Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 444 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 444 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11706/2018 R.G. proposto da: COGNOME nella qualità di erede della defunta NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME (indirizzo p.e.c. indicato nel ricorso: EMAIL
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (indirizzo p.e.c. indicato nel controricorso: avvEMAIL
– controricorrenti – nonché contro
NOME COGNOME
-intimata – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA n. 332/2017 pubblicata il 19 dicembre 2017
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso
Uditi per il ricorrente l ‘ avv. NOME COGNOME e per le controricorrenti l ‘ avv. NOME COGNOME per delega dell ‘ avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME, comproprietarie di un terreno sito in Enna alla contrada INDIRIZZO, citavano in giudizio, davanti al locale Tribunale, la loro vicina NOME COGNOME lamentando che costei -per quanto in questa sede ancora interessa- avesse apportato modifiche alle finestre del proprio contiguo fabbricato, consistite nell ‘ abbassamento della relativa soglia e nella sostituzione delle preesistenti con , in tal modo trasformando le originarie aperture lucifere in vere e proprie vedute, senza osservare le distanze prescritte dalla legge per la loro apertura.
Chiedevano, pertanto, la condanna della convenuta al ripristino dello status quo ante mediante l ‘ eliminazione delle opere realizzate. quale contestava la fondatezza delle avverse pretese, chiedendone il
Radicatosi il contraddittorio, si costituiva la COGNOME, la rigetto.
All ‘ esito del giudizio, in accoglimento della domanda, il Tribunale adìto condannava la COGNOME a trasformare in luci le vedute illegittimamente aperte sul muro posto al confine con la proprietà delle attrici.
La decisione veniva appellata dalla parte soccombente dinanzi alla Corte distrettuale di Caltanissetta, la quale, con sentenza n. 332/2017 del 19 dicembre 2017 -resa nel contraddittorio di NOME
NOME e NOME COGNOME e di NOME COGNOME, nella rispettiva qualità di eredi, le prime due, di NOME COGNOME la terza, di NOME COGNOME, nel frattempo decedute-, respingeva il gravame, condannando l ‘ impugnante al pagamento delle spese del grado.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME nella qualità di erede della defunta NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito mediante la notifica di un controricorso.
NOME COGNOME è invece rimasta intimata.
Con ordinanza interlocutoria n. 24192/2019 del 27 settembre 2019, non ravvisando i presupposti per la pronuncia in camera di consigli o, ai sensi dell’art. 375, co mma 1, nn. 1) e 5) c.p.c., la Sesta Sezione Civile ha rimesso la causa alla pubblica udienza di questa Sezione semplice, giusta il disposto dell’art. 380 -bis , ultimo comma, del medesimo codice.
Nei termini di cui all ‘ art. 378 c.p.c. il Pubblico Ministero ha depositato memoria, con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso, e il ricorrente COGNOME e la controricorrente NOME COGNOME hanno depositato sintetiche memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell ‘ art. 905, comma 3, c.c..
Si assume che la Corte d ‘ Appello avrebbe erroneamente escluso che nel caso di specie possa trovare applicazione la norma evocata in rubrica, pur risultando pacifico in causa che i fondi di proprietà dei contendenti sono entrambi allineati lungo la medesima via pubblica.
Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell ‘ art. 5 D.M. n. 55 del 2014, nonché degli artt. 10 e 15 c.p.c..
Si rimprovera al giudice distrettuale di aver liquidato le spese di
secondo grado in favore delle appellate in un importo (3.000 euro, al netto degli esborsi e degli accessori di legge) manifestamente eccessivo rispetto al valore della controversia, pari ad appena 25 euro.
Il primo motivo pone una questione di diritto che in passato non aveva ricevuto una soluzione univoca nelle pronunce di legittimità intervenute in subiecta materia .
Sennonchè, il contrasto venutosi a creare può ormai ritenersi sopito alla luce della successiva evoluzione giurisprudenziale sul tema in discussione, il che induce il Collegio a disattendere la richiesta di rimessione degli atti al Primo Presidente per la valutazione dell ‘ opportunità di riassegnare il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell ‘ art. 374, comma 2, c.p.c..
Valgano, in proposito, le seguenti considerazioni.
L ‘ art. 905, ultimo comma, c.c. esclude l ‘ obbligo di osservare la distanza minima di un metro e mezzo per l ‘ apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino quando fra i due fondi vi sia una via pubblica.
Sin dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 3460/1977, preceduta da altre più risalenti nel tempo (n. 2945/1960, n. 927/1967 e n. 780/1970), questa Corte ha costantemente affermato che le distanze per l ‘ apertura di vedute prescritte dalla citata norma del codice sostanziale non sono applicabili in caso di presenza di una strada pubblica, sia che questa passi fra i due immobili interessati, rendendoli fronteggianti, sia che si ponga, rispetto alle vedute, ad angolo retto.
Al cennato indirizzo si sono in sèguito uniformate, fra le altre, Cass. n. 3519/1979, Cass. n. 9297/1992 e Cass. n. 2390/1994.
Con specifico riferimento alla prima e alla terza delle pronunce summenzionate, giova precisare che, sebbene nelle relative massime si legga che a rendere inapplicabile la disciplina dettata dall ‘art. 905 c.c. basterebbe il fatto che i due fondi siano confinanti
con la via pubblica, «indipendentemente dalla loro reciproca collocazione» , nella motivazione delle sentenze trovasi, invece, riaffermato il principio secondo cui, all ‘ indicato fine, è necessario che detta via quantomeno delimiti ad angolo retto i due fondi.
In un simile contesto si inserisce la sentenza n. 2159/2002, la quale, muovendo dal rilievo che l ‘esonero da l divieto imposto dai primi due commi dell ‘art. 905 c.c. sia giustificato dall ‘ identificazione della strada pubblica come uno spazio dal quale chiunque può spingere liberamente lo sguardo sui fondi adiacenti, ha esteso il principio di diritto sancito nei precedenti innanzi citati alla diversa fattispecie di fondi posti in allineamento sullo stesso lato di una via pubblica.
Detta ultima pronuncia è stata poi a sua volta richiamata dalla successiva sentenza n. 4222/2009, con la quale si è statuito che la norma di cui all ‘ art. 905, ultimo comma, c.c. è applicabile indipendentemente dalla reciproca collocazione rispetto alla strada pubblica dei due fondi con essa confinanti, i quali, pertanto, possono anche essere contigui o trovarsi ad angolo retto.
Successivamente, questa Corte regolatrice è però tornata a ribadire il proprio tradizionale insegnamento con la sentenza n. 13000/2013, nella quale è stato posto in evidenza come la ratio della cessazione del divieto di apertura di vedute dirette verso il fondo altrui a distanza inferiore a un metro e cinquanta sia da ravvisare in ciò, che la tutela della riservatezza presuppone la contiguità dei fondi.
Ne discende che, una volta interrotta tale contiguità, per effetto della presenza di una via pubblica, non v ‘ è ragione di mantenere il divieto in questione; per contro, allorquando i due fondi siano allineati lungo la medesima via pubblica, la contiguità non viene meno e con essa permane l ‘ esigenza di riservatezza tutelata dalla norma.
Dopo questo intervento chiarificatore la giurisprudenza di
legittimità si è ormai assestata nel senso che il divieto di cui ai primi due commi dell ‘ art. 905 c.c. rimane operante in caso di fondi allineati lungo la medesima via pubblica.
In particolare, con ordinanza n. 20050/2018, la Sesta Sezione Civile ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell ‘ art. 360bis n. 1) c.p.c., il ricorso per cassazione proposto avverso una sentenza che aveva ritenuto inoperante l ‘ esenzione prevista dall ‘ art. 905, ultimo comma, c.c. in caso di edifici allineati sul medesimo lato di una strada pubblica.
In tale provvedimento è stato rimarcato che la sentenza impugnata aveva deciso la questione di diritto oggetto di censura in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e che il ricorso non offriva argomenti per mutare orientamento.
Non contrastano con il surriferito indirizzo Cass. n. 3036/2015 e Cass. n. 11967/2017, in quanto in nessuna delle due pronunce trovasi affermato che l ‘ allineamento dei fondi lungo la medesima via pubblica giustifica l ‘ esonero dall ‘ osservanza delle distanze legali per l ‘ apertura di vedute dirette; anzi, la seconda richiama espressamente Cass. n. 13000/2013, che, come si è visto sopra, ha sancito un ben diverso principio di diritto.
Ricostruito il quadro giurisprudenziale di riferimento, ritiene il Collegio di dover dare continuità all ‘ orientamento ormai stabilizzatosi in materia, non ravvisando valide ragioni per discostarsene.
E poiché dalle concordi allegazioni delle parti si evince che i fondi per cui è causa sono fra loro contigui e allineati sullo stesso lato di una via pubblica, il motivo in esame è inevitabilmente destinato al rigetto.
Il secondo mezzo è invece fondato.
Le cause concernenti il mancato rispetto delle distanze legali tra immobili sono assimilate a quelle relative alle servitù, poiché l ‘ azione esercitata consiste sostanzialmente in una negatoria.
Pertanto, ai fini della competenza, il loro valore va determinato moltiplicando per cinquanta il reddito dominicale del terreno o la rendita catastale del fabbricato in cui si assume essere avvenuta la violazione (da considerare come fondo servente), giusta il disposto dell ‘art . 15 c.p.c. (cfr . Cass. n. 33457/2019, Cass. n. 1416/1999, Cass. n. 4654/1998, Cass. n. 320/1985).
Nel caso di specie, il reddito dominicale del terreno di proprietà delle COGNOME–COGNOME, verso il quale sono state aperte le vedute abusive oggetto di controversia, risulta pari a 0,50 euro, come si ricava dalla visura catastale prodotta in atti dall ‘ originaria parte attrice e allegata alla relazione redatta dal c.t.u. nominato in prime cure.
Tale importo, rivalutato dell ‘ 80% a mente dell ‘ art. 3, comma 50, L. n. 662 del 1996, ascendeva a 0,90 euro alla data della proposizione della domanda (sull ‘argome nto si veda Cass. n. 1600/1991).
Moltiplicando, quindi, per 50 il reddito dominicale così rivalutato, si ottiene che il valore della presente controversia risultava pari a 45 euro, con la conseguenza che, ai fini della liquidazione delle spese di secondo grado, occorreva avere riguardo allo scaglione da 0,01 e 1.100 euro delle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014, nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.M. n. 37 del 2018 (essendo stata la sentenza d ‘ appello pubblicata il 19 dicembre 2017).
In base ad esso, pur volendo riconoscere sussistenti i presupposti per l ‘applicazione deg li aumenti dei valori medi previsti dall ‘art. 4, comma 1, D.M. cit., le spese di secondo grado erano determinabili nell ‘ importo massimo di 1.186 euro (fase di studio della controversia: 243 euro ; fase introduttiva del giudizio: 243 euro ; fase istruttoria e/o di trattazione: 340 euro ; fase decisionale: 360 euro ; 243 + 243 + 340 + 360 euro = 1.186 euro), notevolmente inferiore a quello di 3.000 euro liquidato dalla
Corte nissena, la quale, peraltro, non ha fornito alcuna giustificazione del superamento dei limiti tabellari.
Ciò posto, va ricordato che, in caso di liquidazione delle spese processuali operata successivamente all ‘ entrata in vigore del D.M. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione delle stesse secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice soltanto quantificare il compenso fra il minimo e il massimo delle tabelle, a loro volta derogabili con apposita motivazione, la quale è però doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi, affinché siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo (cfr. Cass. n. 14198/2022, Cass. n. 89/2021, Cass. n. 2386/2017).
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, la sentenza va, dunque, cassata in parte qua .
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell ‘ art. 384, comma 2, seconda parte, c.p.c., con la liquidazione delle spese di appello nel complessivo importo di 900 euro, contenuto entro i valori tabellari minimi e massimi, con l ‘aggiunta degli accessori di legge.
Nei rapporti fra le parti costituite il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione della metà delle spese del presente grado di giudizio, che per la restante frazione vanno poste a carico del ricorrente, nel complesso risultato prevalentemente soccombente.
Per la relativa liquidazione si rimanda al dispositivo.
Nulla va statuito in ordine alle dette spese nei confronti di NOME COGNOME rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo; cassa l ‘ impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, ridetermina le spese di secondo grado poste
a carico della parte appellante in complessivi 900 euro, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge; condanna il ricorrente NOME COGNOME a rifondere alle controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME la metà delle spese del presente grado di giudizio, che in tale già ridotta misura liquida in complessivi 539 euro (di cui 200 per esborsi) a favore della prima e in complessivi 468 euro (di cui 200 per esborsi) a favore della seconda, oltre, per entrambe, al rimborso forfettario del 15% e agli accessori di legge, compensando fra le stesse parti la restante frazione delle dette spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda