Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17820 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17820 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11534/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOMEcontroricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 1772/2020 depositata il 20/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.la srl RAGIONE_SOCIALE ricorre, con sei motivi avversati dalla srl RAGIONE_SOCIALE con controricorso, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Bari n. 1772 del 2020.
Con questa sentenza è stato respinto l’appello della ricorrente contro la decisione del Tribunale di Bari di accoglimento, nel merito, della domanda possessoria della controricorrente che aveva lamentato la violazione del proprio possesso di un terreno in Bitonto, sul quale era in corso l’edificazione di un complesso residenziale, causata dalla realizzazione, da parte della ricorrente, sul terreno limitrofo, a distanza inferiore a cinque metri dal confine, di alcuni pilastri di un’erigenda costruzione.
La Corte di Appello ha ritenuto infondata la tesi sostenuta dalla COGNOME fino dalla costituzione nella fase interdittale, secondo cui la particella n.1444, compresa nella proprietà della Domus e a confine con la proprietà della stessa COGNOME, era stata destinata, secondo il Piano Particolareggiato esecutivo del Comune di Bitonto, ad essere espropriata allo scopo finale di essere utilizzata per la realizzazione di un strada, con conseguente applicazione dell’art.17 delle norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore Generale, il quale prevedeva una deroga alla prescrizione della distanza dal confine.
La Corte di Appello ha accertato che, in realtà, la particella non era mai stata espropriata e che la strada non era mai stata costruita, con la conseguenza che non vi era alcuna possibile deroga alla normativa sulle distanze dal confine e che, per altro verso, era tutto ininfluente che la COGNOME avesse realizzato la propria costruzione rispettando le previsioni del Piano Particolareggiato e tenendo conto delle distanze previste dallo strumento attuativo rispetto alla strada. La Corte di Appello ha richiamato la pronuncia di legittimità n. 21146 del 2013 secondo cui ‘La previsione, in un piano di lottizzazione approvato dall’autorità comunale, della destinazione di determinate aree a strada, non implica l’immediata modificazione del regime dei diritti immobiliari su dette aree,
occorrendo a tale scopo un provvedimento amministrativo ablatorio ovvero una convenzione privata stipulata tra il lottizzante e la P.A.; ne consegue l’inapplicabilità alle stesse dell’art. 879, secondo comma, cod. civ., in materia di esonero dal rispetto delle distanze legali per le costruzioni confinanti con piazze e vie pubbliche’.
La Corte di Appello ha poi confermato la decisione di primo grado anche con riguardo al fatto che, nel calcolo della distanza dell’immobile della Tatutulli dal confine, dovessero essere tenuti in conto anche i balconi. E ciò sulla base del seguente iter argomentativo: l’art.5, n.12, delle norme tecniche di attuazione del PRG preveda sì che la distanza dai confini è ‘rappresentata dal massimo distacco tra la proiezione orizzontale del profilo del fabbricato e la linea di confine o il ciglio stradale misurato nei punti di massima sporgenza del fabbricato compresi i volumi aggettanti ed esclusi i balconi’ e tuttavia ‘in sede di computo delle distanze minime tra fabbricati, l’esclusione degli aggetti e dei balconi aperti va riferita esclusivamente a quelli di modeste dimensioni o con funzione decorativa quali non sono i balconi di cui si discute nel presente giudizio, pena la violazione della disciplina statale di rifermento’ costituita dall’art. 9 comma 2 del d.m.n.1444 del 2 aprile 1968;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art.873 c.c. in relazione all’art.360, primo comma, n.3 c.p.c. per avere la Corte di Appello ritenuto erroneamente che la ricorrente non avesse rispettato la distanza dal confine quando, al contrario, la ricorrente aveva costruito in conformità alla concessione edilizia ottenuta dal Comune di Bitonto in riferimento alle tavole planovolumetriche che tenevano conto della realizzazione della strada sulla proprietà della Domus;
2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art.19 L.R. Puglia n.56 del 31.5.80 e dell’art.873 c.c. in relazione all’art.360, primo comma, n.3 c.p.c.
La censura ripropone quella veicolata con il primo motivo.
Si sostiene, con i due motivi, che l’art.17 delle n.t.a. del P.R.G del Comune di Bitonto, per la zona B2, prevede che gli interventi sono subordinati alla redazione ed approvazione di piani particolareggiati o altri strumenti urbanistici esecutivi; che l’intervento della ricorrente era conforme alle previsioni del PPE, integrativo dell’art.873 c.c., e che, indipendentemente dalla circostanza della inesistenza, sulla particella 1444, della strada pubblica, la ricorrente poteva realizzare la propria costruzione in deroga al rispetto della distanza dal confine.
I motivi sono infondati.
È incontroverso che l’area privata su cui avrebbe dovuto essere realizzata la strada è rimasta di proprietà della Domus e che la strada non è stata realizzata.
Come già affermato dalla Corte di Appello, la tesi della ricorrente non tiene conto del principio per cui la previsione, in un piano regolatore o in strumenti urbanistici attuativi approvati dall’autorità comunale (come l’art.17 lett. e della n.t.a. al PRG), della destinazione di determinate aree a strada, non implica l’immediata modificazione del regime dei diritti immobiliari su dette aree.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la mera previsione in un programma di fabbricazione della destinazione di un terreno privato a strada pubblica non determina una modificazione immediata del regime dei diritti immobiliari privati e non è sufficiente, pertanto, ad esimere il proprietario confinante dall’obbligo di osservare le distanze legali, occorrendo all’uopo, ai sensi dell’art. 879 comma 2, c.c., la concreta destinazione del suolo a strada pubblica, mediante il compimento della necessaria attività sia giuridica che materiale, ossia con l’emissione del provvedimento
espropriativo o di occupazione d’urgenza oppure attraverso convenzione tra privato e pubblica amministrazione (in questo senso oltre alla pronuncia richiamata dalla Corte di Appello, n.21146 del 2013, v., tra le precedenti, ad esempio Sez. II, 07/08/2002, n.11902; Cass.
nn.11673/93, 1755/87, 5449/80, 737/73, e, tra le successive, Cass. n.16682/2023);
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art.873 c.c., in relazione all’art.360, primo comma, n.3 c.p.c., per non avere la Corte di Appello tenuto conto del fatto che l’art.17 n.t.a. del P.R.G. e l’art. 13 delle n.t.a. del Piano Particolareggiato del Comune di Bitonto prevedevano la possibilità di costruire non solo a distanza di cinque metri dal confine ma anche ‘a confine’.
Il motivo è inammissibile perché veicola una questione che sottende una prospettazione in fatto contrastante con l’accertamento della Corte di Appello (pagina 9) e che emerge anche dallo stesso ricorso, per cui l’edificio della ricorrente non era ‘a confine’ ma a distanza inferiore a cinque metri dal confine;
4. con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art.873 c.c. e falsa applicazione dell’art.9 D.M. 1444/68 in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c. per avere la Corte di Appello affermato che nel calcolo delle distanze dal confine dovevano essere tenuti in considerazione anche i balconi, in forza dell’art. 9 del d.m. 1444 del 1968, relativo alla distanze tra edifici, malgrado che nel caso di specie la domanda della Domus fosse basata sulla dedotta violazione della normativa sulla distanza non tra edifici ma rispetto al confine e che l’art.5 n.12 n.t.a. del P.R.G. del Comune di Bitonto escludesse i balconi dal calcolo delle distanze dai confini.
Riguardo a questo motivo valgono le seguenti considerazioni:
la Corte di Appello (pagina 7 della sentenza) ha dato conto della previsione dell’art.5, n.12, delle norme tecniche di attuazione del
PRG secondo cui la distanza dai confini è ‘rappresentata dal massimo distacco tra la proiezione orizzontale del profilo del fabbricato e la linea di confine o il ciglio stradale misurato nei punti di massima sporgenza del fabbricato compresi i volumi aggettanti ed esclusi i balconi’ e tuttavia ha poi ritenuto che i balconi dell’edificio della ricorrente dovessero essere inclusi nel calcolo delle distanze in quanto, ‘in sede di computo delle distanze minime tra fabbricati, l’esclusione degli aggetti e dei balconi aperti va riferita esclusivamente a quelli di modeste dimensioni o con funzione decorativa quali non sono i balconi di cui si discute nel presente giudizio, pena la violazione della disciplina statale di rifermento’ costituita dall’art. 9 comma 2 del d.m.n.1444 del 2 aprile 1968′;
così motivando, la Corte di Appello ha trascurato il fatto che il d.m. 2 aprile 1968 è stato emanato ai sensi dell’art. 41 “quinquies” penultimo e ultimo comma della legge urbanistica, introdotto dall’art. 17 della “legge ponte” per la disciplina delle distanze non delle costruzioni dal confine, ma delle intercapedini tra costruzioni e prescrive soltanto i limiti di distanza tra fabbricati in relazione alle varie tipologie di zona e di edifici in esso descritti (art. 9);
la motivazione in forza della quale la Corte di appello ha deciso nel senso della inclusione dei balconi nel calcolo delle distanze non è quindi corretta e tuttavia la decisione impugnata è giusta in è quanto coerente con la diversa motivazione per cui la ricordata previsione locale detta, in sostanza, una definizione di costruzione agli effetti della normativa delle distanze e tale definizione -nella parte in cui esclude dal concetto di costruzione tutti i balconi, anche quelli che, come la Corte di Appello ha accertato essere i balconi in questione, sono di non modeste dimensioni- non tiene conto del fatto che, agli effetti dell’art. 873 c.c. e delle relative norme integrative, ‘non sono computabili le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente artistica o
ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi sostenuti da solette aggettanti, anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, giacché, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati’ (v. Cass. n.25191 del 17/09/2021). La disposizione locale avrebbe dunque dovuto essere disapplicata in forza del principio, più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità (v., tra altre, Cass. 23843/2018; Cass. 144/2016; Cass. 19530/2005), per cui ‘la nozione di costruzione, agli effetti dell’art.873 cod. civ., è unica e non può subire deroghe, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme secondarie, in quanto il rinvio contenuto nella seconda parte del suddetto articolo ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una <>”.
Richiamato l’ultimo comma dell’art. 384 c.p.c., in forza del quale ‘non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione’, la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta nei termini appena sopra precisati e il motivo di ricorso in esame deve essere rigettato;
5. con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 1168, 1170 e 1144 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3. c.p.c. Si deduce che nel 2002, l’anno precedente a quello in cui la Domus aveva proposto ricorso per la tutela del possesso, i tecnici delle parti avevano definito una ‘ipotesi di sistemazioni viaria’ e che la Corte di Appello, pur avendo dato conto di tale ‘ipotesi’, non l’aveva valutata sotto il profilo della ‘tolleranza’ che, con la definizione di detta ‘ipotesi’, la Domus avrebbe espresso a che la COGNOME costruisse laddove aveva poi costruito o almeno sotto
il profilo della assenza della colpa della COGNOME nel ledere il possesso della controparte.
Va premesso, per un verso, che ‘ai fini della configurabilità della molestia possessoria che, al pari dello spoglio, costituisce un illecito lesivo del diritto del possessore alla conservazione della disponibilità della cosa, deve essere fornita, da parte di chi propone la domanda di manutenzione, non solo la prova dell’atto materiale, ma anche del dolo o della colpa, mentre l’accertamento della sussistenza dell’elemento soggettivo costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione logica e sufficiente’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n.4279 del 22/02/2011), per altro verso, che ‘l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito e pertanto il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata’ (Cass. n.9461 del 09/04/2021).
Nel caso di specie il motivo si riduce alla contrapposizione dell’interpretazione della ‘ipotesi di sistemazioni viaria’ data dal ricorrente a quella accolta dalla Corte di Appello. Quest’ultima ha escluso che l’ ‘ipotesi di sistemazione viaria a firma congiunta’ avesse ‘significato implicito di accettazione alla realizzazione degli edifici a distanza inferiore a quella prevista dalla legge atteso che
detto documento …. per avere efficacia derogativa al regime delle distanze presupporrebbe, ad avviso della Corte, la realizzazione del tratto viario’.
Va ulteriormente notato che la Corte di Appello, in riferimento ‘all’elemento soggettivo che sottende l’azione di spoglio’, ha affermato che ‘nel caso che occupa, come correttamente rilevato dalla parte appellata, la RAGIONE_SOCIALE aveva la piena consapevolezza di agire contro la volontà della RAGIONE_SOCIALE avendo proseguito nella realizzazione dell’opera nonostante l’appellata abbia sin da subito contestato la sua realizzazione’. La Domus a pagina 4 del controricorso ricorda che già con sua nota del 20 novembre 2003 ‘avendo constatato opere che preannunciavano la costruzione di un edifico a distanza inferiore a quella legale aveva invitato la Tarulli all’osservanza delle norme prescritte’ e che il ricorso per la tutela del possesso era stato depositato il 3 dicembre 2003.
Il motivo di ricorso in esame laddove denuncia che la Corte di Appello non avrebbe valutato l’assenza della colpa della Tatulli mira, sotto l’apparente deduzione di violazione di leggi, a rimettere in discussione l’accertamento in fatto che è sotteso alle leggi evocate.
È inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si deduce violazione o falsa applicazione di legge, a cui sia sottesa una struttura argomentativa come quella di specie: poiché il giudice di merito ha accertato i fatti X e tale accertamento è erroneo (cioè non corrisponde alla realtà delle cose), allora sono state violate le norme giuridiche Y. Tale struttura scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito. Come affermato innumerevoli volte (v. per tutte Cass Sez. U , Sentenza n.34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 -03) ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di
mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’;
6. con il sesto motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt.1168, 1170 e 1144 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3. c.p.c. Si deduce che la Corte di Appello non avrebbe valutato l’eccezione, proposta dalla COGNOME con il terzo motivo di appello, secondo cui era stata ‘la Domus a creare i presupposti per intentare l’azione a tutela del possesso con evidente abuso del diritto esercitato’, in quanto, la stessa Domus aveva ‘da un lato, alimentato il legittimo affidamento della COGNOME in ordine alla realizzazione della strada e, dall’altro, ad insaputa della COGNOME era (‘è’) riuscita a conservare la proprietà della particella, circostanza che le ha permesso di pretendere l’applicazione della disciplina sulle distanze legali ai danni della COGNOME‘.
Il motivo è inammissibile.
Per un verso, anche per questo motivo di ricorso, vale il già richiamato principio per cui ‘ È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’.
Per altro verso il motivo non si confronta con la ratio della decisione impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha correttamente escluso che l’ipotizzato affidamento possa avere rilievo in tema di rispetto delle norme sulle distanze.
La Corte di Appello ha non solo, sul piano dei fatti, espressamente escluso che il dedotto affidamento potesse essere esistente dato il significato da attribuirsi alla scrittura contenente la ‘ipotesi di sistemazione viaria’ già ricordato e dato che ‘l’appellante introduce l’esistenza da parte sua di una aspettativa rispetto alla possibilità di
acquisire il diritto a costruire in deroga al regime delle distanze in base a circostanze non ancora maturate’, ma ha, sul piano del diritto, affermato che il dedotto affidamento sarebbe stato irrilevante ‘per quanto attiene al rispetto delle distanze legali che deve poggiarsi sui rilievi oggettivi che attengono alla conformazione dei luoghi ed al rispetto delle norme regolamentari’; 7. in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
PQM
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €3 .500,00, per compensi professionali, €200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma 25 giugno 2025.
Il Presidente NOME COGNOME