Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13975 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13975 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5588/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa anche disgiuntamente dagli avvocati COGNOME NOME e NOME COGNOME -ricorrente- contro
COGNOME LUANA, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI n. 239/2020 depositata il 22.7.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME conveniva innanzi al Tribunale di Sassari la RAGIONE_SOCIALE lamentando che, nell’edificare sul suo terreno, aveva violato le distanze legali tra le costruzioni e dai confini prescritte dall’art. 873 cod. civ. e dalla normativa locale del Comune di Valledoria.
Secondo la COGNOME, la convenuta aveva costruito in aderenza al suo muro di cinta, ubicato sul confine, realizzando un terrapieno artificiale che alterava il normale decorso delle acque meteoriche con rischio di stillicidio all’interno della sua proprietà, sulla quale la controparte aveva peraltro aperto anche delle vedute illegittime, e chiedeva la condanna della RAGIONE_SOCIALE alla demolizione del suo fabbricato, per la parte che sarebbe risultata costruita in violazione delle distanze legali, ed al risarcimento dei danni subiti. alla domanda, rilevando che le sue attività edilizie erano state debitamente i fabbricati delle parti non erano frontistanti, per cui non potevano
Costituitasi, la RAGIONE_SOCIALE resisteva autorizzate dal Comune di Valledoria, e sottolineando che applicarsi le norme sulle distanze tra costruzioni.
Il Tribunale di Sassari, espletata CTU, con la sentenza n.1156/2017, rigettava interamente le domande della COGNOME, escludendo che vi fosse stata violazione delle normativa sulle distanze tra costruzioni, trattandosi di fabbricati non frontistanti, ed in ogni caso posti a distanza di mt. 5,50, essendo quindi rispettata la distanza di tre metri tra costruzioni prevista dall’art. 873 cod. civ. Il giudice di primo grado osservava poi che il muro realizzato dalla convenuta in adiacenza al confine fosse un muro di contenimento del dislivello naturale esistente tra i fondi confinanti, non rientrante in quanto tale nella nozione di costruzione rilevante ai fini delle distanze legali, mentre le vedute risultavano tutte arretrate di m 1,50 rispetto al confine, per cui rispettavano la distanza dell’art. 905 cod. civ .
Avverso questa sentenza proponeva appello COGNOME al quale RAGIONE_SOCIALE resisteva, concludendo per la conferma della sentenza impugnata.
Con la sentenza n. 239/2020 del 21/22.7.2020, la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, accoglieva l’appello e, per l’effetto, qualificato il muro realizzato dall’appellata in adiacenza al confine come muro di fabbrica e di contenimento di un terrapieno artificiale, e quindi come costruzione, condannava la RAGIONE_SOCIALE alla demolizione/arretramento della costruzione fino alla distanza di cinque metri dal confine con la proprietà della RAGIONE_SOCIALE, nonché a rifondere in favore dell’appellante le spese di entrambi i gradi del giudizio.
Avverso questa sentenza, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto tempestivo ricorso a questa Corte, affidandosi a due motivi e NOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, articolato in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., parte ricorrente lamenta la violazione del combinato disposto dagli artt. 872, 873 сod. сiv., degli аrticoli 18 e 12 delle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria per la località “La Ciaccia”, degli artt. 1 e 10 delle disposizioni sulla Legge in generale e dell’art. 115 c.p.c., per aver la Corte distrettuale qualificato come costruzione il muro di contenimento realizzato dalla società ricorrente ed aver ritenuto la costruzione del fabbricato della predetta eseguita in difformità alle norme di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria, al regolamento edilizio comunale approvato il 28.9.2007 nonché al PUC (il quale, per stessa ammissione della Corte, non era ancora vigente).
In particolare, la ricorrente lamenta che l’impugnata sentenza, discostandosi dalla CTU, abbia qualificato il muro di cemento
armato di quattro metri, realizzato in adiacenza al muro di confine di Padovan Luana, e frontistante, a differenza del fabbricato della RAGIONE_SOCIALE, il fabbricato della Padovan, come muro di fabbrica (del garage al piano seminterrato) e di contenimento di un terrapieno artificiale, come costruzione, ordinandole quindi la demolizione/arretramento della sua costruzione alla distanza di cinque metri dal confine con la proprietà di Padovan Luana, per violazione delle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria del 1986 (ancora vigenti), distanza confermata dal regolamento edilizio comunale approvato il 28.9.2007 e dal PUC, non ancora vigente, per tutte le lottizzazioni in località INDIRIZZO del Comune di Valledoria, pur avendo la Padovan lamentato in citazione la violazione della distanza legale di m 1,5 dal confine, prescritta dall’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del piano particolareggiato del Comune di Valledoria per la località INDIRIZZO.
Sostiene, in contrario, parte ricorrente, che il suddetto muro in cemento armato avrebbe svolto funzioni di contenimento di un terrapieno naturale e non artificiale, in quanto la proprietà della RAGIONE_SOCIALE sorgeva in una sella naturale, a quota inferiore, rispetto alla quale il terreno di sedime del suo fabbricato si trovava ad una quota naturalmente superiore, corrispondente a quella della INDIRIZZO, dalla quale aveva accesso, e che essendo lo stesso realizzato nel sottosuolo, non potrebbe neppure essere considerato come costruzione, per cui non potrebbe trovare applicazione la normativa sulle distanze legali tra costruzioni.
Deduce poi parte ricorrente che, essendo stato autorizzato il progetto edilizio del suo complesso immobiliare inizialmente con la concessione edilizia n.3/2004 dal Comune di Valledoria il 13.2.2004, non poteva l’impugnata sentenza applicarle la distanza legale dal confine prevista dal regolamento edilizio comunale, che era stato approvato solo in data 28.7.2007, né quella prevista dal
nuovo PUC, che la stessa Corte d’Appello aveva indicato come non ancora vigente, e la disciplina della distanza legale dal confine poteva essere desunta, nel caso di specie, solo dalle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria del 1986, e dal piano particolareggiato del Comune di Valledoria per la località INDIRIZZO.
Aggiunge la ricorrente che l’art. 18 delle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria del 1986, prevedeva però una deroga al limite minimo assoluto di cinque metri dal confine ‘ ogni volta che la commissione edilizia permetterà di adottare come distacco dai confini un valore inferiore a 5,00 ml prevedendo comunque un distacco tra edifici di ml 3,00/10,00 ‘ con l’ulteriore precisazione che ‘ ove si ha impossibilità di costruire in aderenza o che il rispetto delle distanze tra pareti finestrate comporti l’inutilizzabilità dell’area o una soluzione tecnicamente inaccettabile il Comune può consentire la riduzione delle distanze nel rispetto delle disposizioni del codice civile’, e che l’art. 12 del piano particolareggiato del Comune di Valledoria per la località INDIRIZZO stabiliva che ‘ eventuali distanze inferiori saranno consentite soltanto nei casi in cui il piano particolareggiato le consenta così come stabilito dall’art. 9 del Decreto Ministeriale 2.4.1968 n. 1444 con un minimo assoluto comunque di m 1,50, come prescritto dal codice civile’.
Sostiene infine parte ricorrente, ancora nel primo motivo, che proprio in osservanza di tale ultima disposizione, le erano stati imposti dal Comune di Valledoria l’arretramento dei balconi del primo piano ad una distanza di m 1,50 dal confine, e la creazione di una zona di rispetto all’interno del porticato al piano terra, resa inaccessibile con un’inferriata, per una distanza non inferiore a m 1,50 dal confine con la proprietà Padovan, e che la deroga del citato art. 12 alla distanza minima di cinque metri dal confine tra
pareti finestrate, era prevista per i casi, quale quello in esame, in cui le pareti finestrate non erano frontistanti.
Col secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4) dell’art. 360, primo comma c.p.c., parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 101, comma secondo c.p.c., per non aver la Corte distrettuale, una volta ritenuto di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, formulato riserva di decisione, assegnando alle parti il termine per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione al fine di garantire il contraddittorio delle parti ed il diritto di difesa.
In particolare, si duole della nullità della sentenza impugnata ex art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. per violazione dell’art. 101 comma 2 c.p.c., nella quale sarebbe incorsa la Corte d’Appello, applicando d’ufficio la distanza legale di cinque metri dal confine prevista dalle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria, in luogo di quella di m 1,50 stabilita dall’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del piano particolareggiato del Comune di Valledoria per la località COGNOME, che era stata invocata dalla COGNOME, senza provocare sul punto il contraddittorio preventivo delle parti, e senza valutare se nella specie fosse applicabile la deroga alla distanza di cinque metri dal confine, prevista dall’art. 18 delle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria.
Si ritiene di dovere esaminare dapprima, per evidenti ragioni di priorità logica, il secondo motivo ricorso, in quanto afferente ad un asserito vizio di nullità dell’impugnata sentenza, per non avere la Corte d’Appello stimolato il contraddittorio delle parti sulla normativa in materia di distanze ritenuta applicabile, in difformità rispetto al riferimento fatto da NOME al mancato rispetto della distanza di m 1,5 dal confine, stabilita dall’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del piano particolareggiato del Comune di Valledoria per la località INDIRIZZO.
Tale motivo é infondato.
L’impugnata sentenza ha evidenziato che la COGNOME aveva lamentato in primo grado l’illegittimità del fabbricato della RAGIONE_SOCIALE per violazione delle distanze legali in genere, e quindi sia tra costruzioni, che dal confine, limitando poi in secondo grado le sue doglianze alla violazione delle distanze dal confine, in proposito riferendosi alla violazione dell’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del piano particolareggiato del Comune di Valledoria per la località INDIRIZZO.
In prosieguo l’impugnata sentenza, avuto presente il fatto allegato della costruzione del fabbricato della RAGIONE_SOCIALE a distanza inferiore a quella legale dal confine con la proprietà Padovan, nel rispetto del principio iura novit curia , ha proceduto alla individuazione della disposizione normativa applicabile al caso di specie, rinvenendola, non già nell’invocato art. 12, bensì nelle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria del 1986 (ancora vigenti), che prescrivevano una distanza minima dal confine di cinque metri, norme integrative di quelle del codice civile sulle distanze tra costruzioni, dettate non solo per evitare intercapedini nocive nell’interesse dei privati, ma anche nell’interesse generale ad un ordinato e salubre sviluppo urbanistico, ed ha quindi ritenuto di doverla applicare al caso esaminato, senza prima sottoporre al contraddittorio delle parti la questione dell’applicabilità di quelle norme.
L’applicazione del principio iura novit curia non integra quindi una decisione a sorpresa.
La Corte d’Appello si é limitata, come si è detto, ad individuare, com’era suo obbligo, la disciplina normativa applicabile, senza porre a fondamento della sua decisione fatti non allegati dalle parti e non sottoposti al loro contraddittorio.
Le sezioni unite di questa Corte, dirimendo un precedente contrasto giurisprudenziale, con la sentenza n. 20935/2009 hanno statuito
che: ” Nel caso in cui il giudice esamini d’ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (c.d. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall’error iuris in iudicando ovvero dall’error in iudicando de iure procedendi, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato: qualora invece si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni (specie in materia di contro-eccezione o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio “.
Le stesse sezioni unite, con la recente sentenza n. 30883/2024, hanno precisato che: ” L’art. 101, comma 2, c.p.c. si riferisce soltanto alla rilevazione d’ufficio di circostanze modificative del quadro fattuale che non sono state valutate dalle parti ‘.
Parte ricorrente, peraltro, non ha neppure indicato quali documenti avrebbe prodotto e quali prove avrebbe articolato, per dimostrare l’operatività della deroga ex art. 18 alla distanza legale di cinque metri dal confine prevista dalle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria, deroga che comunque, essendo ancorata ad una valutazione caso per caso della commissione edilizia, non potrebbe rientrare nei limiti in cui
l’ultimo comma dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 consente di apportare deroghe riduttive alla distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate, riferendosi la relativa possibilità solo al caso di ‘ gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni con previsioni planovolumetriche’ (vedi sull’inderogabilità della disciplina dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 anche da parte delle norme locali di regioni a statuto speciale, come la Sardegna, per l’esistenza di una riserva di legge statale in materia di distanze Cass. 16.9.2024 n. 24914; Cass. 11.4.2024 n. 9804; Cass. n.20188/2019, e vedi sulla derogabilità della disciplina statale, realizzata dagli strumenti urbanistici regionali, quando faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (“gruppi di edifici”) che siano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni, considerate come fossero un edificio unitario, e siano finalizzate a conformare un assetto complessivo di determinate zone, poichè la legittimità di tale deroga è strettamente connessa al governo del territorio e non, invece, ai rapporti fra edifici confinanti isolatamente intesi Cass. n.20188/2019; Cass. 30.10.2018 n. 27638; Cass. n.18588/2018; Cass. n. 26518/2018).
Venendo adesso all’esame del primo motivo, lo stesso é inammissibile per la parte in cui la ricorrente mira ad ottenere, attraverso una rivalutazione delle risultanze istruttorie, una diversa ricostruzione in fatto, in ordine alla qualificazione del muro in cemento armato da essa realizzato sul confine con la proprietà Padovan, come mero muro di contenimento di un terrapieno naturale, in quanto tale non soggetto alla normativa sulle distanze legali tra costruzioni, anziché come vero e proprio muro di fabbrica del garage interrato della ricorrente, e nel contempo di contenimento del terrapieno artificiale da essa realizzato, come
motivatamente ritenuto dalla Corte d’Appello sulla base della CTU, delle foto prodotte e della documentazione della pratica edilizia acquisita, ed in ordine alla qualificazione del muro suddetto come interamente interrato, laddove la Corte d’Appello, alla pagina 4 penultimo capoverso della sentenza impugnata, sulla base delle fotografie e delle rappresentazioni grafiche acquisite, ha affermato che é innegabile che il muro suddetto sopravanza in altezza il muro di mera recinzione della Padovan posto sul confine, sicché certamente non é totalmente interrato.
Basti in proposito considerare che per costante giurisprudenza di questa Corte ‘ con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione ” (vedi ex multis Cass. ord. 29.7.2024 n. 21201; Cass. ord. 22.11.2023 n. 32505; Cass. ord. 26.10.2021 n. 30042).
Per il resto il primo motivo é infondato, in quanto l’impugnata sentenza ha basato l’accertata violazione della distanza legale di cinque metri dal confine sulla violazione delle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria del 1986 (ancora vigenti), certamente vigente già all’epoca del rilascio della prima concessione edilizia a favore della ricorrente il 13.2.2004, ed ha richiamato il regolamento edilizio
comunale approvato il 28.9.2007 ed il PUC non ancora vigente per tutte le lottizzazioni in località INDIRIZZO del Comune di Valledoria, solo per indicare che la suddetta distanza legale non era stata derogata in termini riduttivi dalla normativa urbanistica locale sopravvenuta, e non perché abbia ritenuto quelle disposizioni giustificative della disposta demolizione.
Una volta considerato come vera e propria costruzione il muro in cemento armato, di quattro metri, realizzato dalla ricorrente sul confine con la proprietà Padovan, che a differenza del fabbricato della ricorrente, fronteggia in parte il fabbricato finestrato della Padovan, posto ad una distanza di m 5,50 dal medesimo confine, non essendo consentita l’edificazione in aderenza al muro di cinta della Padovan collocato sul confine per la prescrizione di una distanza legale minima dal confine secondo la normativa locale, il muro di cemento armato ed il complesso edilizio della ricorrente dallo stesso sostenuto, avrebbe dovuto rispettare la distanza di cinque metri dal confine, prescritta dalle norme tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Valledoria, senza possibilità per la ricorrente di invocare deroghe ex art. 18 delle stesse norme, che avrebbero comportato una violazione della distanza minima tra pareti finestrate imposta dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 al di fuori dell’unico caso di deroga consentito dall’ultimo comma della norma sopra citata (si rinvia alla giurisprudenza di questa Corte già richiamata).
In conclusione, il ricorso va respinto, con inevitabile addebito di spese secondo la regola della soccombenza.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15.5.2025