Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16349 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16349 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
Condominio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23320/2020 R.G. proposto da: difeso
COGNOME rappresentato e dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrente –
Contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE.
– Controricorrente –
Avverso la sentenza del la Corte d’appello di Bari n. 1578/2019 depositata il giorno 11/07/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 12 giugno 2025.
Rilevato che:
con atto di citazione notificato il 09/07/2005, NOME COGNOME convenne davanti al Tribunale di Trani (sezione di Barletta) NOME COGNOME chiedendone la condanna alla rimozione delle tubazioni
delle acque (bianche e di scarico) collocate sulla veranda prospiciente il prospetto principale del fabbricato condominiale, per violazione delle distanze legali, oltre che al risarcimento dei danni.
Il convenuto chiamò in garanzia il Condominio di INDIRIZZO in Barletta, nei confronti del quale propose anche domanda di risarcimento dei danni.
Il Condominio contestò le pretese del chiamante e chiese di essere estromesso dal giudizio assumendo il proprio difetto di legittimazione passiva.
Il Tribunale di Trani, istruita la causa anche mediante una c.t.u., con sentenza n. 1423 del 2014, in accoglimento della domanda dell’attrice, condannò COGNOME alla ‘rimozione del tubo addossato alla parete dell’appartamento del co nvenuto sul terrazzo per cui è causa, che conduce l’acqua dal contatore divisionale condominiale verso il locale lavanderia’ e al risarcimento del dan no, e respinse le domande del convenuto verso il Condominio;
la Corte d’appello di Bari, nel contraddittorio dell’attrice, e in contumacia del Condominio, in parziale accoglimento dell’impugnazione di COGNOME, ha ridotto nel quantum le spese processuali che il Tribunale aveva posto a carico del soccombente e ha confermato, nel resto, la sentenza di primo grado.
Per i giudici d’appello è corretta la motivazione della sentenza gravata secondo cui, in primis , come constatato dal c.t.u., sul terrazzo del convenuto era collocato un tubo addossato alla parete che portava acqua dal contatore divisionale (incassato nel muro di tamponamento della facciata) al locale lavanderia creato ex novo dall’appellante a una distanza di circa 45 cm – inferiore a quella legale di un metro ex art. 889 c.c. dalla proprietà dell’attrice ; inoltre, non opera una deroga consentita alle distanze legali in quanto la nuova installazione non dipende da necessità obiettive, ma risponde ad
un’esigenza soggettiva del condòmino, dato che non risulta affatto che la lavatrice posta sul terrazzo, a cui era collegato il tubo, non potesse essere posizionata all’interno dell’appartamento dell’appellante .
Inoltre, prosegue la sentenza, in base all’art. 1122 c.c., nel versione ratione temporis applicabile, il condòmino ha diritto di apportare all’appartamento modifiche e trasformazioni che ne possano migliorare l’utilizzazione, purché non vengano lesi i diritti degli altri condòmini, il che è effettivamente accaduto.
Infine, è erroneo il richiamo dell’appellante all’art. 1062 c.c. dato che una servitù costituita per destinazione del padre di famiglia sarebbe configurabile se, come afferma la S.C., la stessa fosse stata ‘situata nei locali di proprietà esclusiva del singolo condomino dall’unico proprietario dell’edificio al momento della nascita del condominio mentre nel caso di specie la lavanderia e il tubo sono stati pacificamente realizzati dal COGNOME in epoca successiva’;
NOME COGNOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con un motivo, cui ha resistito NOME COGNOME con controricorso.
Considerato che:
Innanzitutto, è priva di fondamento l’eccezione svolta in controricorso di inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione (appresso illustrato) perché articolato in plurime censure di legittimità.
Il motivo, come immediatamente si vedrà, si caratterizza per un’enunciazione sufficientemente chiara , che consente alla Corte di comprendere agevolmente i rilievi critici ivi contenuti.
Si aggiunga che, per giurisprudenza pacifica, in tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse
ipotesi contemplate dall’art. 360 comma nn. 3 e 5 c.p.c., può essere superata se (come nella specie) la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. n. 39169/2021);
l ‘unico motivo denuncia violazione degli artt. 194, 195, 69 6 c.p.c., degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., e violazione degli artt. 889, 1062, 1102, 1122 cc.
La sentenza impugnata sarebbe viziata per non avere colto che non sussiste la violazione dell’art. 889 c.c. perché il punto di avvio della tubazione aggiuntiva (la quale si allontana dal confine con la proprietà dell’attrice ) è il contatore divisionale condominiale (incassato nel muro del fabbricato) che l’originario proprietario dell’edificio aveva installato ad una distanza dal confine ( all’incirca di 45 cm) inferiore a quella legale, il che esclude la violazione delle distanze legali anche in applicazione dell’art. 1062 c.c.
Sotto altro profilo, si stigmatizza l’assenza di motivazione della sentenza d’appello , su un fatto decisivo, nella parte in cui non considera che il giudice di primo grado non aveva evidenziato la concreta pericolosità della ‘tubazione aggiuntiva’ ed aveva fatto riferimento non (come erroneamente affermato dalla Corte d’appello) alla creazione, da parte del convenuto, di una lavanderia sul proprio balcone, ma alla realizzazione di un ‘vano lavanderia’ .
Da ultimo, si sottolinea che la conduttura, destinata ad alimentare una lavatrice e un lavatoio, era diretta a preservare l’originaria abitabilità e fruibilità dell’appartamento del ricorrente, senza che ciò arrecasse alcun pregiudizio ai diritti altrui;
1.1. il motivo, nelle diverse sfaccettature, è complessivamente infondato.
In primo luogo, non sussiste il vizio strutturale della motivazione in quanto la sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e non è perciò ‘apparente’, consentendo un «effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; Cass. nn. 22232/2016, 2767/2023).
In secondo luogo, l ‘ampia censura non è sussumibile entro il vizio disciplinato da ll’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. : in effetti, non si lamenta che il giudice di merito abbia omesso di esaminare uno specifico fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso del giudizio.
In terzo luogo, va applicata la previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., che, per l’ipotesi di cosiddetta doppia conforme, avendo (come nel caso di specie) il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado, sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 comma 1 c.p.c.
E, quarto, quanto agli ipotizzati errores in iudicando (riconducibili essenzialmente alla violazione degli artt. 1062, 889 c.c.), occorre premettere che, per la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 6923 del 07/04/2015, Rv. 634983 -01; Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018, Rv. 648501 – 02), in tema di condominio edilizio, la disciplina sulle distanze di cui all ‘ art. 889 c.c. non si applica ove si tratti di opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che, in tal caso, l ‘ intero edificio,
formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, operazioni che determinano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 c.c.) e l ‘ insorgere del condominio, e, dall ‘ altro lato, la costituzione, in deroga (od in contrasto) al regime legale delle distanze, di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, in base a uno schema assimilabile a quello dell ‘ acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia. È utile sottolineare che i precedenti richiamati si riferiscono all’ipotesi dell’ apertura di vedute – relative ad un edificio originariamente oggetto di proprietà esclusiva di una cooperativa – compiuta prima dell ‘ alienazione delle singole unità immobiliari, evenienza ritenuta idonea ad integrare la condizione, rilevante ai sensi dell ‘ art. 1062 c.c., della sussistenza di un ‘ opera di asservimento, visibile e permanente, al momento dell ‘ alienazione dei fondi da parte dell ‘ unico originario proprietario.
Ciò premesso sul piano dei principi, nella fattispecie concreta all’attenzione del Collegio, la Corte te rritoriale ha escluso che, in deroga alla disciplina delle distanze legali dei tubi d’acqua dal confine ex art. 889 comma 2 c.c., potesse fondatamente invocarsi l’asservimento dell’appartamento dell’attrice a d una servitù per destinazione del padre di famiglia, valorizzando la circostanza di fatto, insindacabile in questa sede di legittimità, che la lavanderia e il tubo erano stati realizzati dal convenuto dopo la costituzione del condominio.
La statuizione è corretta alla luce del principio sopra enunciato per il quale – è bene ripeterlo – ai fini della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, è necessaria la sussistenza
dell ‘ opera di asservimento, visibile e permanente, nel momento dell ‘ alienazione dei fondi da parte dell ‘ unico originario proprietario.
Liberato il campo dalla possibilità di applicare l’art. 1062 c.c., e passando all’esegesi giurisprudenziale dell’art. 889 c.c., è stato affermato, per un verso, che, in tema di distanze per impianti dal fondo contiguo, la disposizione dell ‘ art. 889 comma 2 c.c., secondo cui per i tubi d ‘ acqua pura o lurida e loro diramazioni deve osservarsi la distanza dal confine di almeno un metro, si fonda su una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette la prova contraria (Sez. 2, Sentenza n. 14273 del 24/05/2019, Rv. 654184 -01, in continuità con Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 20046 del 30/07/2018, Rv. 650075 -01; Sez. 2, Sentenza n. 2558 del 02/02/2009, Rv. 606601 – 01); per altro verso (v. Sez. 2, Ordinanza n. 17549 del 28/06/2019, Rv. 654342 – 01), che la disposizione dell ‘ art. 889 c.c. relativa alle distanze da rispettare per pozzi, cisterne, fossi e tubi è applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell ‘ immobile, tale da essere adeguata all ‘ evoluzione delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene.
La Corte di Bari si è attenuta a questi principi di diritto lì dove, con un giudizio di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità della S.C., aderendo alle conclusioni del primo giudice, ha negato che l’istallazione , da parte del convenuto, della tubazione ad una distanza illegale fosse giustificata a causa della situazione strutturale dell’edificio, sul rilievo che non era affatto impossibile per COGNOME collocare la lavanderia e la lavatrice anziché sul terrazzo (o, come puntualizza il ricorrent e, sul ‘balcone’), all’interno de l proprio appartamento avvalendosi del preesistente impianto idrico, ciò che,
ad avviso dei giudici di merito, gli avrebbe garantito di godere pienamente della propria abitazione;
il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 1.400,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione