Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 239 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 239 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26574/2021 R.G. proposto da: COGNOME, COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in PALOMBARA SABINA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 1863/2021 depositata il 11/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 1863/2021 della Corte d’appello di Roma, pubblicata l’11 marzo 2021.
Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4 -quater , e 380 -bis .1, c.p.c.
2.1. I ricorrenti e i controricorrenti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380 -bis .1, comma 1, c.p.c.
La Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello spiegato da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza n. 1269 del 2015 emessa dal Tribunale di Tivoli, ordinando a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME l’arretramento fino al rispetto della distanza legale del balcone indicato come B5 nella relazione di CTU realizzato nel fabbricato di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, su fondo compreso nel Comune di Marcellina, in catasto al f. 4 part.lle 500, 501, 601/parte, 1062, 1063 e 1064.
La Corte d’appello ha richiamato la relazione di CTU espletata in primo grado, secondo cui il fabbricato di parte convenuta sorgeva su un lotto edificabile di mq 1298, ricadente, dal punto di vista urbanistico, su un’area per mq 808,83 in zona B e per la restante parte in zona C. Le N.T.A. prevedono, per la zona B, ‘distacchi come da norme antisismiche e D.M. 1968 n. 1444’ e all’art. 9, in particolare, la distanza tra fabbricati di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Le risultanze peritali avevano affermato che
il manufatto costruito dai convenuti ‘… realizza una violazione di distacco di 10 metri dal fabbricato di parte attorea. In tale ipotesi lo sconfinamento corrisponde all’intero balcone…, di dimensioni 1,82 m 4,41, indicato in rosso e con l’identificazione B5 negli schemi planimetrici precedenti. In detta ipotesi … la riduzione in pristino corrisponderebbe con la demolizione di tale balcone … nel caso di rinterro del piano attualmente seminterrato, si configurerebbe invece quale camminamento perimetrale alla stregua di un marciapiede ed in continuità con il relativo giardino di pertinenza e quindi, -contrariamente a quanto accade oggi -senza costituire distacco’. I giudici di appello hanno aggiunto che ‘la circostanza ritenuta e censurata -che il rilascio del nuovo progetto a costruire, depositato nel corso del giudizio, consentirà il completamento dell’opera in conformità al progetto con conseguente interro del piano seminterrato e l’opera risulterà nel rispetto delle distanze -non può ritenersi rilevante allo stato. Ciò perché è, piuttosto, al momento della proposizione del giudizio che deve accertarsi la violazione delle distanze o meno del fabbricato erigendo, a nulla rilevando l’eventuale successiva modificazione dello stesso ed il successivo eventuale rispetto delle distanze con il completamento conformemente al nuovo permesso a costruire… Tutto ciò a prescindere dal fatto che, nulla è stato provato, ma neppure dedotto che vi sia stato, nelle more, il completamento dell’opera ed il conseguente interro del piano’. La Corte d’appello ha poi confermato il rigetto della domanda di arretramento riguardante il balcone individuato come B1.
4. L’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. Si assume che ‘l’errore commesso’ dalla Corte d’appello risiede ‘nell’erronea lettura delle conclusioni raggiunte dal C.T.U. … La qualificazione dell’opera aggettante in discorso come balcone è il
primo macroscopico errore sul quale si snoda ogni conseguenza fuorviante tratta dalla Corte di appello. Nessuna Amministrazione Municipale avrebbe mai assentito la costruzione dell’opera se la struttura che ci occupa, costituisse sin dall’origine un vero e proprio balcone, poiché avrebbe violato la normativa sui distacchi minimi tra costruzione. La verità è un’altra, chiaramente illustrata nella relazione peritale richiamata: quella struttura altro non rappresenta se non un viale, un camminamento destinato ad aderire al piano di campagna e, come tale, irrilevante ai fini del computo delle distanze… Altro, e di certo non meno rilevante errore commesso dalla Corte, è stato quello di considerare la natura e l’irrilevanza del provvedimento amministrativo menzionato dalla parte appellata, di proroga della validità dell’originario permesso di costruire… In forza di esso, l’intervento edile potrà essere terminato elidendo in radice ogni ipotesi di illiceità sia pure apparente e marginale del fabbricato… Si voleva illustrare la natura transeunte dell’apparente illiceità, che sarebbe venuta meno con la ripresa dell’attività costruttiva, sospesa a causa del sequestro del cantiere’.
Va disattesa l’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso sollevata dai controricorrenti nella memoria. L’impugnata sentenza della Corte d’appello di Roma è stata pubblicata l’11 marzo 2021 e il ricorso è stato notificato il 12 ottobre 2021 alle ore 18:58, dunque nel rispetto del termine di sei mesi ex art. 327, comma 1, c.p.c.
Nel computo dei termini processuali mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma degli artt. 155, comma 2, c.p.c., e 2963, comma 4, c.c., il sistema della computazione civile, non ” ex numero ” bensì ” ex nominatione dierum “, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del
mese iniziale. Analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini: in tal caso, infatti, al termine semestrale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c., devono aggiungersi trentuno giorni computati ex numeratione dierum , ai sensi del combinato disposto degli artt. 155, comma 1, c.p.c. e 1, comma 1, della l. n. 742 del 1969 (come modificato dall’art. 16, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, convertito nella l. n. 162 del 2014, che, sostituendo l’art. 1 della l. n. 742 del 1969, ha stabilito il periodo di sospensione dal 1° al 31 agosto) (arg. da Cass. n. 34715 del 2023; n. 15029 del 2020; n. 11491 del 2012).
5.1. Il ricorso è comunque infondato. Quanto alla ipotizzata violazione dell’art. 115 c.p.c., essa può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (arg. da Cass. Sez. Un. n. 20867 del 2020).
5.2. La Corte d’appello ha nella sostanza affermato che il fabbricato realizzato dai convenuti sorge su un’area per mq 808,83 in zona B, dove le norme tecniche di attuazione prevedono ‘distacchi come da norme antisismiche e D.M. 1968 n. 1444’ e all’art. 9, in particolare, la distanza tra fabbricati di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. La perizia aveva descritto il manufatto come un ‘balcone … di dimensioni 1,82 m 4,41’, mentre, ‘nel caso di rinterro del piano attualmente seminterrato’, esso ‘si configurerebbe invece quale camminamento perimetrale’.
Per i ricorrenti, invece, tale struttura ‘altro non rappresenta se non un viale, un camminamento destinato ad aderire al piano di campagna’.
5.3. Perché possa astrattamente configurarsi nel riportato motivo di ricorso un vizio rientrante tra quelli denunciabili per cassazione, occorre ritenere che la censura rappresenti un errore dei giudici del merito nella ricognizione del contenuto oggettivo delle risultanze peritali, nel senso che emergerebbe una effettiva assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che la sentenza impugnata ha ritenuto di poter trarre, con riguardo a fatto avente carattere decisivo (ad esempio, Cass. Sez. 1, n. 9507 del 2023; Sez. 3, n. 37382 del 2022; Sez. 3, n. 37382 del 2022).
5.4. È noto che, in tema di distanze legali, ai sensi dell’art. 873 c.c., rileva una nozione unica di costruzione, consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità e della immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata. I regolamenti comunali, pertanto, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiché il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art. 873 c.c. ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore. Vale, quindi, il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le strutture accessorie di un fabbricato, non meramente decorative ma dotate di dimensioni consistenti e stabilmente incorporate al resto dell’immobile (da accertare in fatto in base ad apprezzamento dei giudici del merito, non sindacabile in sede di legittimità per violazione di norme di diritto), costituiscono con questo una costruzione unitaria, ampliandone la superficie o la funzionalità e vanno computate ai fini delle distanze fissate dall’art.
873 c.c. o dalle norme regolamentari integrative. La eccezionale non computabilità, ai fini delle distanze, di elementi della costruzione può quindi riguardare solo quegli sporti o aggetti che non siano idonei a determinare intercapedini dannose o pericolose, consistendo in sporgenze di limitata entità, con funzione complementare di decoro o di rifinitura, mentre vengono in considerazione le sporgenze, implicanti, perciò, un ampliamento dell’edificio in superficie e volume, come, appunto, i balconi formati da solette aggettanti (anche se scoperti), o i pianerottoli di prolungamento dei setti in cemento armato, di apprezzabile profondità, ampiezza e consistenza, stabilmente incorporati nell’immobile, e ciò a maggior ragione qualora le distanze tra costruzioni siano stabilite in un regolamento edilizio comunale che non preveda espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie (Cass. n. 12614 del 2022; n. 859 del 2016; n. 13001 del 2000; n. 5719 del 1998; n. 578 del 1979; n. 3933 del 1975).
5.5. Né hanno pregio le considerazioni dei ricorrenti sulla diversa consistenza che il manufatto avrebbe rivelato in base al titolo abilitativo edilizio ed alla proroga dell’originario permesso di costruire, per gli sviluppi che l’opera potrebbe assumere una volta ultimata l’attività costruttiva.
5.4.1. E’ noto che, i n tema di distanze minime tra costruzioni, la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privato, senza estendersi a quelli tra privati e, pertanto, il conflitto tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell’opera e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la concessione edilizia, perché queste riguardano solo l’aspetto formale
dell’attività edificatoria. Di conseguenza, l’avere eseguito la costruzione in conformità dell’ottenuta licenza o concessione, non esclude, di per sé, la violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento dei danni (tra le tante, Cass. n. 4833 del 2019).
Il contrasto della costruzione eseguita rispetto alle norme in tema di distanze fra costruzioni dà luogo ad un requisito inerente alla fondatezza della relativa domanda di riduzione in pristino, ed è quindi, qualificabile come condizione dell’azione, da porre, perciò, in relazione alla situazione esistente al momento della pronuncia e non della proposizione della domanda. Né rileva che l’attività edificatoria denunziata con la domanda originaria, rivelatasi lesiva dei diritti del vicino nella sua consistenza attuale al momento della decisione, non sia stata ancora ultimata, sicché la violazione delle distanze potrebbe essere nel prosieguo delle opere regolarizzata o soppressa dal costruttore. Soltanto qualora il proprietario convenuto per aver costruito a distanza illegale faccia venir meno l’illegalità e riconosca in modo espresso o implicito la integrale fondatezza della domanda avversa, si determina una cessazione della materia del contendere, che rende inutile la pronuncia giurisdizionale di riduzione in pristino (Cass. n. 4127 del 2002; n. 26907 del 2019).
6. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, regolandosi secondo soccombenza le spese processuali del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo in favore dei controricorrenti.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di cassazione dai controricorrenti, che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione