggio motivazionale saliente, di evidente chiarezza: <>.
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto, si afferma, la condanna si sarebbe potuta risolvere in una trasformazione delle finestre in luci. Ciò era stato evidenziato con l’impugnazione, ma la Corte territoriale non aveva reso risposta.
4.1. La doglianza è priva di fondamento.
È pur vero che la Corte d’appello non ha pronunciato espressamente sul punto.
Tuttavia, dal complesso argomentativo della decisione si trae la piena consapevolezza del Giudice che la manifestata disponibilità a trasformare le vedute in luci, al fine di evitare l’arretramento del fabbricato, non poteva in alcun modo essere presa in considerazione, stante che la regola dettata dal d.m. n. 1444/1968 fa riferimento alla sussistenza anche della parete finestrata su uno solo dei due fabbricati e, nel caso in esame, la Corte locale, con accertamento in fatto, in questa sede non riesaminabile, ha verificato che l’immobile attoreo è dotato di finestre.
A pag. 4, p. 4, la sentenza, dopo avere puntualizzato che <>, ha puntualmente richiamato la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. nn. 4834/2019, 5017/2018, 13547/2011, S.U. n. 14953/2011).
4. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione degli artt. 1392 e 1393 cod. civ., per avere la sentenza sostenuto che la dichiarazione (trattasi dell’autorizzazione concessa al COGNOME per la realizzazione di una struttura prefabbricata lungo il confine, di cui si occupa la Corte locale a pag. 4) sottoscritta da NOME COGNOME era priva di rilievo, nonostante si trattasse di una dichiarazione unilaterale manifestante espresso consenso, dalla quale era sorto il pieno affidamento della parte ricorrente. Il rappresentato, per
contro
, non aveva mai revocato la dichiarazione in parola e, peraltro, la pretesa di giustificare la fonte del potere costituiva una mera facoltà del terzo.
4.1. Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
Poiché la prima ‘ratio decidendi’, con la quale la Corte d’appello ha affermato la nullità di una convenzione di tal fatta non è stata scalfita dalla critica della parte ricorrente , risulta priva d’interesse la critica alla seconda ratio, avanzata con il motivo in esame (v. cass. 11493/2018; cass. 2108/2012).
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate nella misura di cui in dispositivo – tenuto conto del valore della causa e della qualità e quantità delle attività svolte -seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico dei ricorrenti, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio