Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24591 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 24591 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi riuniti 11723-2020 e 906-2025 proposti da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, pal. D, presso l’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente –
avverso la sentenza non definitiva n. 269/2020, depositata in data 11/03/2020, e la sentenza definitiva n. 1754/2024, depositata in data 12/12/2024, entrambe della CORTE D’APPELLO di ANCONA
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME
udito l’avv. NOME COGNOME per parte controricorrente, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Tribunale di Ancona per la manutenzione del possesso del suo immobile, NOME COGNOME lamentava, da parte della confinante COGNOME e RAGIONE_SOCIALE la violazione delle distanze, dal confine e tra i fabbricati, con riferimento ad un edificio a distanza inferiore a quella consentita dalle norme vigenti.
La domanda possessoria veniva rigettata e la Corte di Appello di Ancona, con sentenza n. 55/2012, confermava tale decisione di rigetto.
Avverso detta pronuncia interponeva ricorso per cassazione il COGNOME e la Corte di Cassazione, con sentenza n. 19932/2017, accoglieva il primo motivo di impugnazione, dichiarando assorbiti i restanti, rinviando la causa alla medesima Corte distrettuale per un rinnovato esame del merito della controversia.
La Corte Suprema, in particolare, ha affermato che il giudice di merito non aveva ‘ in alcun modo accertato se i balconi ed i ballatoi realizzati dalla RAGIONE_SOCIALE, per la loro ampiezza e profondità
(i balconi mt. 1,65 ed i ballatoi mt. 2,62), costituiti da solette aggettanti, potessero considerarsi costruzioni, come tali soggette alla previsione degli art. 873 cod. civ. e dell’art. 9, punto 7, lett. a) delle disposizioni di attuazione delle NTA del PRG del Comune di Ancona, secondo cui: «per interventi di nuova costruzione, anche previa demolizione, sono da rispettare le seguenti distanze: 1/2 dell’altezza dell’edificio, con un minimo di mt. 5,00 ‘.
Questa Corte ha altresì osservato che ‘il rispetto delle distanze non deve essere solo sostanziale, ma deve essere puntuale, sicché ne consegue che la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare e dare atto dell’esatta distanza dei fabbricati, onde, poi, verificare – tenendo conto dell’altezza degli stessi – il rispetto o meno della normativa di settore’.
Con sentenza n. 269/2020 la Corte di Appello di Ancona, in sede di rinvio, non definitivamente decidendo, accoglieva la domanda di manutenzione, accertando la violazione della distanza dal confine, rimettendo la causa in istruttoria per il prosieguo. La Corte distrettuale riteneva, in particolare, che in base alle disposizioni regolamentari locali la distanza dal confine da rispettare fosse pari alla metà dell’altezza del fabbricato eretto dall’odierna società ricorrente (metri 10,70), e dunque a metri 5,35 che nella specie non era stata rispettata, trovandosi l’edificio ad una distanza inferiore dal confine con il condominio nel quale è situata la proprietà COGNOME.
Avverso detta decisione propone ricorso COGNOME e RAGIONE_SOCIALE articolando quattro motivi, resistiti da controricorso del COGNOME. Il ricorso ha assunto il numero di ruolo generale 11723/2020.
Con successiva sentenza definitiva n. 1754/2024 la Corte di Appello di Ancona, definitivamente pronunciando, ha accertato anche la violazione della distanza tra fabbricati, ordinando l’arretramento
dell’edificio realizzato da COGNOME e RAGIONE_SOCIALE sino al rispetto di ‘tutte le distanze legali’ e regolando le spese.
La Corte di rinvio ha fondato questa decisione sulle osservazioni del consulente tecnico che ha integralmente trascritto, ed ha poi richiamato le indicazioni contenute nella CTU dell’ing. COGNOME alle pagine 53 e 54 nonché all’allegato 10 a pag. 120 della relazione peritale principale (per uno sviluppo planimetrico di circa mq 29,33, compresa la superficie del balcone interessato.
Ricorre per la cassazione di detta decisione COGNOME e RAGIONE_SOCIALE affidandosi a sei motivi.
Ha resistito con controricorso COGNOME Angelo ed il ricorso ha assunto il numero di ruolo generale 906/2025.
I due ricorsi, per ragioni di connessione, sono stati chiamati alla medesima udienza pubblica, in occasione della quale sono stati riuniti.
In prossimità dell’udienza pubblica, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per il rigetto di ambedue i ricorsi. Ambo le parti hanno depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME il quale ha insistito nelle proprie conclusioni, invocando il rigetto dei ricorsi, previa la loro riunione, e l’avv. NOME COGNOME per parte controricorrente, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va dato atto che i due ricorsi, n. 11723/2020, proposto avverso la sentenza non definitiva n. 269/2000, e n. 906/2025, proposto avverso la sentenza definitiva n. 1754/2024, sono stati riuniti in ossequio al principio secondo cui ‘I ricorsi per cassazione proposti contro sentenze che, integrandosi reciprocamente,
definiscono un unico giudizio (come, nella specie, la sentenza non definitiva e quella definitiva) vanno preliminarmente riuniti, trattandosi di un caso assimilabile a quello -previsto dall’articolo 335 c.p.c. -della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9192 del 10/04/2017, Rv. 643737; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9377 del 10/07/2001, Rv. 548071 e Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17603 del 28/06/2019, Rv. 654429).
Passando all’esame dei motivi, a cominciare da quelli concernenti la sentenza non definitiva, con il primo di essi viene contestata la violazione dell’art. 97 delle N.T.A. del Comune di Ancona, perché la Corte di Appello, con la sentenza n. 269/2020, avrebbe affermato che l’edificio della ricorrente doveva rispettare la distanza dal confine pari alla metà della sua altezza, senza considerare che la disposizione suindicata consentiva deroghe al criterio predetto, e che la normativa locale fissava, all’art. 9, una distanza minima di 5 metri dal confine, che nella specie era stata rispettata.
La censura è inammissibile.
Il richiamo all’art. 97 delle N.T.A., operato dalla società ricorrente, secondo il quale ‘Sono consentite deroghe alle prescrizioni delle presenti norme nei limiti previsti dalla legislazione nazionale e regionale vigente’ non tiene conto che dalla sentenza impugnata non risulta che sia stato affrontato l’argomento relativo all’esistenza, o meno, di una deroga nel caso specifico. Né esso viene affrontato dalla prima decisione di questa Corte, n. 19932/2017, che ha fissato con precisione i limiti del successivo giudizio di rinvio, concernente la questione della computabilità dei balconi e degli sporti ai fini del calcolo delle distanze, ed indicando anche il parametro normativo da applicare al caso concreto, rappresentato dall’art. 9, punto 7, lett. a) delle disposizioni di attuazione delle N.T.A. del P.R.G.
del Comune di Ancona, secondo cui: ‘ per interventi di nuova costruzione, anche previa demolizione, sono da rispettare le seguenti distanze: 1/2 dell’altezza dell’edificio, con un minimo di mt. 5,00’ .
L’allegata esistenza di una deroga , peraltro, sembra essere affidata, nello specifico, al contenuto del verbale di sopralluogo che viene riportato a pag. 4 del ricorso avverso la richiamata sentenza n. 269/2020, nel quale si dà atto che l’edificio COGNOME rispetta la ‘distanza minima di 5 ml dai confini ‘. La società ricorrente, tuttavia, non specifica neppure se detto documento fosse stato ritualmente acquisito nel corso del giudizio di merito, onde anche il riferimento ad esso introduce un argomento nuovo, in ogni caso non consentito in questa sede, posto che non può darsi accesso, nel giudizio di legittimità (ancor meno quando esso abbia ad oggetto una decisione assunta dalla Corte distrettuale in sede di rinvio) a documenti, neppure ove essi siano riprodotti, come nella specie, nel corpo dell’atto di impugn azione.
Inoltre la censura, illustrata da un disegno rappresentante le sagome dei due edifici, della società ricorrente e del condominio al cui interno si colloca la proprietà del COGNOME (cfr. pag. 5 del ricorso avverso la sentenza non definitiva), non contesta l’afferm azione, contenuta nella sentenza n. 269/2020, secondo cui l’altezza dell’edificio COGNOME è pari a metri 10,70.
L’art. 9 delle N.T.A. del Comune di Ancona, che disciplina i ‘parametri edilizi’ prevede, in materia di distanze, che ‘Per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente che non comportino variazioni della sagoma planovolumetrica, sono ammesse le distanze preesistenti. Per interventi di recupero con variazione della sagoma planovolumetrica sono da rispettare le seguenti distanze:
-in caso di ampliamenti o sopraelevazioni che non comportino pareti finestrate sul lato prospettante il confine di proprietà = 1/2 dell’altezza dell’edificio, con un minimo di ml 3,00;
-in caso di ampliamenti o sopraelevazioni che comportino pareti finestrate sul lato prospettante il confine di proprietà = 1/2 dell’altezza dell’edificio, con un minimo di ml 5,00. Per interventi di nuova costruzione, anche previa demolizione, sono da rispettare le seguenti distanze = 1/2 dell’altezza dell’edificio, con un minimo di ml 5,00; tale distanza si applica a pareti finestrate e non finestrate e per qualsiasi sviluppo del fronte dell’edificio’
La distanza minima di 5 metri dal confine, dunque, non è prevista in alternativa a quella di metà dell’altezza dell’edificio, ma costituisce criterio integrativo; pertanto si deve osservare la distanza minima dal confine pari alla metà dell’altezza della f abbrica, con un minimo di 5 metri, evidentemente applicabile laddove il primo criterio conduca ad una distanza inferiore. Nel caso di specie, il criterio residuale è stato correttamente ritenuto non operante, poiché a fronte dell’accertamento che l’altezza dell’edificio COGNOME è pari a mt. 10,70 si è individuata la distanza minima pari alla metà di detta misura, e quindi a mt. 5,35.
La decisione della Corte distrettuale è quindi coerente con il dato normativo applicabile alla fattispecie.
Con il secondo motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 2909 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto considerare che la sentenza del T.A.R. Marche n. 1895/2007 e la sentenza del Consiglio di Stato n. 3543/2013 avevano riconosciuto che la società odierna ricorrente aveva pienamente rispettato le norme urbanistiche ed edilizie applicabili.
La censura -che si riferisce a giudicati formatisi anteriormente al precedente giudizio di legittimità -è inammissibile per le stesse ragioni di
cui al motivo precedente: essa non è affrontata nella precedente sentenza di cassazione e quindi si scontra con i limiti del giudizio di rinvio.
Va infatti considerato, da un lato, che quando il giudicato si forma prima della scadenza dei termini per il deposito delle memorie di replica, che rappresenta l’ultimo momento in cui la parte può fare allegazioni difensive in grado d’appello, esso deve essere fatto valere nel predetto giudizio di merito, essendo possibile, invece, la sua deduzione in sede di legittimità soltanto quanto la decisione diviene definitiva dopo il predetto momento, che definisce il quadro fattuale al quale la decisione di secondo grado può e deve fare riferimento (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 14883 del 31/05/2019, Rv. 654285; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1534 del 22/01/2018, Rv. 647079). Dall’altro lato, la parte ricorrente non deduce neppure d i aver eccepito l’esistenza del giudicato esterno, formatosi vari anni prima della sentenza n. 19932/2017 della Corte di Cassazione, con la quale era stata cassata la prima decisione della Corte di Appello di Ancona, nel corso del primo giudizio di legittimità, onde l’eccezione è oggi preclusa, stante la natura ‘chiusa’ del giudizio di rinvio .
Con il terzo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 873, 905 c.c., 9 e 97 delle N.T.A. del Comune di Ancona, nonché il vizio della motivazione, perché la Corte di Appello avrebbe ritenuto che i balconi costituissero parte del fabbricato e fossero dunque da calcolare ai fini delle distanze.
La censura è infondata.
Come già rilevato, la Corte di Appello si è pronunciata in sede di rinvio, dopo la sentenza di questa Corte n. 19932/2017 (con la quale la prima sezione, in accoglimento del ricorso proposto dal COGNOME, aveva cassato la decisione di secondo grado della Corte di Appello di Ancona, n. 22/2012, accogliendo il primo motivo, con il quale era stata dedotta la la
violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e 905 cod. civ. e delle norme del Piano Regolatore Generale del Comune di Ancona e del Regolamento edilizio dello stesso Comune, nonché l’omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, perché il giudice del gravame non aveva accertato se i balconi ed i ballatoi realizzati nell’edificio della società RAGIONE_SOCIALE… per la loro ampiezza e profondità (i balconi mt. 1,65 ed i ballatoi mt. 2,62), costituiti da solette aggettanti, potessero considerarsi costruzioni, come tali soggette alla previsione degli art. 873 cod. civ. e dell’art. 9, punto 7, lett. a) delle disposizioni di attuazione delle NTA del PRG del Comune di Ancona, secondo cui: «per interventi di nuova costruzione, anche previa demolizione, sono da rispettare le seguenti distanze: 1/2 dell’altezza dell’edificio, con un minimo di mt. 5,00» ‘ (cfr. pagg. 3 e 4, punti 1.2.1 e 1.2.2 della sentenza n. 19932/2017 sopra richiamata). In tal modo, la sentenza rescindente aveva fissato il parametro normativo da applicare alla fattispecie, ed il giudice del rinvio, nel pronunciare la sentenza non definitiva n. 269/2020, oggetto della censura in esame, si è attenuto al dictum della Corte di Cassazione, ritenendo che i predetti balconi, ballatoi e corpo scale, per la loro estensione e caratteristiche, non potessero costituire meri sporti, e dunque dovessero essere considerati ai fini della valutazione della sagoma di massimo ingombro dell’edificio, per il calcolo delle distanze. L a statuizione, oltre a corrispondere al decisum della sentenza di cassazione del 2017, è anche coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘In tema di distanze legali fra edifici, non sono computabili le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente artistica o ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi sostenuti da solette aggettanti, anche se scoperti, ove siano di apprezzabile profondità e ampiezza, giacché, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel
concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25191 del 17/09/2021, Rv. 662253; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18282 del 19/09/2016, Rv. 641075).
Non si configura neanche il vizio di motivazione denunziato dalla parte ricorrente, poiché la sentenza impugnata evidenzia che balconi, ballatoio e corpo scale, aventi un ingombro minimo metri 1,09 e massimo metri 2,54 sono, per le loro dimensioni, da considerarsi parte della costruzione e dunque da calcolare ai fini delle distanze (v. pagg. 4 e 5 sentenza non definitiva). In tal modo, il giudice del rinvio ha dato atto, in modo adeguato, delle ragioni del proprio convincimento, con motivazione che non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Nè, per concludere sul punto, vi è spazio per altre fattispecie di vizio motivazionale, per effetto della limitazione derivante dalla novella del 2012, che ha precluso la possibilità di dedurre, in sede di legittimità, l’insufficienza o la contraddittoriet à della motivazione, limitando le censure proponibili al solo omesso esame di fatti decisive ed alle specifiche ipotesi di apparenza e irriducibile contrasto logico interno cui anzidetto.
Con il quarto motivo, infine, la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1170 c.c. e d il vizio della motivazione, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente riconosciuto, in favore del COGNOME, la legittimazione alla manutenzione del possesso, in assenza di un atto idoneo
a lederla ed in assenza di qualsiasi allegazione, da parte attrice, circa la sussistenza dell’ animus turbandi .
La censura è inammissibile.
Come già osservato in precedenza, trattandosi di giudizio di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte con la quale è stata cassata la decisione di seconde cure, l’ambito dell’esame demandato al giudice del rinvio è strettamente circoscritto a quanto stabilito dalla sentenza rescindente, la quale aveva accolto il primo motivo del ricorso, relativo proprio alla questione della necessità di considerare, o meno, le sporgenze dell’edificio COGNOME ai fini del computo delle distanze. Gli ulteriori motiv i, dichiarati assorbiti da questa Corte nella sentenza n. 19932/2017, concernevano il tema delle distanze tra edifici, anche in relazione all’altezza del fabbricato COGNOME ed al piano di campagna, ma non anche la questione oggi prospettata, che, pertanto, deve ritenersi nuova. La sussistenza, in concreto, dell’elemento soggettivo in capo alla società odierna ricorrente, infatti, non aveva costituito oggetto del primo giudizio di legittimità, conclusosi con la sopra richiamata sentenza n. 19932/2017 di questa Corte.
In ogni caso, la tutela esercitata in concreto dal COGNOME è ammessa in caso di violazione delle distanze, dovendosi ribadire il principio secondo cui ‘Le violazioni delle distanze legali tra costruzioni -al pari di qualsiasi atto del vicino idoneo a determinare situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di una servitù -sono denunciabili ex art. 1170 c.c. con l’azione di manutenzione nel possesso, costituendo attentati alla libertà del fondo di fatto gravato, e, pertanto, turbative nell’esercizio del relativo possesso’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22414 del 29/11/2004, Rv. 578649; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 724 del 23/01/1995, Rv. 489844).
Il motivo in esame propone, infine, a pag. 21 del ricorso, una doglianza concernente la carenza di legittimazione attiva del COGNOME, il quale avrebbe agito invocando la tutela di una situazione possessoria nonostante il contrario avviso degli altri partecipanti al condominio nel quale la sua proprietà è compresa. La deduzione è inammissibile, trattandosi di questione mai affrontata prima d’ora, ed in particolare non ricompresa nei motivi di ricorso proposti avverso la sentenza di appello della Corte distrettuale, oggetto della cassazione di cui alla decisione n. 19932/2017 di questa Corte.
Le censure proposte avverso la sentenza non definitiva, n. 269/2020, vanno pertanto complessivamente rigettate.
Passando al ricorso proposto avverso la sentenza definitiva, n. 1754/2024, prima di esaminare i motivi con esso articolati occorre scrutinare le eccezioni preliminari sollevate alle pagine 14 e 15 del controricorso. La difesa controricorrente sostiene, in particolare, che si configurerebbe una violazione del ne bis in idem , perché i primi tre motivi di impugnazione formulate in questa sede sarebbero già stati proposti dalla società odierna ricorrente sub specie di vizi di revocazione avverso la decisione im pugnata, nell’ambito del giudizio R.G. 19/2025, pendente dinanzi la Corte di Appello di Ancona. Va rilevato, in proposito, che per potersi configurare la violazione del ne bis in idem occorre che le questioni proposte siano già state oggetto di una precedente decisione, passata in giudicato. Poiché è la stessa parte controricorrente ad affermare che il giudizio di revocazione è ancora pendente, la censura è infondata.
La seconda eccezione attiene, invece, alla mancanza, nella procura spesa dalla parte ricorrente per la proposizione del ricorso, della certificazione della data in cui la stessa sarebbe stata rilasciata. Poiché la procura è materialmente unita all’atto al quale accede, essendo stata
inserita nella medesima ‘busta telematica’ , la mancanza della certificazione della data del suo rilascio rappresenta una mera irregolarità, dovendosi ribadire, al riguardo, che ‘I n tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell’art. 83 c.p.c. disposta dalla l. n. 141 del 1997, il requisito della specialità, richiesto dall’art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 c.c. e dall’art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti ‘ (Cass . Sez. U, Sentenza n. 36057 del 09/12/2022, Rv. 666374; cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 36827 del 15/12/2022, Rv. 666696; Cass. Sez. U, Sentenza n. 2075 del 19/01/2024, Rv. 669833; Cass. Sez. U, Sentenza n. 2077 del 19/01/2024, Rv. 669830). Non si configura, dunque, alcuna ipotesi di nullità della procura utilizzata per la proposizione della presente impugnazione.
Passando all’esame dei motivi, con il primo di essi la società ricorrente denunzia la violazione del D.M. n. 1444 del 1968, del Ret della Regione Marche e dell’art. 61 del Ret del Comune di Ancona, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. La società ricorrente lamenta che la Corte di Appello si sarebbe uniformata acriticamente a quanto
accertato dal C.T.U., senza procedere ad una autonoma valutazione delle norme di legge applicabili al caso di specie.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello, decidendo in sede di rinvio, ha correttamente applicato il parametro normativo che era stato indicato dalla sentenza di questa Corte n. 19932/2017, più volte richiamata, rappresentato dall’art. 9, punto 7, lett. a) delle disposizioni di attuazione delle NTA del PRG del Comune di Ancona. Poiché il giudizio di rinvio ha carattere ‘chiuso’ , non è possibile la proposizione, nel suo ambito, di una doglianza che ipotizzi l’applicabilità alla fattispecie di una disposizione diversa da quella indicata dalla sentenza rescindente. Va infatti ribadito, al riguardo, che ‘Il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione in relazione ai punti decisivi non congruamente valutati dalla sentenza cassata e, se non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, conserva il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla sentenza di annullamento’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17779 del 22/07/2013, Rv. 627553; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3150 del 02/02/2024, Rv. 669995). Poiché, come detto, nella fattispecie la sentenza n. 19932/2017 aveva individuato il parametro normativo da applicare, la Corte distrettuale doveva soltanto procedere alla valutazione della sussistenza, o meno, della violazione delle distanze in applicazione della disposizione già indicata da questa Corte. Non è quindi ammessa la deduzione, in questa sede, di censure concernenti la mancata applicazione di disposizioni diverse da quella di cui anzidetto.
Con il secondo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 13, dell’art. 61 Ret., del D.M. 1444 del 1968 e l’ assenza della motivazione, perché la Corte di Appello avrebbe fatto proprie le misurazioni
eseguite dal C.T.U., senza considerare che i due edifici non sono tra loro perfettamente frontistanti e che la zona in cui si collocano rientra nella cd. zona B del piano regolatore.
Anche questa censura, come la precedente, è inammissibile, perché l’argomento della non perfetta frontistanza dei due edific i non risulta mai proposto prima d’ora, n é ha costituito oggetto del primo ricorso in Cassazione, conclusosi con la sentenza n. 19932/2017.
Inoltre, deve anche osservarsi che non è consentita la deduzione di vizi di violazione di legge senza indicare esattamente quale sia la norma violata (non è al riguardo sufficiente, evidentemente, indicare soltanto la ‘violazione art. 13’ ).
Con il terzo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione degli artt. 81 e 100 c.p.c. e 879 c.c., perché la sentenza impugnata avrebbe assicurato al COGNOME una tutela alla quale egli non avrebbe avuto diritto, in quanto la sua proprietà è collocata in una palazzina che, pur essendo compresa nel condominio posto di fronte alla proprietà COGNOME, non fronteggia l’edificio di quest’ultima.
La censura, come le precedenti, è inammissibile, in quanto il tema che essa propone, che non risulta affrontato nella sentenza impugnata, né ha costituito oggetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 19932/2017, con la quale è stata cassata con rinvio la decisione di secondo grado, va considerato nuovo, in quanto proposto per la prima volta in questa sede.
Con il quarto motivo, la società ricorrente contesta la violazione dell’art. 2909 c.c. per contrasto con la sentenza n. 3543/20 13 del Consiglio di Stato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
La censura, che viene proposta anche come articolazione del primo motivo (pag. 23 del ricorso) è inammissibile per le considerazioni già
esposte in relazione al secondo motivo del ricorso proposto avverso la sentenza non definitiva della Corte distrettuale, alle quali pertanto si fa rinvio.
Con il quinto motivo, la ricorrente si duole della violazione dell’art. 905 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare che la distanza minima per i balconi è quella di metri 1,5 che nella specie era stata rispettata.
La censura, come le prime tre doglianze proposte avverso la sentenza definitiva n. 1754/2024, è inammissibile, perché con essa si introduce un tema nuovo, mai affrontato in precedenza e che non ha costituito oggetto della sentenza di questa Corte n. 19932/2017. La doglianza, peraltro, non è neppure pertinente alla ratio della decisione, poiché la distanza di metri 1,5 prevista dall’art. 905 c.c. si applica in relazione alle vedute, mentre nella circostanza si discute di distanze tra fabbricati. I balconi e i ballatoi, dunque, vengono in rilievo non già in quanto manufatti dai quali sia possibile esercitare una veduta, bensì in quanto parti costitutive dell’edificio COGNOME, che come tali vanno considera te ai fini del calcolo dell’ingombro del manufatto e del computo delle distanze minime tra le fabbriche.
Con il sesto ed ultimo motivo, infine, la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. e l’ omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe soltanto richiamato la C.T.U., dichiarando di condividerla, senza prendere posizione sulle argomentazioni critiche che, rispetto all’elaborato peritale, aveva proposto l’odierna società ricorrente.
La censura è fondata.
La Corte di Appello, dopo aver trascritto gran parte della relazione integrative dell’ausiliario, delle osservazioni proposte dai consulenti di parte
e delle relative risposte, si è limitata ad affermare che ‘La Corte ritiene che le osservazioni del Ctu siano esaustive di ogni questione rilevante ai fini della decisione e dunque le condivide e recepisce integralmente, dichiarando disattesa (o assorbita in ragione del criterio decisorio della ragione più liquid a) ogni diversa questione nonché escludendo l’esame di questioni ulteriori non ritualmente e tempestivamente sottoposte al contraddittorio e non costituenti oggetto del presente giudizio di rinvio’ (cfr. punto 9 della sentenza definitive, n. 1754/2024), concludendo poi con una pronuncia di ‘… finale condanna di arretramento del fabbricato COGNOME sino al rispetto di tutte le distanze legali’ (cfr. punto 10 della decisione), senza peraltro neppure indicare quali sarebbero dette distanze, nè precisare il parametro normative utilizzato per la loro individuazione.
Trattasi di motivazione meramente apparente, poiché essa, benché graficamente esistente, non rende, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 05/08/2016, non massimata; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Va inoltre evidenziato che la sentenza n. 1754/2024 è di fatto insuscettibile di essere eseguita, a fronte della mancata indicazione della distanza tra i fabbricati che dovrebbe essere, in concreto, rispettata. Mentre infatti la sentenza non definitiva n. 269/2020 aveva stabilito la distanza dal confine in metri 5,35, indicando anche la norma applicata per
individuarla, analoga statuizione non si rinviene nella decisione del 2024, che fa riferimento, genericamente, al rispetto di ‘tutte le distanze legali’ senza null’altro precisare al riguardo .
In definitiva, va accolto il sesto motivo del ricorso avverso la sentenza definitiva, n. 1754/2024, con rigetto di tutti gli altri.
La sentenza predetta va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Ancona, in differente composizione.
P.Q.M.
la Corte accoglie il sesto motivo del ricorso avverso la sentenza definitiva, n. 1754/2024, e rigetta tutte le altre censure. Cassa la sentenza predetta, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Ancona, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda