Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11262 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 11262 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28748/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-ricorrenti-
COGNOME elettivamente domiciliato in MINTURNO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
ASTRA IMMOBILIARE DI COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, DI COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in GIULIANOVA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrenti- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 1142/2019 depositata il 26/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
Udito il P.G. in persona della dr.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME nonché NOMECOGNOME e NOME COGNOME COGNOME convennero RAGIONE_SOCIALE avanti il Tribunale di Teramo, sollecitando la declaratoria di illegittima occupazione di un fondo attoreo, mediante manufatti realizzati nel sottosuolo in prossimità del confine fra le parti, in violazione delle distanze legali, sia con riguardo al confine, sia con riguardo alle pareti finestrate fronteggiantesi.
Ritualmente costituitasi, la convenuta sostenne di aver rispettato le prescrizioni di legge, considerato altresì che, in prossimità dei lavori di recupero dell’immobile , aveva provveduto a redigere con le controparti un verbale di sopralluogo, stabilendo le regole convenzionali per l’uso temporaneo dell’area contestata, alla luce dello stato degli immobili e delle distanze.
La causa, in esito all’istruttoria del caso, fu decisa dal giudice adito con il rigetto della domanda.
Su gravame dei soccombenti, con sentenza n. 1142, depositata il 26 giugno 2019, la Corte d’appello di L’Aquila respinse l’impugnazione , confermando in toto la decisione del Tribunale.
Il giudice di secondo grado osservò che l’art. 9 comma 2° del DM n. 1444/1968 non avrebbe trovato applicazione con riguardo agli interventi sul patrimonio edilizio esistente e quindi anche su manufatti demoliti e successivamente ricostruiti, che avessero mantenuto una forma ed una volumetria esterne fedeli a quelle preesistenti. Nel caso di specie, addirittura, i volumi relativi alla nuova costruzione sarebbero stati ridotti e la distanza fra i rispettivi immobili sarebbe aumentata. L’insistenza del manufatto ricostruito sulla stessa area di sedime del precedente, il minor ingombro e la deroga pattizia alle distanze avrebbero escluso l’accoglimento della tesi degli appellanti. Ritenuta, per altro verso, l’irrilevanza del documento, non ammesso in primo grado e relativo alla proprietà Ferrari di una strada posta su l confine, la Corte d’appello ribadiva la legittimità e la congruenza delle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio , anche nella parte in cui aveva reputato inesistente lo sconfinamento.
NOME COGNOME nonché NOMECOGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di cinque motivi.
Si è costituita con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Il Procuratore Generale ha concluso per l’accogli mento del ricorso.
In prossimità dell’udienza pubblica, i ricorrenti ed RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria, ai sensi dell’art.378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, occorre dichiarare l’invalidità degli atti di costituzione dei nuovi difensori delle parti per mancanza della procura notarile, trattandosi di giudizio iniziato con atto di citazione notificato il 4 aprile 2006: conseguentemente, sono inammissibili le relative memorie redatte dai difensori
non abilitati (Sez. 2, n. 12434 del 19 aprile 2022; Sez. 2, n. 20692 del 9 agosto 2018).
Sempre in via preliminare, va rigettat a l’eccezione di irregolarità della procura speciale ad litem sollevata dalla difesa della RAGIONE_SOCIALE, poiché i dati omessi non incidono sul potere di rappresentare la parte in giudizio, oggetto della procura ad litem , ma attengono al rapporto privatistico che si instaura con il contratto di patrocinio, con quale il professionista viene incaricato di svolgere la sua opera secondo lo schema del mandato e quindi la loro mancanza può essere eccepita solo dal patrocinato, nel cui interesse tali indicazioni sono state prescritte dalla legge.
Con la prima doglianza, i ricorrenti assumono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., non avendo la Corte territoriale pronunziato sul motivo di appello n. 4 relativo al mancato accoglimento della domanda di accertamento della violazione delle distanze dal confine delle costruzioni realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE e dal risarcimento dei danni.
I giudici di secondo grado, pur avendo dato conto del motivo di impugnazione e che lo stesso si riferiva ad un’autonoma specifica domanda, già avanzata in primo grado e disattesa dal Tribunale, avrebbero omesso di esaminarla, posto che la motivazione non conterrebbe alcun cenno.
La censura è destituita di fondamento.
La sentenza impugnata ha così ricostruito il profilo delle distanze: ‘ In tema di distanze fra edifici, come è noto, si fa riferimento all’art. 9 comma 2 del D.M. n. 1444/1968, il quale prescrive l’obbligo di osservare una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate ed edifici antistanti. Essendo norma nazionale, l’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 prevale sulle eventuali norme diverse da essa contenute nei regolamenti edilizi comunali, facendo risultare dunque illegittima ogni altra previsione regolamentare che vi si pone in contrasto. Vi sono però delle deroghe che l’ordina mento nazionale riconosce alla predetta distanza legale….I limiti di distanza trovano infatti applicazione con riferimento alle nuove costruzioni, intendendosi per tali gli edifici o parti di essi costruiti per la
prima volta….Nel caso di specie, i volumi relativi alla nuova costruzione sono stati addirittura ridotti, mentre -ad un esame delle planimetrie ante e post intervento edilizio -si presenta aumentata la distanza tra gli edifici delle proprietà COGNOME, da una parte, e l’edificio della proprietà RAGIONE_SOCIALE, dall’altra….d) la deroga alla distanza dei 10 mt era conosciuta ed è stata oggetto di valutazione da parte degli attori/appellanti che in sede di verbale di sopralluogo (dd. 24.09.2004) hanno preso atto delle distanze esistenti tra il loro immobile e quella che sarebbe stata la ristrutturazione da parte della società convenuta del vecchio fabbricato di proprietà COGNOME….Alla luce di quanto detto non appare fondata la tesi di parte appellante secondo cui la deroga alla distanza dei 10 mt di cui all’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 non potrebbe coinvolgere le proprietà terze ‘ (pagg. 7-8). ‘ Analoghe considerazioni in tema di distanze la Corte ritiene di poter esprimere con riferimento alle altre censure mosse da parte appellante, che si mostrano pertanto del pari infondate’ (pag. 9).
Insomma, la Corte abruzzese ha sviscerato l’argomento, pur utilizzando una tecnica di redazione della sentenza che ha considerato i profili di censura non uno per uno, ma in ragione dei temi contrastanti sollevati dagli appellanti.
In definitiva, la doglianza si risolve in una critica alla ricostruzione dei fatti, operata dai giudici di merito.
Mediante la seconda articolata censura, NOME COGNOME nonché NOMECOGNOME COGNOME e NOME COGNOME denunziano , ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, con violazione degli artt. 194 e 195 c.p.c. e 90 disp. att. c.p.c. nonché la nullità della sentenza che ne aveva recepito le conclusioni, per violazione degli artt. 115 e 132 c.p.c.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente respinto l’eccezione di nullità della CTU, per l’utilizzo illegittimo di documenti non prodotti ritualmente dalle parti e per accertamenti non richiesti dal giudice, che esulavano dall’oggetto del giudizio e dai poteri dell’ausiliario, in violazione del principio del contraddittorio.
Il motivo è fondato.
Sostanzialmente i ricorrenti attaccano la sentenza impugnata per non aver tenuto conto che un atto privato (la D.I.A. e gli allegati, fra cui due atti pubblici) era stato acquisito illegittimamente e che l’interpretazione del D.M. n. 1444/68 proposta dal consulente officiato era stata seguita dalla Corte d’appello.
Orbene, in materia di consulenza tecnica d’ufficio, il perito nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti – non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico – tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a dimostrare fatti principali rilevabili d’ufficio (Sez. U, n. 3086 del 1 febbraio 2022; Sez. 3, n. 26144 del 7 settembre 2023; Sez. 2, n. 21903 del 21 luglio 2023; Sez. 3, n. 32935 del 9 novembre 2022).
Nel caso in esame, la Corte territoriale si è pronunciata sulla questione di nullità della consulenza tecnica di ufficio con una motivazione che si discosta da tali principi, atteso che manca una adeguata verifica sui poteri di accertamento e di acquisizione del consulente tecnico. Si rende pertanto necessaria la cassazione della sentenza per nuovo esame da parte del giudice di rinvio che, sulla scorta del citato principio, verificherà se le indagini o i documenti acquisiti riguardavano fatti principali o secondari.
Il terzo mezzo di ricorso si appunta sulla nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
Diversamente dalle affermazioni dei giudici di appello, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe ammesso di aver occupato la proprietà degli attori con una costruzione sotterranea della larghezza di circa 50 cm., senza neppure contestare il posizionamento del confine tra le due proprietà, rimettendosi al Tribunale in ordine alla restituzione dell’area .
Attraverso la quarta lagnanza, i ricorrenti affermano la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., degli artt. 183 comma 6°, 184 e 345 c.p.c. Sostengono l’illegittimità del rigetto della produzione del documento datato 19 maggio 2010 del Comune di Giulianova , che avrebbe confermato l’erroneità della CTU.
I due rilievi restano assorbiti dall’accoglimento del secondo motivo.
Col quinto mezzo, si assume la nullità della sentenza e del procedimento per travisamento della prova su un punto decisivo della controversia, in violazione degli artt. 112, 115, 116, 132 n. 4 c.p.c., ex art. 360 n. 4 c.p.c.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente affermato che il fabbricato si presentava nella stessa area di sedime dell’immobile precedente, mentre sulla scorta degli allegati alla consulenza tecnica d’ufficio il nuovo fabbricato non sarebbe stato coincidente con l’area di sedime dei vecchi fabbricati interamente demoliti. Il travisamento della prova avrebbe indotto i giudici ad escludere l’esistenza di una nuova costruzione, mentre il manufatto eretto ex adverso sarebbe stato completamente diverso dai fabbricati preesistenti, integralmente demoliti e ricostruiti.
Il motivo è fondato, nei limiti che seguono.
La sentenza impugnata ha basato il suo accertamento sulla modifica della sagoma e su una diminuzione di volume rispetto alla preesistente costruzione, rebus sic stantibus .
Attualmente, la vicenda processuale va però esaminata alla luce dello ius superveniens , trattandosi di normativa posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione e pertinente rispetto alle questioni in esso prospettate, ancorché i ricorrenti non ne abbiano fatto menzione nel ricorso introduttivo, laddove il motivo di ricorso censuri la corretta definizione di un regime giuridico che necessariamente presuppone l’applicazione della norma sopravvenuta (Sez. 5, n. 22016 del 13 ottobre 2020; Sez. 5, n. 19617 del 24 luglio 2018).
Secondo la costante interpretazione giurisprudenziale in materia di distanze nelle costruzioni, infatti, qualora subentri una disposizione derogatoria favorevole al costruttore, si consolida – salvi gli effetti di un eventuale giudicato
sull’illegittimità della costruzione – il diritto di quest’ultimo a mantenere l’opera alla distanza inferiore, se, a quel tempo, la stessa sia già ultimata, restando irrilevanti le vicende normative successive (Sez. 2, n. 24844 del 17 agosto 2022; Sez. 3, n. 12987 del 23 marzo 2016). Il sopravvenire della disciplina normativa meno restrittiva comporta, invero, che l’edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non possa più essere ritenuto illegittimo, cosicché il confinante non può pretendere l’abbattimento o, comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione.
Conviene prendere le mosse dal D. L. 69/2013, che ha novellato l’art.3 del T.U dell’edilizia, comprendendo, nell’ambito della ristrutturazione edilizia , gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica. Nella nuova formulazione, per aversi una ricostruzione bastava dunque rispettare la volumetria originaria, senza necessità di rispettare la sagoma.
Successivamente, il D.L. 32/2019, convertito nella L. 55/2019, è intervenuto sul tema delle distanze per le costruzioni al fine di semplificare e velocizzare i procedimenti sottesi alla realizzazione degli interventi edilizi di rigenerazione del tessuto edificatorio nelle aree urbane.
In questo quadro, la L.55/2019 ha operato una serie di modifiche agli standard urbanistici fissati dal D.M. 1444/1968, che prevedeva limiti inderogabili “di distanza tra i fabbricati”, tali da vincolare i comuni nell’adozione degli strumenti urbanistici e tali da poter essere invocati, previa disapplicazione dello strumento urbanistico eventualmente difforme, nelle controversie tra privati.
I cambiamenti al D.M. N.1444/1968 sono in concreto intervenuti mediante le modifiche apportate dal D.L. n.32/2019 all’art.2 bis del TU edilizia, con riferimento a quelle disposizioni che consentivano a Regioni e Province autonome di adottare disposizioni derogatorie sulle distanze legali.
Il D.L. n.32/2019, in particolare, ha aggiunto i seguenti commi al citato art. 2 bis : “1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni
nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio .’ ‘ 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo. “
Discende da quanto sopra delineato che, con le modifiche apportate dall’art.5 del D.L. n.32/2019, all’art. 2 bis del TU Edilizia, la demolizione e ricostruzione di un fabbricato è consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti, purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo. In caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell’ambito degli strumenti urbanistici.
Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, nelle prime applicazioni delle modifiche apportate dall’art.5 del D.L. 32/2019 all’art.2 bis del TU Edilizia, ha affermato che la demolizione e ricostruzione di un fabbricato è consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti, purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo; in caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell’ambito degli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato sez. IV, 16 ottobre 2020, n.6282).
Al fine di allargare l’ambito degli interventi di ristrutturazione e riqualificazione urbana, senza incorrere nel rilievo di incostituzionalità, il legislatore è nuovamente intervenuto sul Testo Unico dell’Edilizia. L’art.10 del D. L. 16.7.2020 m.76 convertito con modificazioni dalla L.11.9.2020 n.120 ha inciso profondamente sulla struttura del DPR 6.6.2001 n.380 attraverso una serie di interventi puntuali, aventi come finalità l’esigenza di ‘semplificare e accelerare le procedure edilizie, di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione,
efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo del suolo’.
Dal panorama normativo emerge, con particolare riguardo al tema di distanze tra gli edifici, che la novità introdotta dalla L. 120/2020 è costituita proprio dal la rivisitazione del concetto di ‘ristrutturazione edilizia’ (art.3, comma 1 lett. d del DPR 380/2001) ed il suo conseguente coordinamento con la definizione di ‘manutenzione straordinaria’ (art.3, comma 1, lett. b) del DPR 380/2001). In tal senso sono orientate gli articoli in tema di demolizionericostruzione, che costituiscono il fulcro della normativa inserita con la L.120/2020.
Ai sensi dell’art.3, lettera d) , costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un manufatto in tutto o in parte diverso dal precedente. La norma prosegue affermando che, nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico. Inoltre, al solo fine di promuovere interventi di rigenerazione urbana, sono ammessi incrementi di volumetria, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali.
Con le modifiche apportate dall’art.3, lett. d), gli interventi di ristrutturazione possono, quindi, consistere anche in demolizioni e ricostruzioni in cui, rispetto all’edificio originario mutino la sagoma, i prospetti, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. In tali casi, l’intervento deve mantenersi rispettoso unicamente del volume preesistente, con possibilità di formazione di un manufatto tipologicamente anche radicalmente diverso dal preesistente. Quando, invece, ‘la legislazione vigente o gli strumenti comunali lo consentano’, sono ammessi incrementi di volumetria ‘anche per interventi di rigenerazione urbana’.
Questa flessibilità derogatoria non è ammessa né per gli edifici tutelati, per le zone A (o come diversamente definite dalle leggi regionali) così come nei ‘centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico’, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici. In tali ipotesi, la ricostruzione ed il ripristino degli edifici crollati o demoliti deve mantenersi fedele all’esistente, ossia deve rispettare non solo il volume ma anche la sagoma, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio demolito, senza possibilità di incrementi volumetrici (Sez. 2, n. 12751 dell’11 maggio 2023).
Pertanto, il nuovo testo dell’art.2 bis, comma 1 ter, consente di sfruttare gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Infatti, l’attuale art.2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell’Edilizia recita: ‘ in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione e’ comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti ‘ .
La norma introduce in definitiva il principio secondo cui ogni opera di demolizione -ricostruzione, nel contesto di un intervento unitario, indipendentemente dalla qualificazione come ristrutturazione o nuova costruzione (‘ in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici ‘), può essere realizzato sulla linea di confine del fabbricato demolito, anche ove quest’ultimo risulti ‘ legittimamente ‘ posto ad una distanza da fabbricati e da confini inferiore da quelle attualmente previste. La norma prosegue indicando la possibilità che anche eventuali ‘ incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti all’intervento ‘ possano essere collocati
sul filo dell’edificio preesistente, anche fuori della sagoma e con superamento dell’altezza del manufatto demolito.
Così ricostruito il quadro normativo in relazione allo ius superveniens , è evidente come appaia necessaria una nuova indagine per verificare se nel caso di specie la nuova costruzione sia in linea oppure no con il regime emergente dalle modifiche legislative apportate. Di tanto dovrà farsi carico il giudice designato in sede di rinvio, per poter correttamente individuare la natura delle opere.
In definitiva, la sentenza deve essere cassata, in accoglimento del secondo e del quinto motivo, e rinviata alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio statuirà inoltre anche sul governo delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo ed il quinto motivo del ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Seconda Sezione Civile il