Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11928 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 11928 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 28491-2019 proposto da:
NOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1111/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata in data 27/02/2019
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME;
udito l’avv. NOME COGNOME per la parte controricorrente, il quale ha concluso per il rigetto ricorso
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 26.10.2000 NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Nola, per sentirlo condannare ad arretrare l’edificio realizzato in violazione delle norme in tema di distanze e a risarcire il correlato danno. Si costituiva il convenuto, resistendo alla domanda ed eccependo l’usucapione del diritto a mantenere la sua fabbrica nell’attuale collocazione.
Con sentenza n. 1320/2013 il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo applicabile nella fattispecie il principio della prevenzione.
Con la sentenza impugnata, n. 1111/2019, la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame interposto dall’odierno ricorrente avverso la decisione di prime cure, ritenendo operante nella fattispecie la norma di cui al secondo comma dell’art. 879 c.c., ritenuta applicabile anche in presenza di una traversa gravata da servitù di uso pubblico.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOME COGNOME affidandosi a tre motivi, oltre ad una istanza finale di diverso regolamento delle spese di lite.
Resiste con controricorso COGNOME Giovanni.
Con atto privo di data, si è costituito in giudizio, per parte ricorrente, l’avv. NOME COGNOME in sostituzione del precedente difensore, avv. NOME COGNOME sulla base di procura autenticata dal nuovo procuratore.
In prossimità dell’udienza pubblica, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per il rigetto del ricorso, e la parte controricorrente ha depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso; e l’avv. NOME COGNOME per la parte controricorrente, il quale ha insistito per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va rilevata l’inammissibilità della costituzione del nuovo difensore della parte ricorrente, il quale, unitamente alla comparsa di costituzione, ha depositato procura speciale non redatta in forma notarile. Trattandosi di giudizio iniziato prima del 2009, il difensore avrebbe dovuto munirsi di mandato conferito in virtù di procura speciale autenticata da un notaio, in forza della disposizione di cui all’art. 83 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis . Va infatti ribadito, sul punto, il principio secondo cui ‘Nel giudizio di cassazione la procura speciale, data l’elencazione tassativa contenuta nell’art. 83, comma 3, c.p.c. nel testo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 45 della l. n. 69 del 2009 applicabile ratione temporis, non può essere rilasciata in calce o a margine di atti diversi dal ricorso o dal controricorso sicché, se non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del citato articolo e, dunque, con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del
giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20692 del 09/08/2018, Rv. 650007; Conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18323 del 27/08/2014, Rv. 632092; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 7241 del 26/03/2010, Rv. 612212; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7975 dell’11/03/2022, non massimata, pag. 4 della motivazione, e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19519 del 16/07/2024, non massimata, pag. 8 della motivazione).
Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 879 c.c. e l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato che l’inserzione della strada esistente tra le proprietà delle parti nella viabilità comunale avrebbe valore meramente dichiarativo, ponendo una presunzione semplice della destinazione all’uso pubblico della stessa, superabile mediante la prova contraria. Nel caso specifico, la strada in questione non poteva essere ritenuta destinata al transito di una collettività indistinta di individui, poiché essa non confinava con una strada ma con il terreno del Cerciello, ed era adibita al transito per poter raggiungere quest’ultimo.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha esaminato le risultanze di altro giudizio, pendente tra l’odierno ricorrente ed altro confinante e definito con sentenza n. 1286/2008, prodotta in atti del giudizio di merito, con la quale il Tribunale di Nola aveva accertato la natura di traversa privata soggetta a servitù di uso pubblico della strada di cui si discute, richiamando anche il contenuto della certificazione del Comune con la quale l’ente locale, rispondendo a specifica richiesta inoltrata dal COGNOME, aveva affermato che, in base alle delibere di Giunta comunale n. 132 del 2001 e n. 121 del 2008, la strada in questione, denominata
‘traversa Napoli’ è privata, ma soggetta -appunto- ad una ‘servitù di uso pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 825 c.c. … a partire dal 30.7.2008’ (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). La Corte partenopea ha poi evidenziato che l’iscrizione della strada nell’elenco delle vie comunali spiega funzione puramente dichiarativa e pone una presunzione semplice, superabile con la prova contraria (cfr. pag. 9), la quale però non era stata fornita dall’odierno ricorrente, il quale si era limitato ad affermare che si trattava di strada cieca e privata (cfr. pag. 10). La Corte di Appello ha anche evidenziato l’irrilevanza delle ridette circostanze, ai fini dell’accertamento dell’asservimento della strada all’uso pubblico, richiamando un precedente di questa Corte (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6006 del 05/03/2008, Rv. 602248), proprio concernente una strada a fondo cieco, con il quale è stato affermato il principio secondo cui ‘L’esonero dal rispetto delle distanze legali previsto dall’articolo 879, comma secondo, c.c. per le costruzioni a confine con piazze e vie pubbliche, va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacché il carattere pubblico della strada, rilevante ai fini dell’applicazione della norma citata, attiene più che alla proprietà del bene, piuttosto all’uso concreto di esso da parte della collettività’. Nello stesso senso, questa Corte ha ritenuto che ‘In tema di distanze legali fra costruzioni, ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 879 secondo comma c.c., una strada privata può ritenersi legittimamente asservita ad uso pubblico qualora l’uso predetto trovi titolo in una convenzione tra i proprietari del suolo stradale e l’ente pubblico, ovvero si sia protratto per il tempo necessario all’usucapione’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9077 del 16/04/2007, Rv. 596355; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6401 del 24/03/2005, Rv. 581703; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8619 del 29/08/1998, Rv. 518495). Più specificamente,
‘L’esonero dal rispetto delle distanze legali previsto dall’articolo 879, comma secondo, c.c. per le costruzioni a confine con piazze e vie pubbliche, va riferito anche alle costruzioni a confine delle strade di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio, giacché il carattere pubblico della strada, rilevante ai fini dell’applicazione della norma citata, attiene più che alla proprietà del bene, piuttosto all’uso concreto di esso da parte della collettività’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6006 del 05/03/2008, Rv. 602248; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27364 del 29/10/2018, Rv. 651024). L’effettiva destinazione della strada al transito pubblico, dunque, costituisce la condizione sine qua non per l’esclusione delle distanze legali, tanto è vero che il fatto che sia intervenuta una convenzione, tra un privato e un ente pubblico, per la costruzione di un parcheggio in una determinata area non è, di per sé, elemento sufficiente a conferire natura pubblica alla costruzione, ai fini dell’inapplicabilità della disciplina di cui agli artt. 873 e ss. c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5258 del 04/03/2011, Rv. 617023).
Nella specie, la Corte distrettuale ha accertato l’esistenza di una servitù di uso pubblico sulla traversa in questione, fondando la sua valutazione sia sul precedente accertamento contenuto nella sentenza del Tribunale di Nola n. 1286/2008, che aveva ravvisato l’esistenza di una servitù di uso pubblico, sia sull’esistenza di numeri civici, sia sulla ‘… conformazione strutturale del tracciato … da sempre aperto su INDIRIZZO sfociando direttamente su tale arteria principale della città, con conseguente applicabilità della presunzione di demanialità di cui all’art. 22 della l. n. 2248 del 1865, all. F’ (cfr . pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata).
A tale ricostruzione del fatto e delle prove, la parte ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza
di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Nel caso di specie, inoltre, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del
07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
A quanto precede deve aggiungersi che -come correttamente osservato dalla parte controricorrente, anche con la memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica- la stessa questione che oggi viene all’esame di questa Corte è stata esaminata in due precedenti giudizi, promossi dal medesimo Romano avverso altri confinanti, definiti, rispettivamente, con ordinanze di questa medesima sezione n. 24844 del 17/08/2022 (Rv. 665566) e n. 12543 dell’8.5.2024, non massimata. La prima di tali pronunce ha espressamente affermato che la Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 1321/2018, impugnata in quella sede e resa tra NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, aveva ‘… appurato che, con apposita delibera della G.C. del 30 luglio 2008, era stato deciso di attribuire alla strada costituita dalla ‘INDIRIZZO‘ in contestazione la natura di servitù di uso pubblico, in virtù del suo inserimento in apposito elenco allegato a detta delibera, essendo, peraltro, emerso che tale strada faceva parte anche dello stradario comunale. Sul piano oggettivo, la Corte territoriale ha, altresì, appurato che detta strada era segnalata sul posto da un’apposita targa toponomastica, che lungo il suo corso risultavano apposti i numeri civici e che era stata inserita nell’anagrafe oltre ad essere oggetto del servizio di nettezza urbana e. soprattutto, ad essere praticata da una collettività indeterminata di persone, circostanza questa da far propendere già univocamente – di per sé – per il suo uso pubblico’ (cfr. pag. 5 dell’ordinanza di questa Sezione n. 24844/2022, dianzi citata). La sentenza impugnata si pone in perfetta coerenza con questo precedente, in quanto è fondata sul medesimo accertamento in punto di fatto.
Va aggiunto che la decisione impugnata non collide neppure con il secondo precedente di questa Corte, n. 12543/2024, con il quale invece questa sezione ha rigettato il ricorso interposto dal Romano avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 5544/2018, resa tra il predetto ricorrente e COGNOME, poiché il ricorrente aveva attinto una soltanto delle due rationes decidendi posta a base della sentenza di merito (rappresentata, appunto, dall’esistenza di un uso pubblico della strada) senza confrontarsi con l’altra affermazione della Corte partenopea, secondo la quale si configura, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 2248 del 1865, allegato F, la presunzione di demanialità delle aree e degli spazi adiacenti alle strade comunali o aperti sul suolo pubblico.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente applicato alla fattispecie la disposizione di cui all’art. 879, secondo comma, c.c., pur avendo ritenuto fondata la censura concernente l’erronea applicazione, da parte del Tribunale, del criterio della prevenzione. Ad avviso del Romano, nel caso di specie non avrebbe dovuto escludersi la normativa in tema di distanze perché non esisteva una strada pubblica interposta tra le due proprietà; di conseguenza, poiché il COGNOME non poteva sfruttare l’aderenza, posto che tra i fondi vi era una traversa gravata da servitù di passaggio, egli avrebbe dovuto arretrare la sua fabbrica sino al rispetto della distanza dal confine.
La censura è inammissibile, per effetto del rigetto della prima doglianza.
Una volta confermata, infatti, la statuizione della Corte di Appello che ha ravvisato l’esistenza, tra le due proprietà, di una strada gravata da servitù di uso pubblico, la normativa in tema di distanze non poteva
essere ritenuta applicabile (in linea con la citata giurisprudenza di questa Corte: cfr. sopra), con la conseguenza che viene a cadere qualsiasi considerazione in punto di possibilità, per il Cerciello, di costruire in aderenza o di obbligo di arretrare fino al rispetto della distanza dal confine del fondo frontistante, appunto non applicabile al caso di specie. Non sussiste, di conseguenza, il vizio di omesso esame denunciato dalla parte ricorrente, poiché la Corte ha ritenuto, sulla base di una valutazione di fatto di per sé incensurabile in sede di legittimità, di escludere l’applicabilità della normativa in tema di distanze, in ragione della ravvisata esistenza di una strada interposta tra le proprietà delle parti. La questione dell’applicabilità, o meno, di detta normativa è dunque stata esaminata, sia pure con esito diverso da quello auspicato dal ricorrente.
Con il terzo motivo, il ricorrente contesta la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno da violazione delle distanze che il Romano aveva proposto in prime cure e coltivato in fase di gravame.
La censura è inammissibile per effetto del rigetto del primo motivo e dell’inammissibilità del secondo.
Una volta esclusa, infatti, l’applicabilità della normativa in tema di distanze, a fronte della ravvisata esistenza di una strada pubblica interposta tra le due proprietà degli odierni contendenti, è evidente che alcuno spazio sussiste per la risarcibilità di un ipotetico pregiudizio derivante dalla violazione di una disposizione ritenuta inapplicabile al caso di specie.
Il cenno conclusivo, contenuto nel ricorso, con il quale il Romano si duole dell’ingiusta condanna alle spese disposta, a suo dire, dalla Corte di Appello, non costituisce motivo di impugnazione, ma mero auspicio
di una difforme regolamentazione delle predette spese, evidentemente a favore del ricorrente, nel caso, auspicato da quest’ultimo ma non configurabile in concreto, di accoglimento del ricorso.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 4.700,00 di cui €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge. Dispone la distrazione di dette spese in favore degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda