Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6977 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6977 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28792/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti- nonché contro
NOME COGNOME;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 3202/2019, depositata il 13/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
NOME e NOME COGNOME nonché NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Benevento la società RAGIONE_SOCIALE esponendo di essere proprietarie di unità abitative all’interno di un complesso immobiliare e che la società convenuta proprietaria dell’area adiacente stava costruendo un fabbricato in violazione delle distanze legali; le attrici hanno quindi chiesto di condannare la convenuta all’arretramento dell’erigendo fabbricato a distanza legale e al risarcimento del danno.
Con sentenza n. 853 del 2015 il Tribunale di Benevento ha accolto la domanda, condannando la convenuta all’arretramento del fabbricato sino alla distanza di metri dieci nonché al risarcimento del danno liquidato in via equitativa in euro 2.500.
La sentenza è stata impugnata dalla società RAGIONE_SOCIALE Con la sentenza n. 3202/2019, la Corte d’appello di Napoli ha accolto il quarto motivo di gravame e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno delle attrici, confermando la condanna all’arretramento.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE
Resistono con controricorso NOME e NOME COGNOME.
L’intimata NOME COGNOME non ha proposto difese.
Memoria è stata depositata dalla ricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. in relazione allo strumento urbanistico, nonché dell’art. 9 del d.m. 1444/1968, come autenticamente interpretato dall’art. 5, lettera bbis del d.l. 32/2019’: la Corte territoriale, come il primo giudice, ha applicato l’art. 9 del d.m. 1444/1968, nonostante
l’intervento edilizio fosse stato realizzato in zona B2, disciplinata dall’art. 31 delle norme tecniche di attuazione del vigente strumento urbanistico; la sentenza impugnata è stata pubblicata il 13 giugno 2019, cosicché non ha tenuto conto della interpretazione autentica fornita mediante l’introduzione in sede di conversione del d.l. 32/2019, approvata il giorno successivo alla pubblicazione della sentenza; con tale disposizione è stato chiarito che ‘le disposizioni di cui all’art. 9, commi 2 e 3, del d.m. 1444/1968 si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, n. 3 dello stesso art. 9’, che riguarda la zona C, cosicché al di fuori di questa zona non trova applicazione il decreto ministeriale né la sua eventuale efficacia integrativa.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha accertato in fatto che gli immobili si trovano in zona B2 e quindi ha correttamente applicato la distanza di dieci metri tra pareti finestrate, regola fissata dal n. 2 del primo comma dell’art. 9 del d.m. 1444/1968. L’interpretazione autentica fornita dall’art. 5, lettera b -bis del d.l. 32/2019 pertanto non rileva rispetto al caso in esame: si è infatti precisato che ‘le disposizioni di cui all’art. 9, commi 2 e 3, del presente decreto si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alla zona di cui al primo comma, n. 3, dello stesso articolo 9’, precisazione che appunto si riferisce alla zona C e non alla zona B2 in cui si trovano gli immobili oggetto di causa.
Il secondo motivo contesta ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione agli artt. 31 e 87 delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico del Comune nonché in relazione all’art. 9 del d.m. 1444/1968’: la Corte d’appello ha ritenuto che la norma di cui al richiamato art. 9 trovi applicazione anche nella fattispecie in esame dove l’intervento
edilizio è incontestabilmente conforme al locale strumento urbanistico; al contempo, in quanto si tratta di doglianza strettamente connessa, si contesta il rigetto del terzo motivo di gravame con cui la ricorrente si doleva della mancata condivisione della consulenza tecnica d’ufficio di primo grado che, seppure con un errore di misurazione del balcone, aveva concluso per la sola riduzione dell’aggetto; nel caso in esame, trattandosi appunto di aggetti e non di pareti, non trova limite la possibilità per l’ente locale di normare la lunghezza massima, in assenza dei profili di tutela che hanno indotto il legislatore a introdurre la norma di cui all’art. 9 e la giurisprudenza a ritenerla derogativa della diversa previsione regolamentare.
Il motivo è infondato.
Anzitutto, è principio costantemente affermato da questa Corte che ‘lo strumento urbanistico comunale che individui le zone territoriali omogenee di cui all’art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968, deve osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati previste, per ciascuna di dette zone, dal successivo art. 9, comma 1, avente immediata ed inderogabile efficacia precettiva; ne consegue che, qualora nel regolamento comunale non sia stabilita alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o più zone territoriali omogenee, o ne sia prevista una inferiore a quella minima prevista nel citato d.m., la disciplina dettata dall’art. 9 cit. sostituirà ipso iure quella difforme contenuta nel regolamento, così divenendone parte integrante e immediatamente applicabile ai rapporti tra privati’ (così, da ultimo, Cass. n. 12562/2023). La Corte d’appello ha poi correttamente sottolineato, richiamando un precedente di questa Corte, come un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell’estensione del balcone è contra legem , in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l’estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a
metri dieci, violando il distacco imposto dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 (Cass. n. 5594/2016; negli stessi termini, da ultimo, v. Cass. n. 25191/2021). Del resto è noto che per costante giurisprudenza di questa Corte i balconi costituiscono corpi di fabbrica computabili ai fini delle distanze (tra le varie, v. Sez. 2, Sentenza n. 18282 del 19/09/2016).
3) Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione all’art. 31 dello strumento urbanistico del Comune, nonché in relazione all’art. 9 del d.m. 1444/1968: poiché l’art. 9 riguarda precipuamente l’ipotesi in cui entrambe le pareti sono finestrate, mentre nel caso in esame una sola è finestrata, trova applicazione la disposizione regolamentare che prescrive la distanza di metri cinque, rispettata dalla ricorrente in sede di edificazione.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricordata dalla Corte d’appello, in materia di distanze tra fabbricati, l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 va interpretato nel senso che la distanza minima di dieci metri è richiesta anche nel caso in cui una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente, essendo sufficiente, per l’applicazione di detta distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio’ (così, ex multis , Cass. n. 11048/2022). Il motivo non si confronta con tale principio.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore delle controricorrenti, che liquida in euro 3.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione