Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24761 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24761 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
Oggetto: Distanze legali
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6952/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi, congiuntamente e disgiuntamente, dall’AVV_NOTAIO del RAGIONE_SOCIALE di Velletri e dall’AVV_NOTAIO del RAGIONE_SOCIALE di Roma, con procura speciale in calce al ricorso e con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del difensore;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO del RAGIONE_SOCIALE, con procura speciale in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliata all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 556 depositata il 24 gennaio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Osserva in fatto e in diritto
Il Pretore di RAGIONE_SOCIALE accoglieva in sede cautelare il ricorso per denuncia di nuova opera proposto da NOME COGNOME, depositato in data 24 aprile 1995, ordinando alla resistente NOME COGNOME la sospensione della costruzione intrapresa sul terreno limitrofo a quello del ricorrente.
Con atto di citazione, notificato il 18 ottobre 1995, veniva instaurata la fase di merito, giudizio che veniva interrotto già all’udienza di prima comparizione per il decesso dell’attore; riassunto il giudizio con la costituzione degli eredi del COGNOME, il Pretore revocato nelle more l’ordine di sospensione a seguito del rilascio di una nuova concessione edilizia in favore della convenuta e disposta c.t.u., con sentenza n. 53 del 1999, dichiarava la propria incompetenza per valore, rimettendo la causa dinanzi al Tribunale, compensando le spese di lite.
Il giudizio veniva riassunto dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE (con atto di citazione notificato il 27 maggio 1999) dai COGNOME, i quali chiedevano la condanna della RAGIONE_SOCIALE alla riduzione ripristino, facendo inoltre espressa riserva di ripetizione dei danni in separata sede.
NOME COGNOME resisteva e spiegava domanda riconvenzionale chiedendo l’accertamento del confine fra i fondi, con arretramento della linea verso il terreno limitrofo, espletate le attività istruttorie, con l’assunzione di prove orali e di una ulteriore c.t.u., il giudice adito, con sentenza n. 598 del 25 febbraio 2014, in parziale
accoglimento della domanda principale, ordinava la demolizione del balcone posto al piano interrato e del corpo di fabbrica con destinazione di scala esterna edificati dalla convenuta, condannandola alla rifusione delle spese del giudizio e rigettava la domanda riconvenzionale
Decidendo sul gravame interposto dagli eredi COGNOME, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 556 depositata il 24 gennaio 2020, in parziale accoglimento del primo motivo di appello e in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava NOME COGNOME all’arretramento del muro avente altezza pari a m. 3,80 alla distanza di m. 5,00 dal confine della proprietà COGNOME.
Sul punto la Corte territoriale evidenziava che il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda relativa al muro di confine realizzato a sostegno di un terrapieno artificiale, che pertanto costituiva un vero e proprio muro di fabbrica e non un muro di recinzione ai fini delle distanze legali.
Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma gli eredi COGNOME propongono ricorso articolato in quattro motivi, cui resiste con controricorso la Cariddi.
Con il primo motivo, dedotto ex art. 360, c. 1, n. 3) c.p.c., i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 873 c.c. e 23 delle N.T.A. del Piano Regolatore di Rocca Massima: sostengono che il giudice di secondo grado non avrebbe dovuto disporre l’arretramento del muro alto m. 3,80, in quanto muro di recinzione e di confine che doveva essere lasciato libero ed isolato, ma, al contrario, avrebbe dovuto disporre l’arretramento del terrapieno artificiale e del muro di ‘esclusivo contenimento’, situato a valle e alto m. 6,00.
Il motivo è inammissibile per essere la doglianza sollevata in modo generico, facendosi riferimento, in violazione dell’onere di
specificità, alla prospettazione in merito ad un muro diverso, alto m. 6,00 posto in altra zona del terreno rispetto a quello di m. 3,80, alla sua rilevanza in materia di distanze legali e alla pretesa del rispetto di una qualsivoglia distanza di detto muro dal confine o da altre costruzioni, senza circostanziare precisamente, attraverso il confronto delle richieste avanzate in appello con la domanda introduttiva in primo grado, senza chiarire con quale atto e in quale fase del giudizio sarebbe stato dato ingresso a siffatto ulteriore elemento di fatto.
Né la censura spiega in quali termini anche l’ulteriore presenza di detto muro possa avere influito sulla decisione assunta dalla Corte di appello, oltre a non chiarisce in quali termini le N.T.A. sarebbero state disattese dai giudici di merito, soprattutto perché non risulta mai essere stata sottolineata dalle parti che vi sarebbero due distinti muri dai quali in ordine ai quali andavano effettuati gli accertamenti (almeno non emerge dalla sentenza che fa riferimento al solo muro di m. 3,80).
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano che il giudice di secondo grado avrebbe violato e falsamente applicato gli artt. 877 c.c., 23 delle N.T.A. del Piano Regolatore del Comune di Rocca Massima e 9 della l. 1684/1982 in materia di ‘Provvedimenti per l’edilizia, con particolari prescrizioni per le zone sismiche’, per avere qualificato ‘in aderenza’ la costruzione della RAGIONE_SOCIALE, nonostante la presenza di una modesta intercapedine dell’ampiezza variabile tra gli 8 e i 13 cm tra i due edifici.
Il motivo è infondato.
La costruzione in aderenza alla fabbrica altrui (la cui nozione è contenuta nell’art. 877 c.c.) postula l’assenza di qualsiasi intercapedine rispetto al preesistente muro del vicino e la piena autonomia (statica e funzionale) nei riguardi dello stesso e, quindi, è consentita, salvo l’obbligo di pagamento nascente dall’eventuale
occupazione di suolo altrui, anche quando tale muro presenti irregolarità (rientranze, sporgenze, riseghe e simili) nel suo ulteriore sviluppo in altezza, purché l’intercapedine possa ugualmente colmarsi mediante opportuni accorgimenti tecnici a cura del costruttore prevenuto, al di fuori dei cui obblighi resta, invece, qualsiasi opera intesa ad eliminare dette irregolarità, che fa carico al preveniente (Cass. 25 maggio 1984 n. 3229; v. di recente, Cass. 21 settembre 2021 n. 25495).
La circostanza, acclarata dalla Corte di Roma sulla base delle consulenze tecniche di ufficio espletate in primo grado e nella fase cautelare, che la intercapedine tra le due costruzioni varia tra 8 e 13 cm. e quindi di modeste proporzioni che consentiva di ritenere l’edificio realizzato in aderenza, costituisce un accertamento di merito non censurabile in sede di legittimità, ove adeguatamente e logicamente motivato, come nella specie.
Del resto, la stessa sentenza dà conto della realizzabilità della costruzione, come rilevato già dal giudice di primo grado, a seguito di variante all’art. 23 delle N.T.A. al Piano regolatore Generale del 1995 (v. pag. 3 della decisione impugnata), né i ricorrenti chiariscono quando e con quale atto di difesa avrebbero chiesto la disapplicazione delle N.T.A.
Le altre questioni di diritto che non risultano poste nel giudizio di appello, dunque, non possono trovare ingresso in questa sede, implicando accertamenti in fatto.
Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la sussistenza del vizio di cui all’art. 360, c. 1, n. 3) c.p.c., per la violazione e la falsa applicazione degli artt. 183 e 278 c.p.c. per avere il giudice del gravame, alla stregua della pronuncia del giudice di prime cure, confermato la tardività della domanda di risarcimento formulata dai COGNOME nella comparsa conclusionale depositata all’udienza del 17 settembre 2013, essendo invece rilevabile d’ufficio che a tale
data erano già maturate le preclusioni di cui all’art. 183, co. 5 c.p.c, che consentono, giunti a tale fase conclusiva del processo, solo la precisazione e la modificazione delle domande e delle eccezioni già formulate, escludendo invece la possibilità di proporne di nuove.
Anche il terzo mezzo è infondato.
Va innanzitutto considerato che la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il «fatto processuale» (Cass., Sez. Un., 25 luglio 2019 n. 20181): la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo , in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude, infatti, che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (così Cass. 13 marzo 2018 n. 6014: cfr. pure: Cass. 29 settembre 2017 n. 22880; Cass. 8 giugno 2016 n. 11738; Cass. 30 settembre 2015 n. 19410).
Nel caso in esame, i ricorrenti avrebbero dovuto trascrivere l’atto di citazione per la parte di rilievo circa la domanda risarcitoria, ma ciò non risulta. Ed anzi, la sentenza impugnata a pag. 2 dà atto che in citazione vi era stata solo una riserva di agire in separata sede per i danni.
Con il quarto motivo di impugnazione si lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e 1171 c.c., in quanto, trattandosi di procedimento avente ad oggetto la denuncia di nuova
opera, il giudice di primo grado, come confermato anche dal giudice d’appello, non avrebbe applicato correttamente la disciplina riguardante la liquidazione delle spese, ritenendo le stesse compensate all’esito della fase di merito ed omettendo di quantificare quelle per la fase cautelare che, a detta della ricorrente, devono essere liquidate separatamente, essendo le due fasi del tutto autonome e distinte pur costituenti un unico grado del medesimo giudizio.
Pure l’ultima censura non può trovare ingresso.
Dalla stessa sentenza impugnata si evince che sulle spese della fase cautelare, unitamente alla prima fase del giudizio di merito, aveva provveduto il Pretore di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 53 del 1999, compensandole, decisione -questa – che non fu impugnata, per cui correttamente la Corte di appello ha ritenuto che sulle stesse si era formato il giudicato.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna in solido i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che vengono liquidate in favore della controricorrente in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda