Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19986 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19986 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6785/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME -controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n.2481/2019 depositata il 12.11.2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I coniugi COGNOME NOME e NOME, premettendo di essere proprietari di un fabbricato sito in Biancavilla (CT), INDIRIZZO munito di una finestra dalla quale esercitavano la veduta sulla corte antistante, convenivano innanzi al Tribunale di Catania COGNOME Vincenzo, sostenendo che il predetto aveva demolito un preesistente fabbricato (legnaia) con struttura in pietra e copertura con tetto a falde e ricostruito un fabbricato in cemento armato, con solaio di copertura, in aderenza al loro fabbricato, più elevato del precedente e con maggiore ingombro del cortile, in violazione delle distanze prescritte dall’art. 907 cod. civ. e della normativa antisismica richiedente la presenza di un giunto tecnico (D.M. 16.1.1996). Chiedevano pertanto gli attori di accertare le suddette violazioni, con condanna del Salamone al ripristino dello stato dei luoghi anteriore.
Costituitosi, il convenuto, proprietario del fabbricato per donazione fattagli dalla madre, signora COGNOME il 9.12.1992, chiedeva il rigetto delle domande avversarie, sostenendo che l’altezza del fabbricato, dopo la demolizione e ricostruzione del 1986, non era mutata rispetto alla legnaia preesistente, e che i fabbricati non erano in aderenza, in quanto tra essi esisteva un muro comune.
Con la sentenza n. 2812/2016 il Tribunale di Catania accoglieva la domanda degli attori, condannando COGNOME NOME al ripristino dello stato dei luoghi ed alla rimozione delle violazioni del D.M. 16.1.1996 e dell’art. 907 cod. civ., nonché al rimborso delle spese.
Avverso detta decisione proponeva appello COGNOME NOME, e ad esso resistevano COGNOME NOME ed NOME chiedendo la conferma della sentenza gravata.
Con la sentenza n. 2481/2019 del 16.10/12.11.2019 la Corte d’Appello di Catania rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese processuali.
Avverso tale sentenza, COGNOME NOME ha proposto ricorso a questa Corte, affidandosi ad otto motivi, e COGNOME NOME ed NOME hanno resistito con controricorso.
La Procura generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dall’avvocato NOME COGNOME per COGNOME NOME, quale erede di COGNOME NOME ed NOME, questi ultimi due già parti del giudizio di appello, deceduti rispettivamente il 4.7.2008 durante il giudizio di primo grado, ed il 19.7.2017 durante il giudizio di secondo grado.
Sostiene il controricorrente, che la notifica del ricorso in cassazione di COGNOME Vincenzo, avvenuta il 30.1/6.2.2020 all’avvocato NOME COGNOME quale legale domiciliatario di COGNOME NOME ed NOME nel giudizio di secondo grado, dovrebbe considerarsi inesistente, in quanto a quella data sia COGNOME NOME, che NOME erano già deceduti, con conseguente inammissibilità del ricorso, che si sarebbe dovuto notificare agli eredi legittimi di COGNOME NOME ed NOME ossia ai figli NOME NOME NOME e NOME, ed ai nipoti NOME NOME COGNOME NOME e NOME, eredi legittimi della figlia premorta NOME.
Tale eccezione é infondata, perché in realtà l’effetto interruttivo del processo é prodotto da una fattispecie complessa, costituita dal verificarsi dell’evento morte di una delle parti e dalla dichiarazione in udienza, o dalla notificazione fattane dal procuratore alle altre parti, e la scelta di fare o non fare detta dichiarazione o notificazione é lasciata alla discrezionalità di quest’ultimo, il quale é l’unico legittimato alla realizzazione di tale negozio processuale in
virtù del potere rappresentativo conferitogli con la procura ad litem , e può scegliere altresì il momento più opportuno onde provocare, sul presupposto dell’effettivo verificarsi dell’evento, l’effetto giuridico dell’interruzione del processo (vedi Cass. sez. un. 4.7.2014 n. 15295, in motivazione).
Alla luce di tali considerazioni, è stato perciò affermato il principio secondo cui, in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione.
Al riguardo, Cass. 23.11.2018, n. 30341, ha, infatti, chiarito, come la rilevanza processuale di tale situazione, sia anch’essa subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, alla dichiarazione in udienza ovvero alla notificazione dell’evento alle altre parti, con la conseguenza che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale; c) è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso detto procuratore, ai sensi dell’art. 330, primo comma, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. da parte del notificante (in questi termini anche Cass. 22.8.2018 n. 20964).
Deve quindi ritenersi, conclusivamente sul punto, che la notifica del ricorso fatta presso il legale domiciliatario di COGNOME NOME ed NOME nel giudizio di appello, avvocato NOME COGNOME che nei precedenti gradi non aveva mai dichiarato a fini interruttivi la morte dei suoi clienti, sia stata validamente eseguita per il principio di ultrattività del mandato, e che il ricorso di COGNOME NOME sia ammissibile, dovendosi poi escludere che la dichiarazione di morte delle parti fatta nel giudizio di legittimità dal difensore determini l’interruzione del giudizio di cassazione (vedi Cass. 10.10.2007 n. 21133).
e 2) I primi due motivi di ricorso, relativi alla nullità dell’impugnata sentenza per motivazione meramente apparente, invocata sia ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. per violazione degli articoli 132 comma 2° n. 4) c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 della Costituzione, sia ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., sempre per violazione degli articoli 132 comma 2° n.4) c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
Il ricorrente, che già aveva appellato la sentenza del Tribunale di Catania n.2812/2016 per motivazione apparente, in quanto il giudice di primo grado aveva ricopiato interi brani della relazione del consulente tecnico di parte, ing. NOME COGNOME attribuendone la paternità al CTU ing. NOME COGNOME senza spiegare le ragioni per le quali aveva fatto riferimento alla CTP anziché alla CTU, ripropone la medesima doglianza di motivazione apparente contro la sentenza di secondo grado. Essa ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo che il Tribunale avesse reso una motivazione per relationem idonea a rendere comprensibili le ragioni della decisione adottata, come confermato dal contenuto specifico delle censure mossele dall’appellante, pur essendo incorsa in una svista nell’attribuire al CTU, anziché al CTP, le argomentazioni utilizzate (tra esse in particolare sono stati
richiamati dal ricorrente il rilievo da parte del CTP delle tracce di vecchi intonaci e cemento del preesistente tetto a falde del fabbricato Salamone, sostituito dal solaio in cemento armato, e l’asserita mancanza ad un controllo visivo di giunti tecnici tra i fabbricati delle parti).
Si duole il ricorrente coi primi due motivi che in realtà la motivazione del giudice di primo grado non fosse una motivazione per relationem, ma per rinvio, avendo rimesso ad un atto esterno, la consulenza tecnica di parte, l’indicazione delle ragioni della decisione, senza neppure spiegare il motivo di tale rinvio, ed aggiunge, che al contrario di quanto emergente dai richiami alla CTP della sentenza del Tribunale di Catania, ed a seguito delle osservazioni critiche mosse dal COGNOME, il CTU avrebbe accertato la presenza, tra una parete non strutturale del fabbricato Salamone ed il muro dell’edificio Cantarella, di una camera d’aria riempita di polistirolo, e quindi non l’assenza di un giunto tecnico, in base alla quale gli era stato imposto il rispetto della normativa antisismica. Aggiunge il ricorrente, che l’impugnata sentenza, confondendo il fabbricato Cantarella col vicino fabbricato Torrisi, avrebbe individuato la finestra dalla quale si esercitava la veduta, per la quale gli originari attori avevano chiesto tutela, nell’apertura più piccola in alto a destra, che in realtà era dotata di un’inferriata che impediva di inspicere e prospicere in alienum e non poteva quindi essere qualificata come veduta. Da ultimo il ricorrente sostiene, che la Corte distrettuale non avrebbe neppure integrato la motivazione della sentenza di primo grado, per consentire di comprendere, sulla base di quali allegazioni e prove, fosse stata adottata la decisione confermata.
I primi due motivi di ricorso sono infondati.
Va premesso, che in questa sede le censure da esaminare possono riguardare solo la motivazione della sentenza impugnata, e non di quella di primo grado, che effettivamente basandosi su una
consulenza tecnica di parte, erroneamente indicata come consulenza tecnica d’ufficio, equiparabile ad una mera allegazione difensiva e non ad una prova, non permetteva di individuare le prove sulle quali la decisione adottata era stata basata, ma é stata poi ampiamente integrata in secondo grado, attraverso il richiamo delle risultanze istruttorie, ferma restando la ricostruzione in fatto compiuta, non senza sottolineare che la CTU espletata era pervenuta alle stesse conclusioni della CTP degli attori, alla quale la sentenza di primo grado si era richiamata.
Secondo le sezioni unite di questa Corte ” la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n.83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. ord. 8.4.2025 n. 9277; Cass. 3.3.2022 n.709; Cass. sez. un. 3.11.2016 n. 22232; Cass. sez. un. 7.4.2014 n. 8053).
Precisando il concetto di motivazione apparente, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, che ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. quando essa, benché
graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. 23.5.2019 n. 13977; negli stessi termini ex multis : Cass. ord. 1.3.2022 n. 13977). Si parla poi di motivazione apparente anche quando essa sia caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione (Cass. 3.3.2022 n. 7090; Cass. sez. un. 3.11.2016 n.22232; Cass. 7.4.2014 n. 8053).
Per assolvere l’obbligo di motivazione costituzionalmente imposto alle decisioni giurisdizionali – come specificato dall’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c., pertanto, il giudice è tenuto a precisare le ragioni e l’ iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, chiarendo su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, rendendo così percepibile il fondamento della decisione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (in questo senso Cass. ord. 23.5.2019 n.13977).
Questa Corte ha inoltre, in più occasioni, affermato che, nel caso in cui il giudice del merito aderisca al parere del CTU, egli non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni. L’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo dell’elaborato, anche ” per relationem “, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente (Cass. ord. 18.10.2021 n. 28567; Cass. 6.5.2021
n.11917; Cass. 11.6.2018 n.15147; Cass. 21.11.2016 n. 23637) e, attraverso opportuni richiami, lasciare desumere che le contrarie deduzioni delle parti sono state ritualmente disattese (Cass. 2.2.2015 n. 1815; Cass. 9.6.1998 n. 5677).
Tanto non può aversi, però, nell’ipotesi in cui a venire in rilievo, per l’adottata tecnica della motivazione, sia la mancata risposta alle deduzioni difensive delle parti che, obliterate dal consulente d’ufficio nella propria relazione, vengano, per l’operato richiamo, ignorate dal giudice.
Quando siano state sollevate dalle parti censure dettagliate e non generiche alla CTU, il giudice del merito ha l’obbligo di fornire una precisa risposta che, correlata alla specificità della critica, dia conto della scelta di aderire alle conclusioni del consulente d’ufficio con una più puntuale motivazione.
Là dove il giudice contravvenga all’indicato canone, la motivazione è apparente, per l’incapacità della relatio alle conclusioni del nominato tecnico di dare conto delle ragioni del percorso logico osservato, per inosservanza dell’obbligo, imposto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione (Cass. ord. 18.10.2021 n.28567; Cass. 9.10.2017 n. 23594; Cass. 19.6.2015 n. 12703; Cass. 25.2.2014 n. 4448).
Sulla base degli esposti principi, non essendo più sindacabile l’insufficienza della motivazione, l’impugnata sentenza non può ritenersi viziata per motivazione apparente, in quanto, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, essa ha supplito alle carenze motivazionali della sentenza di primo grado, riconoscendo in capo agli originari attori, in forza dell’atto di acquisto dell’8.11.1969 regolarmente trascritto e facente menzione della finestra da allora utilizzata per inspicere e prospicere e del principio di non contestazione, la titolarità iure servitutis della servitù di veduta sul cortile antistante occupato dalla costruzione in aderenza del
fabbricato del COGNOME, avente altezza superiore ed area di sedime più ampia del preesistente e demolito fabbricato in pietra adibito a legnaia, come emerso dalla CTU e confermato dalla sopravvenuta ordinanza di demolizione n. 107 del 25.10.2018 del Comune di Biancavilla acquisita in secondo grado, e ritenendo, in forza delle verifiche compiute in loco dal CTU, che la nuova costruzione realizzata dal COGNOME, o dal suo dante causa, previa demolizione e ricostruzione con diversa altezza ed area di sedime della preesistente legnaia, abbia violato la distanza legale di tre metri ex art. 907 cod. civ. dalla veduta degli originari attori, da osservarsi sia quanto alla veduta orizzontale, che quanto a quella obliqua e verticale, confermando gli interventi ripristinatori individuati dal CTU già in primo grado.
La sentenza di appello ha poi spiegato, alla fine di pagina 6, che il CTU ha accertato che la nuova costruzione del Salamone presentava pilastri e travi a contatto col corpo di fabbrica degli appellati, senza la frapposizione dell’obbligatorio giunto tecnico, ed alla pagina seguente, tenendo conto delle incertezze delle risultanze istruttorie circa la collocazione temporale della demolizione e ricostruzione del fabbricato del Salamone nel 1986, o nel 1998, ha ritenuto applicabile come normativa antisismica, non il D.M. 16.1.1996, come indicato nella sentenza di primo grado, bensì la L. n. 64/1974 e le norme tecniche attuative della stessa (in particolare il D.M. 3.3.1975, poi ribadito dal D.M. 24.1.1986), che nelle zone sismiche hanno previsto la predisposizione del giunto tecnico nei casi, come quello di specie, di costruzione di edifici distaccati e contigui non costituenti un unico organismo statico, sottolineando che comunque la riduzione in pristino con la predisposizione del giunto tecnico era prevista anche dall’art. 9 della L. n. 1684/1962 per le costruzioni in aderenza (in tal senso Cass. sez. un. n. 7396/1998).
La Corte d’Appello, infine, ha spiegato le ragioni dell’inammissibilità dell’eccezione di usucapione del diritto del Salamone di mantenere il suo fabbricato nella posizione lesiva del diritto di veduta degli originari attori, e dell’infondatezza dell’eccezione di prescrizione del diritto di veduta dei medesimi, consentendo quindi appieno, non solo di comprendere le ragioni delle decisioni adottate, ma anche di individuare le fonti di prova poste a base delle stesse.
Resta da sottolineare che affinché la motivazione possa ritenersi meramente apparente, il vizio deve risultare già dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, per cui non può il ricorrente, nel formulare la censura in esame, riferirsi ai diversi esiti che avrebbero avuto le verifiche previo sondaggio del CTU sull’esistenza, o meno, tra i fabbricati, di un giunto tecnico, sollecitate dal COGNOME, non risultanti dalla sentenza impugnata, peraltro senza neppure riportare, sotto il profilo dell’autosufficienza, lo specifico motivo di appello sul punto proposto in secondo grado, e ciò esclude anche la possibilità di ravvisare sotto questo profilo una motivazione apparente della sentenza impugnata.
3) Col terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma, c.p.c. il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1350 cod. civ., nonché 112 e 115 c.p.c., per mancanza di prova dell’acquisto, in capo agli originari attori, della servitù di veduta sul fondo del Salamone.
Col terzo motivo il ricorrente si duole della violazione del principio dell’onere probatorio (art. 2697 cod. civ.) e del principio della necessaria costituzione delle servitù volontarie per contratto, o per testamento, ossia con forma scritta (art. 1350 cod. civ.), o comunque per usucapione, o per destinazione del padre di famiglia, e della violazione del principio di non contestazione dell’art. 115 comma 1° c.p.c. e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.), per avere la Corte d’Appello
riconosciuto, in capo agli originari attori, il diritto di servitù di veduta sul cortile antistante il loro fabbricato, senza che gli stessi avessero avanzato domanda in tal senso, nonostante le contestazioni da lui fatte circa l’assenza di un titolo legittimante tale servitù, basandosi solo sulla produzione da parte degli attori della nota di trascrizione del loro atto di acquisto rogato l’8.11.1969, dal quale risultava l’esistenza della finestra dalla quale la veduta era esercitata.
Il motivo é infondato, in quanto l’impugnata sentenza, tenendo conto che si trattava di un’ actio negatoria servitutis, nella quale gli attori erano tenuti solo a dimostrare il loro titolo di acquisto, senza gli oneri probatori propri di un’azione di rivendicazione (vedi in tal senso Cass. sez. un. 30.4.2025 n. 11455; Cass. n.1905/2023; Cass. n. 21851/2014; Cass. n. 10149/2004; Cass. n.2838/1999), ha ritenuto prova sufficiente, la produzione, da parte degli attori, della nota di trascrizione relativa all’atto di acquisto del fabbricato di Biancavilla, INDIRIZZO con atto rogato l’8.11.1969, dal quale risultava l’esistenza della finestra sul cortile antistante, in cui sorgeva al piano terra la legnaia, poi demolita e sostituita, con maggiore altezza ed area di sedime, dal fabbricato del Salamone, anche tenendo conto che quest’ultimo nella comparsa di risposta ed entro la scadenza del termine dell’art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c., non ha sollevato contestazioni in ordine all’esistenza ed alla legittimità di quella veduta, limitandosi a negare di avere raggiunto col nuovo fabbricato una quota maggiore rispetto alla preesistente legnaia demolita, avendo solo genericamente dedotto la mancanza del diritto degli attori di mantenere una veduta illegittima nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 2) c.p.c., quando ormai il thema decidendum non poteva più essere modificato, senza peraltro spiegare le ragioni per le quali la veduta sarebbe stata illegittima. Non vi é stata quindi alcuna inversione dell’onere probatorio, e sono state correttamente tratte le conseguenze della mancanza di
contestazioni specifiche tempestive da parte del COGNOME, in ordine alla servitù di veduta della quale gli attori hanno chiesto tutela, della quale pertanto non si é resa necessaria una specifica prova in base all’art. 115 comma 1° c.p.c., e la Corte d’Appello si é perfettamente attenuta alle domande degli originari attori, che avevano chiesto la condanna del COGNOME al ripristino dello stato dei luoghi in base alla normativa antisismica ed alla violazione delle distanze dei fabbricati dalle vedute ex art. 907 cod. civ., in relazione all’incontroversa veduta della quale essi godevano prima della demolizione e ricostruzione operata dal Salamone sulla corte antistante il loro fabbricato.
4) Col quarto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 2946 cod. civ., che stabilisce la durata decennale della prescrizione ordinaria, e la motivazione perplessa, incomprensibile, o meramente apparente addotta dalla Corte d’Appello, che dopo avere tacciato di genericità la sua eccezione di prescrizione, l’ha respinta con la motivazione che, a prescindere dall’incertezza sulla datazione degli interventi di demolizione e ricostruzione del COGNOME o del suo dante causa, dalla CTU espletata era emerso che la veduta esercitata dagli attori non era mai stata completamente preclusa, essendo stata solo limitata per effetto della modifica della distanza esistente tra la nuova costruzione del COGNOME e la preesistente veduta degli originari attori. Il ricorrente si duole poi, ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., della mancata considerazione della data di rilascio in suo favore della concessione edilizia, per la sostituzione del solaio di copertura, al preesistente tetto a falde, da parte del Comune di Biancavilla, il 22.8.1986, e delle deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME, dalle quali sarebbe emerso che le opere erano state realizzate nel 1986.
Per la parte in cui si lamenta la violazione dell’art. 2946 cod. civ. la censura é inammissibile, in quanto la Corte d’Appello non ha
adottato un’errata nozione della prescrizione decennale, ed in realtà si punta ad ottenere inammissibilmente una diversa valutazione in fatto sull’asserita maturazione della prescrizione per non uso del diritto di servitù di veduta, che peraltro, in base all’art. 1073 comma 1° cod. civ., é ventennale e non decennale.
Per la parte in cui si lamenta un vizio di motivazione, la censura é invece infondata, perché la ragione di rigetto dell’eccezione esposta é pienamente comprensibile e corretta. Ed invero, premesso che la genericità sottolineata dalla Corte distrettuale era evidentemente riferita alla mancata indicazione da parte del Salamone del dies a quo del termine di prescrizione, e non a caso il ricorrente ha fatto riferimento in questa sede solo alle asserite risultanze dell’istruttoria, é evidente che la prescrizione ventennale per non uso della servitù di veduta può iniziare a decorrere solo quando l’esercizio sia totalmente precluso, e non quando invece, come verificato dal CTU, tale esercizio sia solo limitato. E’ poi inammissibile, ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., la censura sollevata ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., per l’esistenza di una ‘doppia conforme’, sicché non può essere richiesta una rivalutazione della CTU e delle prove testimoniali, al fine di ricavarne una collocazione dell’ultimazione dei lavori di sostituzione del solaio al tetto a falde preesistente del Salamone al 1986, in contrasto con quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, che ha ritenuto, in base alle risultanze istruttorie, di non poterla datare con certezza, e ha comunque sottolineato che dalla stessa non é derivata la totale inibizione, ma la semplice limitazione della veduta in precedenza esercitata dagli originari attori.
5) Col quinto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 4) c.p.c., che la Corte d’Appello, in violazione degli articoli 112 e 167 c.p.c., abbia dichiarato inammissibile la sua eccezione di usucapione del diritto di mantenere il fabbricato realizzato in sostituzione della preesistente legnaia demolita ad
agosto 1986, sollevata per la prima volta nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 2) c.p.c., motivando tale sua statuizione perché il COGNOME non avrebbe proposto domanda riconvenzionale di usucapione nella comparsa di costituzione e risposta, né prima della scadenza del termine ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c., mentre in realtà egli si era limitato a concludere per il rigetto delle domande degli attori, e quindi a sollevare una mera eccezione, senza proporre una vera e propria domanda riconvenzionale di usucapione volta ad ottenere un accertamento in positivo in suo favore.
E’ esatto il rilievo che il COGNOME non aveva proposto domanda riconvenzionale di usucapione, come indicato nella sentenza impugnata, bensì una mera eccezione riconvenzionale di usucapione del suo diritto di mantenere il fabbricato realizzato, a seguito della demolizione della preesistente legnaia, in aderenza al fabbricato degli attori, senza rispettare la distanza imposta per la veduta dei predetti dall’art. 907 cod. civ., per la prima volta nella memoria istruttoria ex art. 183 comma 6° n. 2) c.p.c., ma é sufficiente correggere la motivazione della decisione impugnata ex art. 384 ultimo comma c.p.c., in quanto l’eccezione di usucapione, per giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. ord. 17.2.2025 n. 4121; Cass. ord. 27.6.2023 n. 18322; Cass. 4.3.2020 n. 6009; Cass. 19.5.2015 n. 10206) é un’eccezione in senso stretto, e non una mera difesa, e pertanto, in base al combinato disposto degli articoli 167 comma 2° e 166 c.p.c., doveva essere sollevata a pena di decadenza almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione indicata in citazione, o dell’udienza differita dal giudice ex art. 168 bis 5° comma c.p.c., e non invece, come avvenuto, con la memoria istruttoria ex art. 183 comma 6° n. 2) c.p.c., addirittura successiva alla definitiva fissazione del thema decidendum.
6) Col sesto motivo il ricorrente lamenta, in relazione agli articoli 132 comma 2 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 della Costituzione, la mancanza, l’incomprensibilità, o la mera apparenza della motivazione addotta dalla Corte d’Appello per respingere il suo terzo motivo di appello, che censurava l’accertamento del CTU che aveva affermato l’innalzamento del suo fabbricato con copertura a solaio, rispetto all’altezza della preesistente legnaia demolita, che era coperta da un tetto a falde, ma aveva un solaio a quota inferiore rispetto al nuovo solaio di copertura. Si duole il ricorrente, che la sentenza di secondo grado abbia ritenuto intervenuto il giudicato interno, in ordine alla realizzazione da parte del COGNOME, col suo intervento edilizio, di una nuova costruzione, per non avere il predetto contestato le conclusioni in tal senso del CTU, giudicato incomprensibile perché si trattava di accertare se vi fosse stato o meno un innalzamento del fabbricato preesistente demolito ai fini del rispetto della distanza legale dell’art. 907 cod. civ., e non certo di stabilire se il suo intervento edilizio fosse stato, o meno conforme alle prescrizioni amministrative. Ulteriormente il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., che non siano stati considerati gli elementi di prova che erano stati addotti per dimostrare che con la ricostruzione il solaio non era stato innalzato rispetto alla precedente quota della legnaia demolita.
Anche in questo caso la motivazione della sentenza di secondo grado, esatta nel dispositivo, va corretta ex art. 384 ultimo comma c.p.c., perché errata in diritto.
Ed invero, essendovi state contestazioni dell’appellante sia in ordine alla maggiore elevazione in altezza, sia in ordine all’ampliamento dell’area di sedime sul cortile del nuovo fabbricato in cemento armato con copertura a solaio realizzato dal COGNOME, sia in ordine all’esistenza, o meno, di un giunto tecnico fra tale fabbricato e quello degli attori, sia in ordine all’epoca di
effettuazione dei lavori di demolizione della legnaia con tetto a falde preesistente e di ricostruzione del nuovo fabbricato in cemento armato, evidentemente non poteva essersi formato alcun giudicato interno circa la mera qualificazione dell’intervento edilizio del Salamone come nuova costruzione, avulso dalle caratteristiche oggettive e temporali di tale intervento.
Il giudicato, infatti, può formarsi su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia (Cass. ord. 3.12.2024 n. 30987; Cass. 16.5.2017 n. 12202), ed essendo ancora in contestazione il fatto, evidentemente non poteva essersi formato alcun giudicato sulla qualificazione del fabbricato ricostruito dal Salamone come nuova costruzione, come del resto dimostra la motivazione addotta dall’impugnata sentenza, che non può ritenersi incomprensibile, inesistente, o meramente apparente.
La sentenza di secondo grado, infatti, andando oltre l’improprio richiamo fatto al giudicato interno, ha ritenuto valido l’accertamento compiuto dal CTU sull’aumento dell’altezza del fabbricato ricostruito dal Salamone, o dal suo dante causa, rispetto alla preesistente legnaia con tetto a falde, e sull’aumento dell’area di sedime del cortile prospiciente INDIRIZZO, di proprietà del Salamone, occupata dal nuovo fabbricato, di circa 20 mq, trovandone conferma nella motivazione dell’ordinanza n. 118 del 25.10.2018 di demolizione adottata nei confronti del predetto dal Comune di Biancavilla, legittimamente acquisita in quanto documento sopravvenuto alla sentenza di primo grado, ed al punto 4.2 di pagina 6, ha poi autonomamente accertato che l’intervento edilizio del Salamone ha generato una nuova costruzione, nei termini previsti dalla sentenza n. 21578/2011 delle sezioni unite della Corte di Cassazione, per l’aumento di volumetria verificatosi sia in altezza, che per maggiore area di sedime occupata, rispetto
alla preesistente legnaia, risultando quindi tenuta al rispetto delle distanze legali imposte dall’art. 907 cod. civ. e dalla normativa antisismica. E’ appena il caso di rilevare, che comunque, anche se non ci fosse stato nel fabbricato in cemento armato ricostruito l’aumento in altezza del solaio di copertura tetto, sostitutivo del precedente tetto a falde della legnaia, il ricorrente non ha contestato che via sia stato un aumento dell’area di sedime nel cortile occupata da quel fabbricato, che anche solo per quell’aspetto costituiva una nuova costruzione soggetta al rispetto delle distanze legali.
Il ricorrente non può inoltre lamentare il vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., per ottenere una rivalutazione degli elementi di prova addotti per negare l’aumento di altezza del nuovo fabbricato rispetto a quello demolito, in contrasto con l’impugnata sentenza, per il disposto dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., data l’esistenza di una ‘doppia conforme’.
7) Col settimo motivo, articolato in riferimento ai nn. 3) e 5) dell’art. 360, primo comma c.p.c., il ricorrente censura la violazione del D.M. 16.1.1996, atteso che le costruzioni oggetto di causa, ubicate secondo la CTU nel centro urbano (ZTO A) del Comune di Biancavilla, non sarebbero soggette alla normativa antisismica del D.M. 16.1.1996, valevole solo per le zone di nuova espansione urbanistica.
Col settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.M. 16.1.1996 in materia antisismica, ma tale motivo é infondato, in quanto la sentenza impugnata, non avendo potuto raggiungere certezze circa la collocazione temporale precisa dell’intervento edilizio di demolizione e ricostruzione del fabbricato del Salamone tra l’agosto 1986 ed il 1998, ha applicato la normativa antisismica della L. n. 64/1974 e le norme tecniche attuative della stessa (in particolare il D.M. 3.3.1975, poi ribadito dal D.M. 24.1.1986), sottolineando come la predisposizione del
giunto tecnico fosse imposta anche dall’art. 9 della L. n. 1684/1962 per le costruzioni in aderenza, e non ha affatto applicato, perché non ancora vigente all’epoca dei lavori, il D.M. 16.1.1996.
8) Con l’ottavo motivo, il ricorrente lamenta in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c. ed all’art. 132 n. 4) c.p.c. il vizio di motivazione dell’impugnata sentenza, per non avere dato risposta alle osservazioni critiche da lui mosse alla CTU, nella parte in cui aveva concluso nella sua relazione per la mancanza del giunto tecnico tra i fabbricati delle parti per essere i pilastri e le travi del fabbricato Salamone a contatto col fabbricato degli attori, ancorché a seguito dei sondaggi effettuati su sollecitazione del Salamone, fosse stata accertata la presenza di una camera d’aria riempita di polistirolo tra una parete non strutturale del fabbricato del Salamone ed il muro dell’edificio degli originari attori, e di tale ultima circostanza di fatto decisiva si lamenta anche l’omessa considerazione ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c.. Si duole il ricorrente, che sul punto l’impugnata sentenza si sia limitata a richiamare l’accertamento del CTU, relativo alla presenza di pilastri e travi del fabbricato Salamone a diretto contatto col fabbricato degli originari attori.
Tale ultimo motivo é inammissibile, anzitutto per difetto di autosufficienza, in quanto per consentire di valutare se effettivamente vi fosse stato un vizio di motivazione apparente dell’impugnata sentenza, nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., il ricorrente avrebbe dovuto riprodurre testualmente lo specifico motivo di appello proposto, e non effettuarne un richiamo sintetico e vago al suo contenuto.
Del pari inammissibile é la censura ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. in base alla previsione dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., per l’esistenza di una ‘doppia conforme’.
Le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno distratte in favore del legale antistatario di COGNOME COGNOME, avvocato NOME COGNOME Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso di COGNOME Vincenzo e lo condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità del controricorrente, liquidate in € 200,00 per spese ed € 5.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, da distrarre in favore del legale antistatario, avvocato NOME COGNOME Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 29.5.2025