Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11925 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 11925 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 21463-2019 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nel lo studio dell’avv . NOME COGNOME che lo rappresenta e difende in unione di delega con l’avv . NOMECOGNOME
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO nel lo studio dell’avv . NOME COGNOME
che li rappresenta e difende in unione di delega con gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 762/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 15/05/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME
udito l’avv. NOME COGNOME per la parte ricorrente, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso , e l’avv. NOME COGNOME per delega dell’avv. NOME COGNOME per i controricorrenti, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato NOME evocava in giudizio COGNOME COGNOME e COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Brescia, invocando la condanna dei convenuti ad arretrare la sopraelevazione da essi realizzata sul loro preesistente immobile sino al rispetto della distanza legale, ad eliminare alcune nuove aperture e a ripristinare altre aperture, preesistenti ma ampliate. L’attore esponeva in particolare che i convenuti, in occasione della ristrutturazione di un loro immobile sito nel centro storico di Desenzano, avevano innalzato la falda del tetto, realizzato nuove finestre ed ampliato quelle preesistenti.
Nella resistenza dei convenuti il Tribunale, con sentenza n. 1596/2015, rigettava le domande relative alle aperture, accogliendo invece quella concernente la sopraelevazione, ordinandone l’arretramento sino al rispetto della distanza di tre metri dal confine. Il primo giudice, in particolare, richiamava le conclusioni del C.T.U.,
secondo cui l’immobile di proprietà COGNOME era stato sovralzato di 61 cm. rispetto alla preesistente consistenza e le nuove aperture erano in realtà preesistenti alla ristrutturazione di cui è causa, mentre riteneva che l’ampliamento delle altre aperture site al piano terra della proprietà di COGNOME NOME, contestato dall’Archi, fosse irrilevante, poiché in relazione ad esse l’attore non aveva lamentato l’aggravamento della servitù.
Con la sentenza impugnata, n. 762/2019, la Corte di Appello di Brescia rigettava il gravame principale interposto dall’odierno ricorrente avverso la decisione di prime cure, accogliendo invece in parte quello incidentale spiegato dai COGNOME, eliminando la condanna di questi ultimi all’arretramento della sopraelevazione realizzata. Secondo la Corte distrettuale, in particolare, una parte dell’edificio COGNOME sarebbe aderente a quello di proprietà Archi, e dunque la sopraelevazione sarebbe consentita, in deroga alle norme in tema di distanze legali; né l’odierno ricorrente avrebbe dimostrato, per converso, la non aderenza dei due fabbricati. Per un’altra parte, invece, l’edificio COGNOME non sarebbe frontistante a quello Archi, e dunque non si applicherebbero le norme in tema di distanze. Quanto invece alle aperture, la Corte di merito confermava la decisione di prime cure, secondo cui quelle ampliate dal COGNOME NOME, poste al piano terreno, sarebbero state oggetto di una modifica limitata, non idonea ad implicare aggravamento della servitù di veduta preesistente alla ristrutturazione contestata.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOMECOGNOME affidandosi a sei motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per il rigetto del ricorso, e la parte ricorrente ha depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso, l’avv. NOME COGNOME per la parte ricorrente, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso, e l’avv. NOME COGNOME per delega dell’avv. NOME COGNOME per i controricorrenti, la quale ha insistito per il rigetto del ricorso
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 345 e 132 c.p.c. e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile la questione, proposta dai COGNOME soltanto in seconde cure, della parziale aderenza dei due fabbricati, sulla base dell’assunto che con essa non sarebbe stato introdotto un nuovo tema di indagine. Ad avviso del ricorrente, poiché i COGNOME avevano sostenuto, in prime cure, soltanto di aver legittimamente sopralzato il loro edificio, senza dedurne l’aderenza parziale a quello della parte attrice, non avrebbe dovuto essere consentita la deduzione, in grado di appello, della questione dell’aderenza, in quanto nuova rispetto all’iniziale prospettazione della parte convenuta.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha considerato ammissibile l’argomentazione correlata all’aderenza tra le due costruzioni, rispettivamente di proprietà COGNOME e COGNOME, ritenendo che la stessa costituisse argomentazione difensiva, liberamente proponibile anche in appello, ancorché pacificamente mai fatta valere in prime cure, dovendosi
ritenere preclusa soltanto la possibilità di dedurre, in appello, nuove domande o eccezioni non proposte in prime cure.
La disposizione di cui all’art. 873 c.c. prevede, testualmente, che ‘Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore’ . La costruzione in aderenza, dunque, non costituisce una ipotesi eccezionale rispetto a quella eseguita alla distanza prevista dalla norma codicistica o dal regolamento locale, bensì una delle diverse modalità di realizzazione della nuova fabbrica previste dalla disposizione in esame. La relativa deduzione, dunque, non integra una eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, in quanto essa è finalizzata a contrastare uno degli elementi costitutivi della domanda, la cui causa petendi va individuata nella realizzazione di un manufatto, idoneo a rientrare nell’ambito della categoria della costruzione , in violazione della norma di cui all’art. 873 c.c., eventualmente integrata dalla disposizione regolamentare locale, ove esistente.
Va ribadito, sul punto, il principio secondo cui ‘Nel processo civile, le eccezioni in senso lato consistono nell’allegazione o rilevazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio ai sensi dell’art. 2697 c.c., con cui sono opposti nuovi fatti o temi di indagine non compresi fra quelli indicati dall’attore e non risultanti dagli atti di causa. Esse si differenziano dalle mere difese, che si limitano a negare la sussistenza o la fondatezza della pretesa avversaria, sono rilevabili d’ufficio -non essendo riservate alla parte per espressa previsione di legge o perché corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva- e sono sottratte al divieto stabilito dall’art. 345, comma 2, c.p.c., sempre che riguardino fatti principali o secondari emergenti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al
processo e anche se non siano state oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 8525 del 06/05/2020, Rv. 657810; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14515 del 28/05/2019, Rv. 654080). E’ pacifico che la mera difesa, con la quale la parte si limiti a contestare la fondatezza della domanda spiegata nei suoi confronti, non soggiace alla preclusione prevista dall’art. 345, comma secondo, c.p.c. (sul punto, cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18096 del 12/09/2005, Rv. 584110; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13770 del 15/06/2006, Rv. 591746; Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 23796 del 01/10/2018, Rv. 650608) e la deduzione dell’esistenza dell’aderenza tra le fabbriche costituisce, per l’appunto, mera difesa, poiché essa mira a smentire la sussistenza, allegata dall’attore, dei presupposti per la configurazione della violazione del precetto di cui all’art. 873 c.c.
Peraltro, va evidenziato che questa Corte, approfondendo ulteriormente il concetto espresso nei precedenti sopra richiamati, ha precisato che ‘Ove il convenuto contrapponga alla pretesa attorea fatti cui la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto fondante siffatta pretesa, occorre distinguere il relativo potere di allegazione, che compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), da quello di rilevazione, che spetta alla parte (nel rispetto delle preclusioni per questa stabilite) solo qualora la manifestazione della sua volontà sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nell’ipotesi di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva) ovvero quando singole disposizioni espressamente ne indichino come indispensabile l’iniziativa. Ne consegue che, in ogni altro caso, i fatti risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito sono rilevabili d’ufficio,
senza che si verifichi alcun superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze stabilite, atteso che il generale potere-dovere di rilievo ufficioso delle eccezioni si traduce semplicemente nell’attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti modificativi, impeditivi o estintivi che, comunque, devono essere legittimamente acquisiti al processo e provati’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17216 del 18/08/2020, Rv. 661735; conf. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 34311 del 15/11/2021, Rv. 663049).
Nel caso di specie, l’aderenza aveva formato oggetto di accertamento, già in prime cure, ad opera del C.T.U., come si evince dalla lettura tanto della sentenza impugnata, che proprio sulla base delle verifiche dell’ausiliario, oltreché sulle fotografie prodotte dalla parte appellante, fonda la propria decisione (cfr. pag. 5 della sentenza), quanto del controricorso, che riproduce testualmente il passaggio saliente della relazione del consulente tecnico, secondo il quale ‘Oggetto della presente relazione peritale è un fabbricato a destinazione residenziale … costituito da un edificio di due piani fuori terra edificato in aderenza ad un fabbricato di altra proprietà costituito da un edificio di tre piani fuori terra’ (cfr. pag. 6 del controricorso). La valorizzazione, da parte della Corte distrettuale, della ravvisata aderenza tra le due fabbriche, pertanto, non eccede dalle allegazioni delle parti, né da quanto accertato all’esito dell’istruttoria condotta in primo grado, onde non si configura, nel caso di specie, alcuna violazione del divieto dei cd. nova in appello.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di
Appello non si sarebbe pronunciata sull’eccezione di inammissibilità delle produzioni documentali eseguite dai COGNOME in sede di gravame.
La censura è inammissibile.
Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che la Corte di Appello ha fondato la propria decisione non soltanto sulle fotografie che la parte appellante, odierna controricorrente, aveva prodotto solo in appello, ma anche sulle risultanze della C.T.U. esperita in prime cure. Poiché il richiamo del contenuto dell’accertamento tecnico condotto dall’ausiliario è di per sé idoneo e sufficiente a sostenere la decisione assunta dal giudice di merito, e considerato che l’Archi non ha specificamente dedotto, né tanto meno offerto la prova, della decisività delle fotografie in contestazione, lo stesso non ha alcun interesse concreto a contestare l’omessa pronuncia, da parte della Corte territoriale, sull’eccezione di inammissibilità della produzione delle fotografie in sede di gravame: l’eventuale violazione della norma processuale, infatti, si risolve in un vizio di natura esclusivamente formale, dal cui accertamento non potrebbe derivare alcun vantaggio pratico per la parte ricorrente.
Va ribadito, al riguardo, che ‘L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice …’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti ‘… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni
future o meramente ipotetiche’ (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv. 611498).
Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 2697 c.c. e 132 c.p.c., nonché l’apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che era onere dell’odierno ricorrente dimostrare la non aderenza tra gli edifici delle parti.
La censura è infondata.
La statuizione della Corte di Appello si fonda su un accertamento di fatto, condotto, peraltro, sulla base delle risultanze della C.T.U. esperita in prime cure. Non si configura, quindi, alcuna violazione del criterio di riparto dell’onere della prova, appunto perché il giudice di merito ha posto a fondamento del proprio convincimento le risultanze dell’accertamento condotto dal consulente tecnico d’ufficio, peraltro nel contraddittorio delle parti, che -secondo quanto ha accertato la Corte distrettualenulla avevano contestato, sullo specifico punto dell’aderenza. Va pertanto data continuità al principio secondo cui ‘La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.’ (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006, Rv. 592634; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2935 del 10/02/2006, Rv. 586772; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2155 del 14/02/2001, Rv. 543860). Con la censura in esame, in sostanza, il
ricorrente contrappone, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Né sussiste alcun vizio della motivazione della sentenza impugnata, poiché essa non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Con il quarto motivo, il ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 877 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato l’aderenza tra i due fabbricati.
La censura ripropone, sotto un diverso profilo, gli stessi argomenti sostenuti nel primo e terzo motivo, onde per essa valgono le argomentazioni già esposte in occasione dello scrutinio delle predette doglianze. Si tratta, in ultima analisi, di un rilievo a contenuto meritale, poiché la parte invoca un nuovo accertamento del fatto, tralasciando di considerare che non è consentito, in sede di legittimità, proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, rispetto a quello prescelto dal giudice di merito, posto il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che
di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812). Il motivo, dunque, va rigettato.
Con il quinto motivo, l’Archi lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 877, 873 c.c., delle N.T.A. del Comune di Desenzano del Garda e del D.M. n. 1444 del 1968, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto legittima la sopraelevazione di un edificio realizzato in aderenza. Ad avviso del ricorrente, infatti, l’esenzione del dovere di rispettare le norme in tema di distanza tra le fabbriche derivante dalla loro aderenza non si estenderebbe alle loro sopraelevazioni, le quali, in quanto integranti nuove costruzioni, dovrebbero comunque rispettare le distanze legali.
La censura è fondata.
Le N.T.A. del Comune di Desenzano, che il ricorrente riproduce testualmente alle pagg. 17 e ss. del ricorso, evidenziano che nel centro storico di quel Comune, identificato come zona ‘A’, non sono consentiti
interventi edilizi finalizzati alla realizzazione di nuove costruzioni, ma soltanto opere di manutenzione ordinaria, straordinaria, recupero e ristrutturazione, senza modifica alcuna dei volumi e delle superfici, né alterazione dei profili o modifica delle altezze. Con riferimento a queste ultime, infatti, le N.T.A. richiamano espressamente le prescrizioni di cui agli artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444 del 1968.
Orbene, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, nelle zone A, nelle quali sono consentiti esclusivamente interventi di risanamento conservativo senza incremento delle densità edilizia di zona e territoriale preesistenti, é stato in sostanza imposto un vincolo conformativo inerente alle caratteristiche intrinseche del territorio non temporaneo e, come tale, non caducabile. Ciò comporta che il vincolo di inedificabilità assoluta, impedisce in radice che possano trovare applicazione i criteri stabiliti dall’art. 873 cod. civ., nonché quelli di cui alla L. n. 875 del 1967, art. 17, comma 1 (Cass. n. 6767/2025; Cass. 19.1.2018 n. 1360; Cass. 12.12.2017 n.29732; Cass. 15.7.2016 n. 14552).
Le sezioni unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui il D.M. 2.4.1968 n. 1444, nell’imporre all’art. 9 determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione di strumenti urbanistici, non è immediatamente operante nei rapporti tra i privati (Cass. sez. un. 1.7.1997 n. 5889), ma poichè il DM in esame è rivolto agli enti comunali, che devono farne applicazione nella redazione dei loro strumenti urbanistici, una volta che l’ente locale abbia adottato lo strumento urbanistico e qualora quest’ultimo contenga disposizioni sulle distanze tra le costruzioni che violino i parametri minimi stabiliti dal D.M. citato, il giudice di merito è tenuto a disapplicare le disposizioni del regolamento comunale illegittime e ad applicare direttamente, anche nei rapporti tra privati, la disposizione del detto art. 9, la quale
diviene, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima. In tal senso deve poi altresì precisarsi, che l’inserzione automatica della disciplina delle distanze dettata dall’art. 9 del D.M. 2.4.1968, n. 1444, nello strumento urbanistico comunale opera non solo quando lo strumento urbanistico stesso, individuando le zone territoriali omogenee, violi le distanze minime prescritte dallo stesso art. 9, per ciascuna zona territoriale, prevedendo una distanza inferiore a quella minima prescritta, ma anche quando lo strumento urbanistico, dopo aver individuato le zone territoriali omogenee, nulla preveda sulle distanze legali relativamente ad esse (o ad una di esse).
Dal che consegue che, in presenza di un divieto assoluto di nuove edificazioni in zona ‘A’, in assenza dell’approvazione di un piano particolareggiato che le consenta, non trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 873 c.c., ma quella prevista dal citato art. 9 del D.M. n. 1444, in sostituzione dell’eventuale norma locale illegittima.
Quindi, se lo strumento urbanistico locale recepisce – come nella fattispecie- le prescrizioni in materia di distanze tra costruzioni dettate dall’art. 9 del D.M. n. 1444, ovvero stabilisca distanze più rigorose, si applicheranno le norme del regolamento comunale, mentre se esso non osserva le prescrizioni del detto art. 9, o preveda distanze minori tra i fabbricati o non ne preveda alcuna, si determina l’inserzione automatica, nello strumento urbanistico locale, delle prescrizioni del già richiamato art. 9 (in tal senso, cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1360 del 19/01/2018 cit.; in termini analoghi, cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14552 del 15/07/2016 cit., secondo la quale nelle zone ‘A’, vige un vincolo conformativo non temporaneo e non caducabile, inerente alle caratteristiche intrinseche del territorio;
nonché Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19405 del 15/07/2024 cit., e Cass. n. 6767/2025 cit.).
Da quanto precede consegue che il vincolo di inedificabilità assoluta previsto in zona ‘A’ impedisce in radice che possano trovare applicazione i criteri stabiliti dall’art. 873 c.c., nonché quelli di cui alla legge n. 765 del 1967, art. 17, comma 1, dovendosi fare riferimento esclusivamente alle disposizioni di cui all’art. 9 del D. M. n. 1444 del 1968 (cfr., in tal senso, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 29732 del 12/12/2017, Rv. 647062, secondo la quale ‘Lo strumento urbanistico comunale che individui le zone territoriali omogenee di cui all’articolo 2 del D. M. n. 1444 del 1968 deve osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati previste, per ciascuna di dette zone, dall’articolo 9, comma 1, del medesimo decreto ministeriale, trattandosi di disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva. Ne consegue che, qualora nel regolamento comunale non sia stabilita alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o più zone territoriali omogenee, o ne sia prevista una inferiore a quella minima prevista nel citato D. M., la disciplina dettata dal citato articolo 9 sostituirà ipso iure quella difforme contenuta in origine in tale regolamento, divenendone automaticamente parte integrante e da subito operante senza che possano, invece, trovare applicazione gli articoli 873 c.c. e 17, comma 1, della legge n. 765 del 1967’ ; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12562 del 10/05/2023, Rv. 667781).
La sentenza impugnata -che si è discostata dai citati principi- va pertanto cassata, rendendosi necessario un nuovo esame.
Con il sesto ed ultimo motivo, infine, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 873 e 877 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che le norme in tema di distanze tra
edifici sarebbero escluse, nella fattispecie, per una parte perché l’edificio COGNOME sarebbe stato realizzato in aderenza a quello Archi, e per altra parte perché le due fabbriche non sarebbero prospicienti. Ad avviso del ricorrente, la prima affermazione escluderebbe la seconda, poiché l’aderenza implicherebbe necessariamente la frontistanza.
La censura è assorbita dall’accoglimento del quinto motivo, poiché il giudice del rinvio dovrà procedere ad una nuova valutazione della fattispecie, al fine di verificare se la sopraelevazione realizzata dai COGNOME corrisponda, o meno, alle prescrizioni imposte dalle norme di legge e regolamento locale applicabili in zona ‘A’ sulla scorta dei principi enunciati in occasione dello scrutinio della predetta doglianza.
In definitiva, va accolto il quinto motivo del ricorso, dichiarato assorbito il sesto, dichiarato inammissibile il secondo e rigettati i restanti.
La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Brescia, in differente composizione.
PQM
la Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, dichiara assorbito il sesto e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Brescia, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda