Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9040 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9040 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27720/2020 R.G. proposto da:
VENDITTI NOME, VENDITTI NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOMEINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO.INDIRIZZO NOME COGNOMEINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2528/2020 depositata il 26/05/2020;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio dinanzi il tribunale di Velletri NOME COGNOME per sentire accettare che il manufatto realizzato dal convenuto era stato edificato in violazione delle norme in materia di distanze legali tra costruzioni e vedute con richiesta di condanna alla demolizione di quanto realizzato nonché al risarcimento del danno.
NOME COGNOME si costituiva in giudizio ed eccepiva l’intervenuto acquisto per usucapione della servitù di costruzione ad una distanza inferiore a quella legale.
Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME comproprietaria del fabbricato quest’ultima si costituiva e aderiva alla posizione del convenuto.
Il tribunale di Velletri accoglieva la domanda e condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME ad arretrare nel rispetto dei limiti legali l’unità immobiliare di loro proprietà e li condannava al pagamento in favore dell’attore della somma di euro 5000 a titolo di risarcimento del danno. In particolare il Tribunale osservava che la domanda di demolizione aveva ad oggetto una parete sopraelevata rispetto all’immobile al piano terra ed una copertura piana su cui era stata collocata una struttura in ferro tamponata ai due lati con setti murari. Tale manufatto non era stato costruito nel ventennio utile per usucapire la distanza illegale con riferimento alla sopraelevazione che doveva considerarsi nuova costruzione.
NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME resisteva al gravame.
La Corte d’appello di Roma rigettava l’appello. In primo luogo, confermava la decisione di primo grado riguardo la realizzazione dei manufatti in epoche diverse e, dunque, non potendosi riconoscere l’acquisto per usucapione del diritto a costruire a distanza inferiore a quella legale se non con riferimento all’originario manufatto. Le risultanze istruttorie avevano permesso di accertare che la sopraelevazione risaliva agli anni 1995 -1996 così come i setti murari che, come accertato dal consulente, erano stati indicati negli allegati alla concessione in sanatoria del 2001 e la loro edificazione era riconducibile ad epoca successiva al 1993.
Secondo la Corte d’Appello era infondato il motivo con il quale si contestava l’illegittimità dell’ordinanza che aveva dichiarato la decadenza dalla prova per alcuni testi nonostante la loro regolare citazione per l’udienza 29 novembre 2012. L’ ordinanza di decadenza era stata pronunciata in riferimento al teste NOME COGNOME e per tale data in atti non si rinveniva la relativa citazione testimoniale quanto all’altro testimone la Corte riteneva comunque superfluo ammetterlo risultando esaustiva la consulenza tecnica espletata. Infine, una volta accertato che la costruzione risaliva ad epoca successiva al 1993 trovava applicazione lo strumento urbanistico e le norme di attuazione approvati nel 1983. Infine, quanto al risarcimento del danno lo stesso doveva ritenersi in re ipsa e per il suo ammontare doveva ritenersi congrua la valutazione equitativa operata dal giudice di primo grado, tenuto conto della tipologia e temporaneità della limitazione
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sette motivi di ricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso
I ricorrenti, con memoria depositata in prossimità dell’ adunanza, hanno insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’articolo 100 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.- Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c
La sentenza dovrebbe essere annullata, perché la Corte di Appello Civile di Roma, nulla ha statuito circa l’eccezione degli appellanti su lla carenza di legittimazione ad agire dell’attore, che nulla ha provato circa la proprietà del bene, rispetto al quale sarebbero state violate le norme sulla distanza legale.
1.1 Il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente non indica in quale atto ha proposto la eccezione rispetto alla quale lamenta la violazione dell’art. 100 c.p.c. il che rende inammissibile la censura anche volendo riqualificare la stessa come violazione dell’artt. 112 c.p.c.
In tema di giudizio di cassazione, l’omessa considerazione di fatti impeditivi, modificativi o estintivi, dedotti come eccezione, non configura un vizio di motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ma un ” error in procedendo “, per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., con la conseguenza che la sua deduzione in sede di legittimità postula che la parte abbia formulato
l’eccezione in modo autonomamente apprezzabile ed inequivoco e che la stessa sia stata puntualmente riportata nel ricorso per cassazione nei suoi esatti termini, con l’indicazione specifica dell’atto difensivo o del verbale di udienza in cui era stata proposta (Cass. Sez. 3, 13/06/2023, n. 16899, Rv. 667848 – 02).
Peraltro, i ricorrenti hanno svolto difese incompatibili con la suddetta eccezione sicché il caso rientra nel perimetro di applicazione del principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui: la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (Cass. Sez. U., 16/02/2016, n. 2951, Rv. 638371 – 01).
Del pari inammissibile la censura di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in presenza di una sentenza del tutto conforme a quella di primo grado.
La sentenza impugnata nel rigettare l’appello è conforme a quella di primo grado il che rende inammissibile il motivo in esame. Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dim ostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: errore di diritto. Violazione dell’art. 101 cpc in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c..
La causa de qua è stata incardinata solo nei confronti dei Sigg.ri COGNOME NOME e COGNOME NOME, mentre il Sig. COGNOME NOME, terzo comproprietario, fin dal 1972, dell’immobile sito in Ciampino alla INDIRIZZO oggetto di causa, non è stato convenuto in giudizio dall’attore.
2.1 Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di difetto di contraddittorio sollevata dagli appellanti nel giudizio di secondo grado tenuto conto che NOME COGNOME regolarmente citata nel giudizio di primo grado era diventata in virtù del contratto del 6 novembre 2012 proprietaria anche della quota indivisa dell’immobile di cui era titolare NOME COGNOME.
I ricorrenti non si confrontano con la suddetta ratio decidendi il che rende inammissibile la censura.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..
La sentenza impugnata dovrebbe essere annullata perché fondata su di una CTU erronea ed incompleta e su dichiarazioni testimoniali non dirimenti per la decisione della causa.
3.1 Il terzo motivo è inammissibile per la stessa ragione indicata in relazione al primo motivo essendo la sentenza impugnata conforme a quella di primo grado.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 208- 255 c.p.c. e 104 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
Il Giudice avrebbe illegittimamente dichiarato la decadenza della parte convenuta COGNOME dall’assumere prove testimoniali. L’esito del giudizio poteva, infatti, essere completamente sovvertito dalle dichiarazioni dei testi di parte convenuta.
4.1 Il quarto motivo è inammissibile.
I ricorrenti non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata che li ha dichiarati decaduti dalla prova testimoniale in relazione al teste NOME COGNOME perché non citato all’udienza del 2 maggio 2013, mentre ha ritenuto superflua e non decisiva la testimonianza dell’altro teste.
Inoltre, deve ribadirsi che il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico. (Cass. Sez. L., 21/11/2022, n. 34189, Rv. 666179 – 01)
Infine, la censura è inammissibile per l’ulteriore e concomitante ragione di difetto di specificità. Nel motivo, infatti, non è riportato neanche quale fosse l’oggetto della testimonianza e il perché la stessa poteva essere decisiva rispetto all’esito del giudizio. I ricorrenti omettono qualsiasi riferimento ai capitoli di prova testimoniale richiesti il che rende ulteriormente inammissibile la censura. In proposito deve ribadirsi che: «il provvedimento reso sulle richieste istruttorie sia censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che non illustri la decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui si censurava la mancata ammissione di alcuni testi, chiamati a deporre su circostanze diverse da quelle su cui erano chiamati i testimoni ammessi, senza spiegare la decisività di tali circostanze)» (Cass. Sez. 3, 06/11/2023, n. 30810, Rv. 669452 – 01).
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: Errata applicazione del Piano Regolatore Generale del 1983 e le relative Norme di Attuazione, nonché il Regolamento Edilizio dell’aprile 1970 e delle norme del codice civile, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
Infatti, come eccepito negli scritti difensivi del giudizio, non potrebbe applicarsi al caso di specie il Piano Regolatore Generale del 1983 e le relative Norme di Attuazione, nonché il Regolamento Edilizio dell’aprile 1970, in quanto il fabbricato, oggetto di causa, è stato edificato nel 1965.
5.1 Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
Anche in questo caso parte ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata che ha evidenziato come la sopraelevazione debba ritenersi nuova costruzione soggetta alla disciplina del tempo
in cui è stata realizzata. Nella specie si è accertato che la sopraelevazione è stata realizzata in epoca successiva al 1993 quando era oramai in vigore lo strumento urbanistico approvato nel 1983.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’artt. 825 c.c. e 879, secondo comma, c.c. e D.M. n. 1444/1968, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
La Corte non avrebbe considerato che la strada ove si affacciano in modo contrapposto gli appartamenti delle parti e ad uso pubblico e dunque non si applicherebbero le norme sulle distanze ex articolo 879, secondo comma, c.c.
6.1 Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente pone una questione nuova di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata e omette del tutto di indicare in quale atto l’ha fatta valere nel corso del giudizio di merito. DI conseguenza la censura è inammissibile perché il suo accoglimento presuppone accertamenti di fatto che esulano dal giudizio di legittimità.
Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il Giudice non ha considerato che quando il COGNOME ha acquistato l’appartamento, il box e l’intera struttura già erano esistenti e, dunque, egli lo ha acquistato nello stato di fatto in cui si trovava: con le finestre che aggettavano (quantomeno) sul
terrazzo dei Sigg.ri COGNOME Quindi già erano compromessi luci, vedute e valore dell’immobile.
Sarebbe incomprensibile, perché non motivata, la quantificazione della somma di € 5000,00 in favore dell’attore, a titolo di risarcimento del danno, tenuto conto dell’ acquisto del l’immobile in epoca successiva alla realizzazione dell’immobile dei ricorrenti.
7.1 Il settimo motivo di ricorso è inammissibile.
La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura solo se il giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni. Nel caso di specie ciò non è avvenuto. La Corte d’Appello , infatti, ha rigettato il motivo con il quale i ricorrenti avevano dedotto che al momento dell’acquisto dell’immobile da parte della controparte il box già esisteva tenendo conto nella determinazione del danno della tipologia e temporaneità della limitazione al godimento del bene.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Ric. 2020 n. 27720 sez. S2 – ad. 20/03/2025
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 3.000,00 più 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione