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Distanze legali vedute: la via pubblica non esonera

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 444/2024, ha stabilito che l’eccezione alle distanze legali vedute, prevista in presenza di una via pubblica, non si applica ai fondi contigui e allineati sullo stesso lato. La Corte ha rigettato il ricorso su questo punto, affermando che la contiguità tra le proprietà mantiene l’esigenza di tutela della riservatezza. Ha invece accolto il motivo relativo all’eccessiva liquidazione delle spese legali, ricalcolandole in base al reale valore della controversia, notevolmente inferiore a quanto stabilito in appello.

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Distanze Legali Vedute: la Via Pubblica non Esime dal Rispetto del Vicino

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 444 del 2024, ha offerto un importante chiarimento in materia di distanze legali vedute, specificando i limiti dell’esenzione prevista in presenza di una via pubblica. La decisione ribadisce un principio fondamentale: la tutela della riservatezza del vicino prevale quando due proprietà, pur affacciando su una strada pubblica, sono tra loro contigue e allineate sullo stesso lato. Questo intervento consolida un orientamento giurisprudenziale ormai stabile.

I Fatti di Causa

La controversia ha origine dalla denuncia dei proprietari di un terreno contro la loro vicina. Quest’ultima aveva modificato le finestre del suo fabbricato, trasformando quelle che erano semplici “luci” (aperture per dare aria e luce) in vere e proprie “vedute” (aperture che permettono di affacciarsi e guardare sul fondo altrui). Tale trasformazione, avvenuta abbassando la soglia delle finestre e sostituendo le inferriate piatte con altre “bombate”, era stata realizzata senza rispettare la distanza minima di un metro e mezzo dal confine, come prescritto dalla legge.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano dato ragione ai proprietari del terreno, ordinando alla vicina di ripristinare lo stato dei luoghi, ovvero di ritrasformare le vedute in luci. L’erede della convenuta, ritenendo errata la decisione d’appello, ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e le Distanze Legali Vedute

Il ricorrente ha basato la sua difesa su due motivi principali:

1. Violazione dell’art. 905, terzo comma, del Codice Civile: Si sosteneva che la norma sulle distanze non dovesse applicarsi, poiché tra le due proprietà esisteva una via pubblica. Secondo questa tesi, la presenza della strada avrebbe fatto venir meno l’obbligo di rispettare la distanza minima.
2. Violazione delle norme sulla liquidazione delle spese legali: Il ricorrente lamentava che l’importo di 3.000 euro liquidato dalla Corte d’Appello a titolo di spese legali fosse manifestamente eccessivo rispetto al valore effettivo della causa, stimato in appena 45 euro.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha analizzato separatamente i due motivi, giungendo a conclusioni opposte.

Sul primo punto, quello cruciale sulle distanze legali vedute, la Corte ha respinto il ricorso. Analizzando la giurisprudenza consolidata, ha spiegato che l’esenzione prevista dall’art. 905 c.c. si applica quando una via pubblica si interpone tra i due fondi (ad esempio, quando sono uno di fronte all’altro), interrompendo di fatto la loro contiguità. In tale scenario, la riservatezza è già compromessa dal passaggio pubblico e la norma perde la sua ragione d’essere.

Tuttavia, nel caso di specie, i due fondi erano allineati lungo il medesimo lato della via pubblica e quindi contigui. La Corte ha sottolineato che, in questa situazione, la contiguità non viene meno e, con essa, permane l’esigenza di tutelare la riservatezza del vicino. La presenza della strada pubblica non è sufficiente a giustificare l’apertura di vedute a una distanza inferiore a quella legale. L’orientamento giurisprudenziale è ormai stabile nel ritenere che il divieto rimane operante in caso di fondi allineati lungo la medesima via pubblica.

Sul secondo motivo, relativo alle spese legali, la Corte ha invece accolto il ricorso. Ha evidenziato come il valore di cause di questo tipo si calcoli, secondo l’art. 15 del codice di procedura civile, moltiplicando per 50 il reddito dominicale del fondo che subisce la violazione. Nel caso specifico, il valore della controversia risultava essere di soli 45 euro. Di conseguenza, le spese legali liquidate dalla Corte d’Appello (3.000 euro) erano sproporzionate e notevolmente superiori ai massimi tariffari previsti per quello scaglione di valore (circa 1.186 euro), senza che il giudice avesse fornito alcuna giustificazione per tale superamento.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello limitatamente alla parte sulle spese, che ha ricalcolato e ridotto a 900 euro. Ha invece confermato nel merito la decisione, rigettando il motivo principale sulle distanze legali vedute.

La pronuncia ribadisce due importanti principi pratici:

* La presenza di una via pubblica non costituisce una deroga automatica al rispetto delle distanze per l’apertura di vedute quando le proprietà sono contigue e sullo stesso lato della strada.
* La liquidazione delle spese processuali deve essere sempre ancorata al valore effettivo della causa e ogni scostamento significativo dai parametri normativi deve essere adeguatamente motivato dal giudice.

La presenza di una via pubblica esonera sempre dal rispetto delle distanze per l’apertura di vedute?
No. La Cassazione chiarisce che l’esonero previsto dall’art. 905, ultimo comma, c.c. non si applica quando i due fondi sono contigui e allineati sullo stesso lato della via pubblica. In questo caso, permane la contiguità e con essa l’esigenza di tutelare la riservatezza del vicino.

Come si calcola il valore di una causa relativa al mancato rispetto delle distanze legali?
Il valore si determina, ai sensi dell’art. 15 c.p.c., moltiplicando per cinquanta il reddito dominicale del fondo che subisce la violazione (considerato “fondo servente”). Questo valore serve poi come base per liquidare le spese legali secondo le tabelle ministeriali.

Un giudice può liquidare spese legali superiori ai massimi previsti dalle tabelle ministeriali?
Sì, ma deve fornire una motivazione specifica e adeguata che giustifichi il superamento dei limiti massimi tabellari. In assenza di tale motivazione, come nel caso di specie, la liquidazione è illegittima e può essere annullata in sede di impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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