Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24764 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24764 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37613/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME LANFRANCO (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato
NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di n.4716/2019 depositata il 27.9.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ Consigliere NOME COGNOME.
NAPOLI 11.9.2024 dal
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME, proprietario di un fondo agricolo con annesso fabbricato rurale sito in INDIRIZZO, INDIRIZZO, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Gragnano, i proprietari di un fabbricato confinante posizionato in prossimità del confine sudest, COGNOME NOME, NOME e NOME, lamentando che la loro dante causa, COGNOME NOME, coltivatrice diretta, aveva proceduto alla demolizione e ricostruzione con arretramento dal confine di un preesistente fabbricato, sito in INDIRIZZO (già n. 30), che era stato danneggiato dal terremoto del 1980, in aperta violazione delle distanze legali, ed all’apertura nel fabbricato ricostruito di vedute sul fondo degli attori in contrasto con l’art. 905 cod. civ., e chiedendo la condanna dei convenuti alla demolizione del loro fabbricato, alla chiusura delle vedute ed al risarcimento dei danni conseguenti a lui provocati, da quantificare in corso di causa.
Si costituivano i convenuti, che per quanto ancora rileva, sostenevano la legittimità della ricostruzione compiuta dalla loro dante causa dopo il sisma, avvenuta dopo la presentazione del progetto di ricostruzione del 28.2.1988, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO e successive integrazioni all’Ufficio Tecnico comunale, il rilascio in data 8.6.2001 del parere favorevole della II Commissione ex art. 14 della
L.n.218/1981, ed in data 28.6.2001 dell’autorizzazione dei lavori di ricostruzione del fabbricato da parte del Comune di Sant’Antonio Abate.
Escussi alcuni testimoni ed espletata CTU, il Tribunale di Torre Annunziata, con la sentenza n. 1373/2013 del 13.11.2013, rilevava che il fabbricato ricostruito dalla dante causa dei COGNOME, a differenza di quello preesistente ubicato sul confine con la proprietà COGNOME, era posto ad una distanza oscillante da un minimo di m 1,07 ad un massimo di m 1,34 dal confine, per cui doveva essere considerato in ragione della differente sagoma, come una nuova costruzione, soggetta alla distanza legale di dieci metri dal confine secondo lo strumento urbanistico vigente al momento dell’autorizzazione ed alle distanze legali per le vedute dell’art. 905 cod. civ., e pertanto condannava i convenuti all’arretramento del fabbricato ricostruito fino a rispettare la distanza dal confine, nonché alla chiusura delle vedute per l’accertata violazione dell’art. 905 cod. civ., ed al risarcimento dei danni conseguenti, quantificati in € 2.000,00 sulla base del costo dei lavori di rifacimento parziale dell’intonaco del locale cantinato del COGNOME, che era stato rovinato durante i lavori di demolizione del fabbricato COGNOMED’COGNOME.
Appellata la sentenza di primo grado dai COGNOME, la Corte d’Appello di Napoli, nella resistenza del COGNOME, dopo avere inizialmente sospeso l’esecutività della decisione di primo grado, con la sentenza n. 4716/2019 del 30.7/7.9.2019, rigettava l’appello e condannava gli appellanti alle spese processuali di secondo grado.
La Corte di merito, in ragione della diversità di sagoma del fabbricato, ricostruito dalla dante causa dei COGNOME (con arretramento dell’area di sedime da un minimo di m 1,07 ad un massimo di m1,34 dal confine lato sud con la proprietà COGNOME) rispetto al preesistente fabbricato, che era invece costruito su tale confine, qualificava il manufatto, in linea con la giurisprudenza del
Consiglio di Stato, come nuova costruzione e non come ristrutturazione edilizia ex art. 3 comma 1 lettera d) del D.P.R. n. 380/2001, ritenendolo pertanto assoggettato alla distanza di dieci metri dal confine prescritta dal Programma di Fabbricazione, strumento urbanistico vigente al momento del rilascio dell’autorizzazione alla demolizione e ricostruzione n.11136/2001 del Comune di Sant’Antonio Abate, escludendo invece l’applicabilità del Piano di Recupero ex L. n. 219/1981 del suddetto Comune, perché non ancora vigente al momento del rilascio di quell’autorizzazione ed assoggettata anche al rispetto delle distanze legali per le vedute stabilite dall’art. 905 cod. civ., e confermava quindi l’ordine di demolizione del fabbricato ricostruito e di chiusura delle vedute.
Avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso COGNOME NOME, NOME e NOME, affidandosi a due motivi, contrastati con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n.380/2001.
Sostengono che l’art. 3 comma primo lettera d) del D.P.R. n.380/2001, del quale l’impugnata sentenza ha fatto applicazione, è stato modificato da ultimo dal D.L. n. 69/2013, che ha sostituito alla pregressa nozione di fedele ricostruzione, che richiedeva che il fabbricato ricostruito avesse la stessa sagoma di quello preesistente, intesa come conformazione planovolumetrica della costruzione e come perimetro in senso verticale ed orizzontale, la nozione di ristrutturazione, che presuppone che il nuovo organismo
edilizio, anche se in tutto o in parte diverso dal precedente, risulti dall’effettuazione di interventi di ripristino e sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, dall’eliminazione, dalla modifica e dall’inserimento di nuovi elementi ed impianti senza la realizzazione di nuovi volumi e con conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente, permanendo il vincolo di sagoma solo per gli immobili soggetti a vincolo.
Ritengono quindi i ricorrenti che la Corte d’Appello non avrebbe potuto qualificare il fabbricato ricostruito come nuova costruzione ed assoggettarlo alle distanze legali vigenti al momento della ricostruzione, trattandosi in realtà di una ristrutturazione con diminuzione della volumetria di progetto, per la quale non vi era l’obbligo di rispettare le distanze legali vigenti al momento della ristrutturazione, né per l’edificazione, né per le vedute.
Il primo motivo è infondato, anche se non ci si può limitare a affrontare la problematica della modifica apportata all’art. 3 comma primo lettera d) del D.P.R. n. 380/2001 dal D.L. n. 69/2013, con il rilievo che si tratterebbe di norma sopravvenuta al rilascio dell’autorizzazione alla demolizione e ricostruzione n. 11136/2001 da parte del Comune di Sant’Antonio Abate del 28.6.2001, e quindi non applicabile al caso concreto. Si rende invece necessaria la correzione della motivazione ex art. 384 ultimo comma c.p.c. sulla base delle seguenti considerazioni.
Per giurisprudenza costante di questa Corte, in materia di distanze nelle costruzioni, qualora subentri una disposizione derogatoria favorevole al costruttore, si consolida, salvi gli effetti dell’eventuale giudicato sull’illegittimità della costruzione, il diritto di quest’ultimo a mantenere l’opera a distanza inferiore, se a quel tempo, la stessa sia già ultimata (vedi Cass. 11.5.2023 n.12751; Cass. 4.2.2021 n. 2640; Cass. 26.7.2013 n. 18119). Il sopravvenire della disciplina normativa meno restrittiva comporta, che l’edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione,
ma conforme alla nuova, non possa più essere ritenuto illegittimo, cosicché il confinante non può pretenderne l’abbattimento, o comunque la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione.
Occorre tuttavia esaminare l’evoluzione nel tempo della nozione di ricostruzione di edificio e di ristrutturazione nella nostra legislazione.
In passato la ricostruzione era individuata in un intervento che fosse contenuto nei limiti preesistenti di altezza, volumetria, sagoma ed area di sedime dell’edificio, per cui in presenza di eccedenze si aveva invece una nuova costruzione soggetta alle nuove distanze legali vigenti al tempo della realizzazione del nuovo fabbricato, mentre per la ricostruzione continuavano a valere le distanze legali previste per l’edificio originario (vedi Cass. n.473/2019).
Tale distinzione era basata dalla giurisprudenza su una serie di disposizioni, a partire dall’art. 31 comma 1 lettera d) della L.n.457/1987, per poi passare all’art. 3 comma 1 lettera d) del D.P.R. 6.6.2001 n. 380, che nella sua formulazione originaria prevedeva che ‘ nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi ed area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica ‘.
Il D.L. n. 69/2013, invocato dai ricorrenti, ha modificato il sopra riportato art. 3, comprendendo, nell’ambito della ristrutturazione edilizia, gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, essendo quindi sufficiente per aversi ristrutturazione il
rispetto della volumetria originaria, senza necessità di rispettare la sagoma dell’edificio preesistente.
E’ poi ulteriormente intervenuto però l’art. 5 del D.L. n. 32/2019, convertito nella L.n. 55/2019, sul tema delle distanze per le costruzioni, che all’art. 2 bis del D.P.R. 6.6.2001 n. 380 ha aggiunto il comma 1 ter, in base al quale ‘ in ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo ‘.
Da ultimo l’art. 10 comma 1 lettera a) del D.L. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 120/2020 ha modificato l’art. 2 bis comma 1 ter del D.P.R. n. 380/2001 stabilendo che ‘ in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti’ aggiungendo ‘ gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti’, e dallo stesso D.L. è stato ulteriormente modificato l’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 facendo rientrare nella nozione di ristrutturazione edilizia anche gli interventi ‘ di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planovolumetriche e tipologiche’, in tal modo superando la definizione tradizionale di ristrutturazione, che era riferita alle modificazioni edilizie esclusivamente interne, che lasciavano inalterate le componenti essenziali quali i muri perimetrali, le
strutture orizzontali, la copertura (vedi sulla nozione tradizionale di ristrutturazione Cass. ord. 13.6.2023 n. 16804).
Ne deriva, nel caso in esame, che i ricorrenti non potevano invocare l’art. 3 comma 1 lettera d) del D.P.R. 6.6.2001 n. 380, come modificato dal D.L. n. 69/2013, relativo alla nozione di ristrutturazione edilizia, in quanto è stato accertato che il fabbricato da essi ricostruito ha un’area di sedime diversa dal fabbricato demolito, che era ubicato sul confine, essendo posizionato a diversa distanza.
D opo l’entrata in vigore dell’art. 5 del D.L. n. 32/2019, convertito nella L.n. 55/2019, per fugare eventuali dubbi sorti a seguito della mutata nozione di ristrutturazione edilizia, e porre un freno alla legislazione urbanistica regionale propensa a consentire aumenti volumetrici nelle ristrutturazioni, si è stabilito il principio, a prescindere dalla forma autorizzatoria scelta, degli interventi di demolizione e ricostruzione nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti, dovendosi altrimenti rispettare le distanze legali vigenti al momento della ricostruzione del fabbricato.
Quanto alla modifica apportata dal D.L. n. 76/2020, la sentenza di Cass. pen. 18.1.2023 n. 1669 ha comunque chiarito che, nonostante l’ampliamento progressivo della nozione di ristrutturazione, la ratio qualificante di tale intervento edilizio è che preesista un fabbricato da recuperare, sia pure con le modifiche ora consentite, e che tale fabbricato venga comunque conservato attraverso interventi di recupero che conservino tracce dell’immobile preesistente. E’ stato poi chiarito dalla giurisprudenza di questa sezione, che anche dopo l’intervento della riforma del D.L. n. 76/2020, ancorché si possa parlare di ricostruzione anche per opere che aumentino il volume o modifichino la sagoma dell’opera da ricostruire, si richiede sempre che la ricostruzione sia compiuta nel rispetto delle distanze preesistenti e cioè delle
distanze conformi alla normativa vigente nel momento in cui è stato realizzato l’intervento originario (Cass. n. 20428/2022)
Nel caso di specie, come si è visto, la Corte d’Appello ha accertato, in punto di fatto, che il fabbricato ricostruito dai ricorrenti dopo la demolizione del preesistente fabbricato danneggiato dal terremoto del 1980, a differenza di quello, che era costruito proprio sul confine con la parte sudorientale della proprietà di COGNOME NOME, in aderenza al fabbricato di quest’ultimo, è stato realizzato ad una distanza variabile tra un minimo di m 1,07 ed un massimo di m 1,34 da tale confine, per cui vi è stata una modifica dell’area di sedime mediante traslazione, che si è anche accertato da parte dei giudici di merito non corrispondere a quanto indicato nel progetto di ricostruzione del 28.2.1988, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO, e successive integrazioni, presentato all’Ufficio Tecnico comunale, per il quale il 28.6.2001 è stata poi rilasciata l’autorizzazione dei lavori di ricostruzione del fabbricato ora dei ricorrenti da parte del Comune di Sant’Antonio Abate, progetto nel quale si prevedeva la ricostruzione del fabbricato sul confine.
Sulla base di questi elementi di fatto e della motivazione così integrata la Corte d’Appello ha correttamente qualificato il fabbricato ricostruito dopo la demolizione come nuova costruzione. La diversità delle distanze accertate nella edificazione rispetto al preesistente, con creazione di un’intercapedine potenzialmente nociva ed insalubre, prima inesistente, anche alla luce della più favorevole normativa sopravvenuta sopra richiamata, non consentono ai ricorrenti di sottrarsi al rispetto delle distanze legali vigenti all’epoca della ricostruzione.
Allo stesso tempo non può la parte ricorrente sottrarsi al rispetto delle distanze legali vigenti all’epoca della ricostruzione neppure invocando l’estensione della nozione di ristrutturazione apportata dal D.L. n. 76/2020, in quanto del preesistente fabbricato, totalmente demolito, non è stata conservata alcuna traccia, per cui
non ci si trova di fronte ad una mera ristrutturazione, ma ad una vera e propria ricostruzione con area di sedime diversa dal fabbricato preesistente e con modifica della distanza pregressa derivante dal fatto che il fabbricato ricostruito non è più ubicato sul confine con la proprietà COGNOME, ed a ciò va aggiunto che i provvedimenti autorizzatori adottati in sede amministrativa attengono al profilo della legittimità urbanistico-edilizia, ma lasciano impregiudicato il rapporto del costruttore con i terzi che invochino il rispetto delle distanze legali.
2) Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del D.P.R. n.380/2001, che attribuisce alle Regioni il potere di stabilire quali siano le violazioni essenziali al progetto approvato in presenza di determinate condizioni e le modifiche sostanziali dei parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza, potere che la Regione Campania non ha esercitato, risultando rimessa ogni valutazione discrezionale ai Comuni che rilasciano le autorizzazioni alla demolizione e ricostruzione, nella specie consentita con un lieve spostamento dell’area di sedime.
Il motivo è inammissibile, in quanto non censura la motivazione della sentenza impugnata, che non ha fatto alcuna applicazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 380/2001, non essendosi posto alcun problema di sanzioni penali per violazioni urbanistiche essenziali non consentite, ed avendo valutato non il profilo della legittimità amministrativa del procedimento di demolizione e ricostruzione, ma quello indipendente del rapporto coi i terzi, che viene in rilievo in materia di distanze legali e che prescinde dal profilo della legittimità delle autorizzazioni rilasciate dall’autorità amministrativa.
Il ricorso va quindi respinto, ed in applicazione del principio della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento
delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, da distrarre in favore del legale antistatario del controricorrente, AVV_NOTAIO.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate nella somma di € 200,00 per spese e di € 3.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, da distrarre in favore del legale antistatario del controricorrente, AVV_NOTAIO . Visto l’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11.9.2024