Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1590 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1590 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11516/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME , domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE e con domiciliazione telematica, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrenti – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI n. 320/2020 depositata il 15/10/2020.
Oggetto: Proprietà –
Distanze
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO2021
Ad. 28/11/2023 CC
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28/11/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 ottobre 2020, la Corte d’appello di Cagliari -Sezione distaccata di Sassari, nella regolare costituzione degli appellati NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania n. 99/2017, depositata in data 11 febbraio 2017.
Il Tribunale di Tempio Pausania, infatti, aveva respinto la domanda proposta da NOME COGNOME, volta ad accertare che il manufatto realizzato dai convenuti in Golfo Aranci sorgeva a distanza inferiore a quella di legge dall’edificio della stessa attr ice e, ulteriormente, veniva a violare sia la distanza di legge per l’apertura di luci sia il disposto di cui all’art. 901 c.c., in virtù della creazione di un muro in aderenza alla proprietà attorea.
In particolare, l’attrice aveva dedotto che i convenuti, nel settembre 2007, avevano dato inizio alla totale demolizione dell’immobile di loro proprietà, realizzando un nuovo manufatto che risultava: a) eretto in aderenza all’immobile dell’attrice; b) esteso, in senso orizzontale, oltre la sagoma d’ingombro preesistente; c) sopraelevato rispetto al precedente manufatto, e quindi tale da costituire una vera e propria nuova costruzione.
Detto immobile, secondo la prospettazione attorea:
-risultava violare le distanze legali dai confini;
-presentava luci e vedute in violazione delle distanze legali rispetto alla terrazza di proprietà attorea, essendo stati creati: I) un balcone in violazione dell’art. art. 906 c.c.; II)
un terrazzo che si affacciava sul fondo di proprietà attorea, violando sempre l’ art. 906 c.c.;
-presentava una parete realizzata in aderenza con la proprietà attorea in violazione dell’ art. 901 c.c.
Costituitisi i convenuti NOME COGNOME e NOME COGNOME per resistere alla domanda, il Tribunale di Tempio Pausania, previo espletamento di CTU aveva integralmente disatteso la domanda attorea.
3. La Corte d’appello di Cagliari Sezione distaccata di Sassari, nel valutare il gravame di NOME COGNOME, ha disatteso il primo motivo di appello, con il quale l’appellante censurava la sentenza di prime cure nella parte in cui quest’ultima aveva escluso la sussistenza di una violazione delle distanze legali in relazione alla porzione di edificio degli appellati NOME COGNOME e COGNOME che, realizzata in aderenza rispetto alla proprietà dell’appellante, si prolungava oltre la sagoma dell’immobile di quest’ultima.
Il motivo è stato ritenuto infondato dalla Corte, rilevando:
-che le previsioni del PUC del Comune di Golfo Aranci -le quali prevedono la facoltà di edificare a confine quando il lotto contiguo non è edificato o è edificato a distanza maggiore di dieci metri -dovevano essere interpretate secondo il principio della prevenzione con la conseguenza che gli appellati, primi a costruire, avevano legittimamente realizzato l’immobile a confine, considerato che la parte di fondo dell’appellante frontistante il prolungamento degli appellati era libero da costruzioni realizzate a distanza inferiore a dieci metri;
-che, in particolare, doveva escludersi che il prolungamento fosse precluso dalla presenza sul fondo dell’appellante, sia
di un terrapieno pavimentato sia di vari terrazzamenti, e ciò in quanto, da un lato, il terrapieno era scoperto e la veranda non poteva quindi ritenersi vera e propria costruzione, e, dall’altro lato, i terrazzamenti risultavano realizzati in epoca successiva alla realizzazione dell’immobile degli appellati.
La Corte, poi, ha disatteso il motivo di gravame concernente la regolazione delle spese di lite -che il giudice di prime cure aveva compensato per un quarto, gravando l’appellante dei residui tre quarti -affermando la correttezza dei criteri seguiti dal Tribunale.
La Corte, infine, ha fatto cenno alla domanda dell’appellante concernente la eliminazione della porzione di edificio degli appellati integrante violazione delle distanze per luci e vedute, rilevando che la domanda non era stata ‘corredata da specifiche contestazioni con riguardo all’accertamento del giudice di prime cure della legittimità della costruzione con riferimento al rispetto delle distanze’ , concludendo che l’appellante non aveva dedotto concreti vizi della decisione impugnata.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Cagliari -Sezione distaccata di Sassari ricorre ora NOME COGNOME.
Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, la ‘violazione o falsa applicazione delle norme di diritto -omessa valutazione’ .
Il ricorso censura la decisione impugnata in quanto la Corte territoriale avrebbe ‘erroneamente valutato ed interpretato tanto le norme di legge applicabili al caso di specie, quanto i documenti offerti in giudizio ivi inclusa la CTU’ .
Deduce in particolare il ricorso che la Corte d’appello :
-avrebbe adottato una interpretazione del PUC del Comune di Golfo Aranci che non sarebbe stata fatta propria neppure dal CTU, il quale anzi avrebbe ritenuto l’interpretazione delle previsioni non univoca;
-si sarebbe quindi immotivatamente discostata dalle conclusioni del CTU ed avrebbe ‘addirittura integrato la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania con norme di diritto mai citate né utilizzate dal Tribunale, facendole persino proprie, per giustificare il rigetto dell’appello, utilizzando il concetto di ‘prevenzione’, non considerato dal Tribunale di primo grado e, quindi, illegittimo in sede di appello o comunque ultra petitum ‘ ;
-avrebbe omesso di valutare ‘la mole di documentazione offerta a sostegno’ della tesi dell’odierna ricorrente, senza peraltro rilevare le carenze della CTU;
-avrebbe erroneamente escluso che i terrazzamenti presenti sul fondo della ricorrente dovessero essere valutati ai fini del rispetto delle distanze;
-avrebbe, sempre erroneamente, escluso che il terrapieno presente anch’esso sul fondo della ricorrente dovesse essere qualificato come costruzione;
-si sarebbe posta in contrasto con precedenti pronunce tra le medesime parti, senza in alcun modo motivare tale divergenza;
-avrebbe erroneamente interpretato la previsione del PUC del Comune di Golfo Aranci;
-avrebbe omesso comunque di valutare il carattere incerto dell’interpretazione di tali previsioni ai fini dell’accoglimento del gravame concernente il regolamento delle spese di lite.
2.2. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, infatti, si discosta ampiamente dal canone di specificità di cui all’art 366 c.p.c. proponendo una serie di profili del tutto eterogenei, peraltro richiamando il contenuto di atti del giudizio di merito -come la consulenza tecnica d’ufficio e di documenti senza minimamente riprodurne il contenuto nei loro passaggi essenziali.
Occorre, invece, ribadire che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è
tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
A tale onere parte ricorrente si è radicalmente sottratta, proponendo una serie di censure del tutto inidonee ad individuare le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si porrebbero in contrasto con le previsioni di legge invocate e svolgendo argomentazioni che si sostanziano in un inammissibile sindacato dalla valutazione delle prove operata dalla Corte d’Appello .
Tale argomentare si pone in conflitto con il principio enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Gli accertamenti in fatto compiuti dalla Corte territoriale sulla natura della veranda e del terrapieno e la corretta applicazione della regola della prevenzione (v. SSUU sentenza n. 10318/2016) si sottraggono pertanto alle censure.
3.1. Con il secondo motivo, rubricato ‘omesso esame circa un fatto decisivo’ , il ricorso impugna la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha disatteso le deduzioni della ricorrente concernenti la violazione delle distanze per luci e vedute.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale non avrebbe correttamente interpretato la domanda ed avrebbe omesso di ‘indagare e considerare il contenuto sostanziale della domanda’ , laddove -sostiene sempre il ricorso la Corte d’appello avrebbe potuto e dovuto individuare quale fosse la concreta domanda formulata dalla ricorrente.
Parimenti, la Corte territoriale avrebbe omesso di statuire su una domanda di usucapione, anche in questo caso omettendo di valutare che detta domanda non necessitava di una formulazione espressa.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Seguendo la qualificazione data al motivo dalla stessa ricorrente -omesso esame ex art 360, n. 5), c.p.c. -l’inammissibilità del motivo discenderebbe pianamente dal fatto che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2017, trova applicazione il disposto di cui all’art. 348ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
L’inammissibilità, tuttavia, viene a sussistere anche ove si voglia attribuire preponderanza al contenuto sostanziale del motivo di ricorso, il quale viene, in realtà, a dedurre un vizio di omessa statuizione su domande che la parte assume non essere state adeguatamente individuate dalla Corte territoriale.
Anche in questo caso, infatti, l’inammissibilità discende dal principio -da questa Corte reiteratamente affermato – per cui, nel caso in cui il
ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché il ricorso sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018).
Quest’ultimo vizio ricorre nel caso in esame, in quanto il motivo di ricorso, invece di dedurre correttamente ed univocamente un profilo di nullità della sentenza, prospetta in modo, peraltro confuso, la ben diversa ipotesi di omessa valutazione di un fatto decisivo.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater , nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale in data 28 novembre