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Distanze legali: il muro di confine e l’aderenza

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso pluriennale in materia di distanze legali tra costruzioni. L’ordinanza chiarisce la natura di un muro a sostegno di un terrapieno, qualificandolo come vera e propria costruzione soggetta alle normative sulle distanze. Viene inoltre affrontato il concetto di costruzione in aderenza, specificando che una minima intercapedine non è sufficiente a escluderla. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito e sottolineando l’importanza della corretta formulazione delle domande processuali sin dalle prime fasi del giudizio.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Distanze legali: la Cassazione fa chiarezza su muri di contenimento e costruzioni in aderenza

Le norme sulle distanze legali tra edifici sono un pilastro del diritto immobiliare, pensate per garantire salubrità, sicurezza e decoro abitativo. Tuttavia, la loro applicazione pratica può generare complesse controversie, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il caso analizzato riguarda una disputa quasi trentennale tra vicini, nata per la costruzione di un muro, e offre spunti fondamentali sulla qualificazione dei muri di contenimento e sul concetto di costruzione “in aderenza”.

I fatti del caso: una disputa edilizia lunga decenni

La vicenda ha inizio nel 1995, quando un proprietario avvia un’azione legale (denuncia di nuova opera) per fermare la costruzione di un edificio sul terreno confinante, ritenuta lesiva delle norme sulle distanze. Il giudizio, interrotto e riassunto più volte a causa del decesso dell’attore originario e di questioni di competenza, si è trascinato per anni tra il Pretore, il Tribunale e la Corte d’Appello.

Il fulcro del contendere era un muro realizzato dalla vicina a sostegno di un terrapieno artificiale. Secondo gli eredi dell’attore, questo manufatto non era un semplice muro di recinzione, ma una vera e propria costruzione che doveva rispettare precise distanze dal confine. La Corte d’Appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva dato ragione agli eredi su questo punto, ordinando l’arretramento del muro a 5 metri dal confine.
Tuttavia, gli eredi hanno proposto ricorso in Cassazione, lamentando ulteriori violazioni, tra cui l’errata qualificazione di un’altra porzione del manufatto e la legittimità di una costruzione realizzata in “aderenza” nonostante la presenza di una piccola intercapedine.

La decisione della Corte di Cassazione e le distanze legali

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione d’appello e fornendo chiarimenti cruciali su diversi aspetti tecnici e procedurali. Analizziamo i motivi principali.

Il primo motivo: la natura del muro e il terrapieno artificiale

I ricorrenti sostenevano che il giudice d’appello avesse sbagliato a ordinare l’arretramento di un muro alto 3,80 metri, ignorando l’esistenza di un altro muro più alto (6 metri) a sostegno del terrapieno, che a loro dire era il vero manufatto da arretrare. La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile per genericità. I giudici hanno sottolineato che i ricorrenti non avevano mai chiarito, nel corso dei vari gradi di giudizio, l’esistenza di due distinti muri né avevano specificato le loro richieste in modo preciso. Un muro che serve a contenere un terrapieno artificiale, che modifica in modo sensibile il livello del suolo, è a tutti gli effetti una “costruzione” ai fini delle distanze legali e non un semplice muro di cinta.

Il secondo motivo: la costruzione in aderenza con intercapedine

Un altro punto contestato era la qualificazione di una parte dell’edificio come “costruzione in aderenza”, permessa dalla legge. I ricorrenti lamentavano che tra i due edifici esisteva una piccola fessura (tra 8 e 13 cm), che a loro avviso escludeva la possibilità di parlare di aderenza. La Corte ha respinto anche questa doglianza, affermando che una modesta intercapedine, colmabile con accorgimenti tecnici, non osta alla qualificazione di un edificio come costruito in aderenza. Si tratta di una valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità se, come in questo caso, adeguatamente motivata.

Il terzo e quarto motivo: questioni procedurali su danni e spese

Infine, la Corte ha respinto le censure relative alla tardività della domanda di risarcimento danni (formulata solo in comparsa conclusionale) e alla gestione delle spese legali della fase cautelare iniziale. Sulla prima, ha ribadito che una semplice “riserva di agire in separata sede” nell’atto di citazione non costituisce una domanda di risarcimento. Sulla seconda, ha osservato che la decisione del Pretore di compensare le spese della fase cautelare, non essendo stata impugnata a suo tempo, era passata in giudicato e non poteva più essere ridiscussa.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati sia di diritto sostanziale che processuale. In primo luogo, viene riaffermato che un muro di contenimento di un terrapieno di origine artificiale va equiparato a un muro di fabbrica e, come tale, deve rispettare le normative sulle distanze legali. La sua funzione non è meramente divisoria, ma strutturale, creando un dislivello e un volume che prima non esistevano. In secondo luogo, il concetto di “aderenza” viene interpretato non in senso letterale e assoluto, ma funzionale. La presenza di un’intercapedine minima non snatura la costruzione se l’autonomia statica e funzionale dei due edifici è garantita. Dal punto di vista processuale, la Corte ha voluto sanzionare la genericità e la tardività delle domande dei ricorrenti, ribadendo che le questioni devono essere introdotte nel processo in modo chiaro e tempestivo, non potendo essere sollevate o modificate a piacimento nelle fasi finali del giudizio.

Conclusioni

Questa ordinanza offre importanti lezioni pratiche. Per chi intende costruire, è fondamentale sapere che qualsiasi opera che modifichi permanentemente la morfologia del terreno, come un terrapieno artificiale, sarà soggetta alle rigide norme sulle distanze legali. Non ci si può nascondere dietro la definizione di “muro di recinzione”. Per chi agisce in giudizio, invece, emerge la necessità di definire con estrema precisione l’oggetto delle proprie richieste fin dal primo atto, pena l’inammissibilità delle proprie pretese. La decisione conferma infine che la valutazione sull’aderenza tra edifici è una questione di fatto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito.

Un muro che sostiene un terrapieno artificiale è considerato un muro di recinzione ai fini delle distanze legali?
No. Secondo la sentenza, un muro realizzato a sostegno di un terrapieno artificiale costituisce un vero e proprio muro di fabbrica e non un semplice muro di recinzione. Come tale, deve rispettare le distanze legali previste per le costruzioni.

Una piccola fessura tra due edifici impedisce di considerare la nuova costruzione “in aderenza”?
No. La Corte ha stabilito che la presenza di una modesta intercapedine (nel caso di specie, variabile tra 8 e 13 cm) non esclude la qualificazione di una costruzione come realizzata “in aderenza”, purché questa sia di proporzioni modeste e tecnicamente colmabile. Si tratta di un accertamento di merito che spetta al giudice.

È possibile chiedere il risarcimento dei danni per la prima volta nelle memorie conclusionali?
No. La sentenza conferma che la domanda di risarcimento danni deve essere formulata tempestivamente nel corso del processo. Una semplice “riserva di agire in separata sede” contenuta nell’atto di citazione non è sufficiente, e la domanda formulata per la prima volta in comparsa conclusionale è tardiva, in quanto le preclusioni processuali sono già maturate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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