Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17794 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17794 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 06874/2021 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con indicazione di indirizzo PEC del predetto per notifiche e comunicazioni.
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME con indicazione dell’indirizzo PEC per notifiche e comunicazioni.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1142/2020, resa dalla Corte d’Appello di Palermo, pubblicata il 21/7/2020 e non notificata;
lette le conclusioni del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei primi quattro motivi di ricorso e l’inammissibilità del sesto;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con atto di citazione del 14/5/2014, NOME COGNOME premesso di essere proprietario di un immobile sito in Palermo, INDIRIZZO Palermo INDIRIZZO posto al primo piano di un fabbricato composto da villette a schiera, citò in giudizio, davanti al Tribunale di Palermo, NOME COGNOME proprietario dell’immobile sottostante con diritto di uso di uno spazio circostante, deducendo che questi aveva realizzato dei muri a confine con altra proprietà limitrofa e a ridosso della scala esterna condominiale in violazione delle distanze e del diritto di veduta, oltreché in alterazione dell’armonia e dell’estetica del fabbricato, e chiedendo che venisse condannato alla demolizione e alla riduzione in pristino, nonché al risarcimento dei danni.
Con sentenza n. 3597 del 19/9/2018, il Tribunale di Palermo rigettò le domande attoree.
Il giudizio di gravame, instaurato da NOME COGNOME con citazione del 19/10/2018, si concluse, nella resistenza di NOME COGNOME con la sentenza n. 1142/2020, pubblicata il 21/7/2020, con la quale la Corte d’Appello di Palermo, in parziale accoglimento della domanda, condannò quest’ultimo a riportare il muro realizzato sul lato ovest del fabbricato alla distanza legale rispetto all’estradosso di cui in motivazione.
Avverso la suddetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza e la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di pronunciarsi sia sulla domanda di risarcimento del danno causato dalle opere illegittimamente realizzate, da quantificare in via equitativa, benché avessero accolto parzialmente l’appello, sia sulla domanda di restituzione delle somme versate dall’attore al convenuto a titolo di spese del giudizio nella misura di euro 4.377,36, benché avessero disposto la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio nella misura del 50%, liquidandole in euro 1.500,00, oltre accessori, quanto al primo grado, e in euro 1.200,00, oltre accessori, quanto al secondo grado.
1.2 Il primo motivo è fondato.
L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio -risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, allorché la domanda sia ovviamente ammissibile, non conseguendo in tal caso l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (Cass., Sez. 5, 16/7/2021, n. 20363), integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n.4, cod. proc. civ. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello (Cass., Sez. L, 13/10/2022, n. 29952; Cass., Sez. 5, 31/7/2024, n. 21444).
Essendo stato dedotto un error in procedendo , il sindacato di questa Corte investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale
motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Cass., Sez. 1, 30/07/2015, n. 16164; Cass., 21/04/2016, n. 8069; Cass., Sez. 2 , 13/08/2018, n. 20716).
Orbene, risulta che NOME COGNOME aveva reiterato in appello anche la domanda di condanna di NOME NOME al risarcimento dei danni subiti a causa delle opere da questi realizzate, già proposta in primo grado, oltre ad avere avanzato domanda di condanna della controparte alla restituzione della somma di euro 4.377,36 ad essa corrisposta in esecuzione della sentenza di primo grado, la quale, come già più volte affermato da questa Corte, non costituisce domanda nuova, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, ed è perciò ammissibile in appello anche nel corso del giudizio, quando l’esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell’impugnazione, in tal senso deponendo sia evidenti ragioni di economia processuale sia l’analogia con quanto stabilito nell’art. 96, comma secondo, e nell’art. 402, primo comma, cod. proc. civ., rispettivamente per le esecuzioni ingiuste e per la pronuncia revocatoria, sicché, qualora il giudice d’appello non provveda su di essa, la parte può alternativamente denunciare l’omissione con ricorso per cassazione o farla valere riproponendo la detta domanda restitutoria in autonomo giudizio, posto che la mancata pronuncia dà luogo ad un giudicato solo processuale e non sostanziale (Cass., Sez. 6-3, 21/11/2019, n. 30495; Cass., Sez. L, 24/05/2019, n. 14253; Cass., Sez. 3, 11/06/2008, n. 15461).
Come si legge nella sentenza impugnata, i giudici di merito hanno però del tutto omesso di prendere posizione sulle due domande, con conseguente fondatezza della censura.
2.1 Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 907 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito escluso che le opere realizzate dalla controparte (ossia la porzione di muro nel lato ovest di retroprospetto) avessero determinato la violazione della veduta esercitabile dalla scala di accesso, non essendo la funzione della inspicio e della prospicio connaturale e intrinseca alla scala condominiale che assolveva ad altra funzione, rimasta peraltro impregiudicata, senza, invece, considerare che la qualificazione della scala e l’applicabilità o meno ad essa dell’art. 907 cod. civ. non potesse essere risolta sulla base della sola sua connaturale funzione di accesso all’edificio, ma implicasse un’indagine di fatto, avendo anch’essa una funzione di esercizio della prospectio e della inspectio sul fondo del vicino, accertata dal c.t.u.
2.2 Il secondo motivo è parimenti fondato.
Affinché sussista una veduta ex art. 900 cod. civ., è necessario, oltre al requisito della inspectio , anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e laterale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale, secondo un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione (Cass., Sez. 6-2, 10/1/2017, n. 346; Cass., Sez. 2, 12/12/2022, n. 36147).
Per la configurabilità di una veduta non è necessario, però, che l’opera, da cui questa è esercitata, sia destinata esclusivamente o prioritariamente all’affaccio sul fondo del vicino, se, per ubicazione, consistenza e caratteristiche, il giudice del merito accerti l’oggettiva idoneità della stessa all’ inspicere e al prospicere in alienum (Cass., Sez. 2, 28/5/2013, n. 499; Cass., Sez. 2, 28/5/2013, n. 13217; Cass., Sez. 2, 15/10/2008, n. 25188).
Pertanto, le porte, i ballatoi e le scale di ingresso alle abitazioni, che in genere non costituiscono vedute, in quanto destinate fondamentalmente all’accesso, e solo occasionalmente o eccezionalmente utilizzabili per l’affaccio, possono configurare vedute quando, per le particolari situazioni e caratteristiche di fatto, risultino obiettivamente destinate, in via normale, anche all’esercizio della prospectio e inspectio su o verso il fondo del vicino (Cass., Sez. 2, 16/3/1981, n. 1451; Cass., Sez. 2, 6/3/1976, n. 763; Cass., Sez. 2, 20/4/1971, n. 1138).
I giudici di merito non si sono conformati a tali principi, avendo aprioristicamente escluso che le opere realizzate avessero determinato la violazione della veduta esercitabile dalla scala di accesso sul solo presupposto che la funzione della inspicio e della prospicio non fosse connaturale e intrinseca alla scala condominiale, che assolveva ad altra funzione rimasta impregiudicata, senza valutare, invece, se dette possibilità sussistessero in concreto.
3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e 878 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano escluso la lamentata violazione delle distanze avvenuta con l’edificazione del muro sul lato ovest di retroprospetto (a ridosso della scala esterna condominiale), che, secondo la prospettazione attorea, aveva anche creato una intercapedine dannosa impeditiva della necessaria manutenzione e pulizia del sottoscala, sostenendo che l’opera realizzata costituisse muro di cinta, sottratto, in quanto tale, dall’art. 878 cod. civ. al regime delle distanze, avendo i muri altezza non maggiore di tre metri, senza tener conto del fatto che il piano di calpestio era stato innalzato artificialmente dal medesimo Patricolo e che la misurazione delle altezze deve essere effettuata
con riferimento all’originario piano di campagna e non alla quota di terreno sistemato.
Con il quarto motivo, si lamenta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché, con riferimento alla questione di cui al motivo che precede, i giudici di merito avevano richiamato il principio di diritto affermato da Cass. n. 6766 del 2018, secondo cui non può essere considerato come costruzione, al fine delle distanze legali, il muro che, in caso di dislivello naturale, oltre a delimitare il fondo, assolva anche alla funzione di sostegno e contenimento del declivio naturale, senza tener conto dei fatti di causa come accertati dal c.t.u. e riportati in sentenza, da cui si evinceva che il muro poggiava su un piano di cm. 60 innalzato artificialmente. Ciò comporta, ad avviso del ricorrente, l’inapplicabilità del principio riportato in motivazione, con conseguente apparenza della motivazione.
Il terzo e quarto motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti al medesimo thema decidendum della considerazione del muro come costruzione e della sua edificazione in violazione delle distanze, affrontata ora sotto il profilo della violazione di legge, ora sotto quello del difetto di motivazione, sono fondati.
Si osserva, innanzitutto, che, in tema di distanze legali, il muro di cinta non è considerato costruzione di cui tenere conto ai fini del calcolo delle distanze legali tra edifici e delle facoltà concesse al vicino di realizzare il proprio fabbricato in aderenza o in appoggio allorché abbia le caratteristiche previste nell’art. 878 cod. civ. e cioè emerga dal suolo, sia essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà onde separarla dalle altre, non superi un’altezza di tre metri e abbia entrambe le facce isolate da altre costruzioni (Cass., Sez. 2, 20/11/2012, n. 20351), sicché, in siffatta evenienza, le distanze legali devono essere computate
come se il muro non esistesse (Cass., Sez. 2, 12/5/2011, n. 10461).
L’esenzione di cui al citato art. 878 cod. civ. si applica, peraltro, sia ai muri di cinta, come sopra qualificati, sia ai manufatti che, pur carenti di alcuni di tali requisiti, siano comunque idonei a delimitare un fondo e abbiano ugualmente la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo (Cass., Sez. 2, 24/11/2020, n. 26713; Cass., Sez. 2, 16/02/2015, n. 3037).
Tale situazione si discosta dall’ipotesi in cui venga modificato artificialmente l’andamento altimetrico di due fondi limitrofi, così da creare tra essi un dislivello che prima non esisteva, e il muro di cinta venga ad assolvere, oltre alla funzione sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e contenimento del terrapieno creato dall’opera dell’uomo. In tal caso, infatti, il muro viene equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse (Cass., Sez. 2, 14/06/2023, n. 16975; Cass., Sez. 2, 17/10/2017, n. 24473; Cass., Sez. 2, 13/05/2013, n. 11388).
Nella specie, i giudici di merito, pur dando per accertato l’intervenuto innalzamento del piano di calpestio nella misura di cm. 60, hanno ritenuto che il muro realizzato dall’appellato fosse soggetto alla disciplina dell’art. 878 cod. civ. e fosse dunque sottratto al regime delle distanze legali di cui all’art. 873 cod. civ., valorizzando al riguardo l’altezza non superiore ai mt. 3,00, l’isolamento delle due facce e la funzione di delimitazione delle proprietà e citando, quanto alla sua funzione di sostegno e contenimento del declivio esistente, principi affermati da questa Corte per situazioni tutt’affatto differenti, perché riguardanti le
ipotesi di scarpata o terrapieno naturale e non, come nella specie, creato artificialmente.
Soltanto nel primo caso, infatti, il muro di contenimento non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 cod. civ. per la parte che adempie alla sua specifica funzione di sostegno e contenimento, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento, dovendosi escludere la qualifica di costruzione anche se una faccia non si presenti come isolata e l’altezza possa superare i tre metri, qualora tale sia l’altezza del terrapieno o della scarpata (in questi termini, Cass., Sez. 2, 16/9/2024, n. 24842; Cass., Sez. 2, 19/3/2018, n. 6766), ma non anche nel secondo, rispetto al quale, come si è visto, il muro di contenimento deve, viceversa, considerarsi ‘costruzione’ ai fini delle distanze.
Da ciò consegue la fondatezza della censura.
5.1 Con il quinto motivo, si lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, con conseguente erronea mancata applicazione dell’art. 873 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di considerare il fatto accertato dal c.t.u., secondo cui le porzioni di muro realizzate sui lati ovest (retroprospetto), nord e parte di quello est assolvevano ad una chiara funzione di contenimento del materiale utilizzato per la sopraelevazione dell’originario piano di calpestio, limitandosi ad escludere la natura di costruzione del muro sulla scorta di un precedente di legittimità riferito alla diversa ipotesi di un declivio naturale del tutto estranea alla fattispecie di causa.
5.2 Il quinto motivo resta assorbito dall’accoglimento del terzo e del quarto.
6.1 Con il sesto motivo, si lamenta, infine, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, con conseguente erronea mancata
applicazione dell’art. 907 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici d’appello avevano escluso la dedotta violazione delle vedute esercitabili dal balcone e dalle finestre dovuta alla porzione di muro eretta in prossimità della scala condominiale (lato ovest ma di prospetto), benché accertata dal c.t.u., con la conseguenza che la sentenza era in merito viziata, sia in punto di motivazione, sia di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
6.2 Il sesto motivo è inammissibile.
Si osserva in merito che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione e afferente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. 2, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. U, 7/4/2014, n. 8053).
Nella specie, la censura attinge non già un fatto storico, ma la valutazione delle risultanze istruttorie operata dai giudici di merito, oltre a non spiegare quali siano le vedute per le quali vi era stato il rigetto della domanda.
Da ciò consegue, dunque, l’inammissibilità della censura.
7. In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo, secondo, terzo e quarto motivo, l’assorbimento del quinto e l’inammissibilità del sesto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il sesto ed assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/05/2025.