Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4851 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 4851  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7423/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrente-
 contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
 nonchè contro
COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati- avverso  SENTENZA  di  CORTE  D’APPELLO  NAPOLI  n.  4860/2021 depositata il 31/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, con quattro motivi illustrati con memoria, per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di Appello di Napoli, riformando la decisione di primo grado, ha loro ordinato di arretrare ‘la porzione di manufatto realizzato in Amorosi alla INDIRIZZO, nella parte che, prospettandosi con la proprietà’ già di NOME COGNOME ed ora di NOME COGNOME, ‘risulta, per la lunghezza di mt 1,1, realizzata in violazione della distanza legale di mt 10 tra le costruzioni prescritta dall’art. 4.2. delle NTA del PRG del comune di Amorosi’;
2. NOME COGNOME resiste con controricorso;
considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso viene lamentata ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1171 c.c., 873 e 949 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3. c.p.c.’. Le ricorrenti deducono che la Corte d’Appello ha errato nell’affermare che la loro opera edificatoria era, al tempo in cui COGNOME aveva iniziato la causa, ‘una vera e propria costruzione’ ed era soggetta come tale ‘alle norme sulle distanze previste dalla legge’ ed ha altresì errato nel riformare la decisione di primo grado con cui era stato invece ritenuto che detta opera era ‘ancora in fieri’ con la conseguenza che l’attore avrebbe dovuto proporre ‘domanda ex art.1171 c.c. e
non  petitoria’.  Rimarcano  che  il  manufatto  ‘non  era  ultimato’  e sostengono che fin quando l’opera non è ultimata ‘il soggetto che si ritiene leso’ può solo esperire ‘l’azione di nunciazione ex art. 1171 c.c.’.
2. Il motivo è infondato.
2.1. Va premesso che la Corte di Appello ha accertato, sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio e delle ‘fotografie agli atti’, che l’opera edificatoria de qua era ‘non in fieri, foriera pertanto di un danno soltanto potenziale nei riguardi del vicino, bensì una vera e propria costruzione come tale idonea a produrre un danno concreto al confinante’, in particolare si trattava di un manufatto ‘già costituito da piano interrato e dal piano rialzato e munito di solaio e muri di tompagno … presentava ictu oculi una sagoma ed una struttura’, ben definita, e soggetto alla normativa sulle distanze. Correttamente, quindi, la Corte di Appello, citando giurisprudenza di questa Corte, ha affermato che, ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti cod. civ. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, con la conseguenza che ai predetti fini -e, segnatamente, ai fini della tutela consentita dall’art. 872 c.c. -non è necessario che l’opera edificatoria integri un edificio completato.
Trattasi  di  conclusione  fondata  su  un  accertamento  in  fatto  e  in linea con la giurisprudenza di legittimità.
Va, sotto diverso profilo, sottolineato che la tesi delle ricorrenti per cui  fino  a  che  una  costruzione  non  è  ultimata  il  vicino  avrebbe  a disposizione  solo  l’azione  possessoria  ex  art.  1171  c.c.  e  non potrebbe esperire l’azione petitoria ex art. 872 c.c. è errata. Questa Corte  ha  infatti  affermato  l’esatto  contrario:  ‘ Il  proprietario  di  un immobile, in caso di inosservanza da parte del vicino delle distanze
minime nelle costruzioni dettate dal codice civile o dai regolamenti locali, ha facoltà di esperire, a sua scelta, l’azione petitoria, l’azione possessoria  e,  ove  intenda  ottenere  provvedimenti  immediati,  il procedimento di nuova opera di cui agli artt. 688 e seguenti cod. proc. civ., senza essere tenuto ad osservare alcun ordine di priorità nella scelta degli indicati strumenti processuali’ ( Sez. 2, Sentenza n.2891 del 29/03/1996).
Con il secondo motivo di ricorso viene lamentata ”violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873 e 877 c.c. in relazione all’art. 360, comma  1,  n.3.  c.p.c.’. Deducono  le  ricorrenti che,  ‘essendo l’immobile  di  loro  proprietà  pacificamente  costruito  in  aderenza, non si applicano le distanze minime e, in ogni caso, il manufatto è posto a 7,9 metri dal fabbricato’ di controparte ‘quindi nel rispetto della distanza dal confine  inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni’.
 Il  motivo  è  inammissibile  in  quanto  scollegato  dalla  ratio  della decisione  impugnata  e  quindi  perché  non  sorretto  da  concreto interesse (art. 100 c.p.c.).
3.1. Va premesso che la Corte di Appello ha accertato che l’immobile delle ricorrenti è stato realizzato ‘in sostituzione di un vecchio fabbricato diruto’, ha una lunghezza complessiva di 12,4 metri, superiore per 1,1 metri rispetto alla lunghezza del suddetto fabbricato, è per la lunghezza comune al precedente fabbricato (11,3 metri) ‘in aderenza’ ad un immobile della controparte mentre, per la nuova, ulteriore porzione (1,1 metri), è a distanza di 7,9 metri -inferiore a quella di 10 m da mantenersi tra edifici ai sensi dell’art. 4.2 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune di Amorosirispetto all’ edificio della medesima controparte.
La ratio della decisione dispositiva dell’arretramento della suddetta porzione non in aderenza, è quindi che l’edificio delle ricorrenti, per questa parte nuova, non rispetta la disciplina stabilita dalle norme
attuative  del  piano  regolatore  generale  del  Comune,  integrative dell’art.873 cod. civ., in tema di distanze tra costruzioni.
Con questa ratio -in sé ineccepibile (v. Cass, Sez. 2, sentenza n. 17338 del 23/07/2009: ‘Le norme sulle distanze legali contenute vuoi nel piano regolatore generale vuoi nelle relative norme tecniche di attuazione, hanno natura integrativa dei precetti di cui all’art. 873 cod. civ. e la loro violazione legittima colui che assume di essere stato danneggiato dalle costruzioni eseguite in violazione di esse a domandare la riduzione in pristino ex art.872 cod. civ.), legata all’accertamento fattuale per cui la ridetta porzione da arretrarsi è stata costruita dopo l’edificio della controricorrente, niente ha a che fare il motivo in esame con cui viene posta una questione di distanze non tra costruzioni ma tra la costruzione delle ricorrenti e il confine, in riferimento ad un presupposto -la prevenzione delle ricorrentinegato dalla Corte di Appello. Stante detto accertamento è inapplicabile la regola per cui ‘Il principio della prevenzione si applica anche nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore di quella ex art. 873 c.c. e tuttavia non imponga una distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all’intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874, 875 e 877 c.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n.10318 del 19/05/2016).
4.  Con  il  terzo  motivo  di  ricorso  viene  lamentata  la  ‘nullità  della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c.’, in relazione all’art.  360,  comma 1, n.4, c.p.c., per avere la Corte di Appello  omesso  di  prendere  in  esame  l’eccezione  riconvenzionale
proposta dalle ricorrenti in primo grado, rimasta assorbita nel pronunciamento (loro favorevole) fondato sulla ritenuta inammissibilità dell’azione attorea in quanto proposta non ex art. 1171 c.c., e poi riproposta in grado di appello, secondo cui le ricorrenti avevano usucapito il diritto di tenere il manufatto ove realizzato. Le ricorrenti ricordano di avere dedotto, a fondamento di tale eccezione, che già nel 1997 la loro ‘opera aveva i suoi elementi strutturali realizzati’. Evidenziano che il giudizio era stato ex adverso proposto nel 2009.
Con il quarto motivo di ricorso vengono lamentati ‘omesso esame di richieste istruttoria formulata in primo grado e reiterate in appello, nonché nullità della sentenza e del procedimento ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 c.p.c. nonché violazione dell’art. 115 c.p.c.’ in relazione rispettivamente all’art.360, comma 1, n.5, n. 4 e n.3, c.p.c. Con questo motivo le ricorrenti lamentano che la Corte di Appello ha omesso di prendere in considerazione le loro richieste istruttorie (prove per interrogatorio formale; prove per testi) volte a far risultare quanto dedotto a fondamento dell’eccezione di usucapione.
In ordine ai due motivi che precedono deve dirsi che la Corte di Appello ha effettivamente omesso di pronunciare sulla eccezione di usucapione. Ciò nondimeno la sentenza impugnata si sottrae a cassazione in forza del principio più volte enunciato per cui ‘nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto’ (tra molte, Cass, Sez. 3 , ordinanza n.173416 del 16/06/2023). Le ricorrenti
assumono di aver eccepito la usucapione ‘decennale’, a decorrere dal  1997,  del  diritto  di  tenere  l’edificio  laddove  in  quell’anno realizzato nelle sue strutture essenziali. Rilevano poi che la domanda attorea è stata proposta nel 2009.
Orbene, è ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle dei regolamenti e degli strumenti urbanistici locali (tra molte, Cass, sez. 2, sentenza n. 4240 del 22/02/2010). L’acquisto per usucapione di una servitù si perfeziona tuttavia in base al possesso ventennale, come disposto dall’art. 1158 cod. civ. e non decennale come sostenuto dalle ricorrenti. Va poi tenuto conto del fatto che il termine per usucapire la servitù viene interrotto, ai sensi degli artt. 1165 e 2943 primo comma cod civ, dalla proposizione di una azione negatoria della servitù medesima e dunque nella specie è stato interrotto dalla azione proposta da NOME COGNOME nel 2009. Pertanto l’eccezione su cui la Corte di Appello non si è pronunciata e in ordine ai fatti posti a fondamento della quale la Corte di Appello non ha ammesso prova, avrebbe dovuto comunque essere respinta dalla Corte d’Appello siccome giuridicamente infondata e a colmare la lacuna provvede questa Corte.
I due motivi di ricorso devono essere pertanto rigettati.
 In  conclusione  il  primo,  il  terzo  e  il  quarto  motivo  di  ricorso devono essere  rigettati,  il  secondo  motivo  deve  essere  dichiarato inammissibile.
Le spese devono essere poste a carico delle ricorrenti ex art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo, se dovuto.
PQM
la  Corte  rigetta  il  primo,  il  terzo  e  il  quarto  motivo  di  ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo e condanna le ricorrenti al rimborso in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 3.000,00, oltre € 200,00 per esborsi,  oltre  spese  generali  pari  al  15  %  sui  compensi,  ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in