Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12927 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 12927 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 34060/2021 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato;
-ricorrente –
Contro
DI COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato;
-controricorrente-
ricorrente incidentale – per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4749/2019, pubblicata il 11/7/2019 e notificata il 10/9/2019;
udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 17/4/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale e del secondo motivo di quello incidentale, con declaratoria di inammissibilità del primo motivo;
lette le memorie depositate da entrambe le parti; sentite le parti presenti.
Fatti di causa
1. COGNOME NOME, proprietario di un fondo con annessa costruzione, sito in Roma, INDIRIZZO convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, COGNOME NOME, esponendo che questi, sul fondo contiguo alla sua proprietà, aveva realizzato manufatti in violazione delle distanze di legge, aveva sistemato, lungo il muro di confine, un tubo del gas a distanza illegale e aveva depositato materiale di risulta nella fascia di rispetto a detrimento dell’intero contesto abitativo e che la canna fumaria posta a servizio del fabbricato principale determinava invasione di fumi nella proprietà contigua. Chiese, pertanto, la condanna del predetto alla demolizione ovvero all’arretramento di ogni costruzione eseguita in violazione delle norme in materia di distanze, all’arretramento del tubo del gas, allo sgombero di tutto il materiale di risulta presente nell’area circostante il fabbricato e all’esecuzione delle opere necessarie al fine di eliminare l’immissione di fumi nella sua proprietà, nonché al risarcimento del danno quantificato in euro 50.000,00 o, in alternativa, da determinarsi in separata sede.
Costituitosi in giudizio, COGNOME NOME spiegò domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna dell’attore alla demolizione della scala, corredata di pensilina di copertura, che era
stata realizzata a ridosso del muro di confine, nonché al risarcimento del danno nella misura di € 15.000,00.
Con sentenza n. 17870/2012, il Tribunale di Roma condannò COGNOME NOME a posizionare la condotta del gas insistente sul muro delimitante il confine con la contigua proprietà nel rispetto della distanza di cui all’art. 889, secondo comma, cod. civ., e rigettò le restanti domande dell’attore e quella riconvenzionale.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOMECOGNOME che propose appello incidentale, con la sentenza n. 4749/2019, pubblicata il 11/7/2019, con la quale la Corte d’Appello di Roma rigettò sia l’appello principale che quello incidentale.
I giudici di merito ritennero, in particolare, che il regolamento edilizio vigente all’epoca della realizzazione del miniappartamento dell’appellato edificato sul confine recepisse le prescrizioni del D.M. n. 1444 del 1968, il cui art. 9 fissava la distanza di mt. 10 tra pareti finestrate, e che, nella specie, il manufatto realizzato fosse privo di pareti finestrate, sicché andava applicata la distanza di cui all’art. 873 cod. civ. e, in particolare, il principio della prevenzione in quanto nulla era stato dedotto nel giudizio in merito all’esistenza di prescrizioni urbanistiche regolamentari che imponessero specifiche distanze dal confine.
Quanto, invece, alla domanda riconvenzionale, i giudici ritennero che questa fosse infondata, in quanto il convenuto, attore in riconvenzione, si era limitato a dire che la scala era stata realizzata dal Laurini a ridosso del muro di confine nel 1999, senza fornire le necessarie indicazioni circa i profili che ne avrebbero determinato l’illegittimità.
Avverso questa sentenza, COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Di NOME ha resistito con
contro
ricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 872 e 873 cod. civ., nonché dei regolamenti locali applicabili, tra cui l’art. 3 (norme di carattere generale), nn. 10 e 20, l’art. 16 -bis e l’art. 9 delle Norme tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune d Roma, adottato il 18/12/1962 e approvato con d.P.R. 16/12/1965 e successive variazioni nel tempo, e dell’art. 9 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di considerare che il principio della prevenzione non opera allorquando lo strumento urbanistico locale imponga una determinata distanza dal confine e che, nella specie, le NTA del Regolamento edilizio di Roma prescrivevano per la zona O/3, come quella in esame, un distacco minimo assoluto dal confine di mt. 5, senza che potesse assumere rilievo né la richiesta di condono avanzata dal Di COGNOME, siccome valevole nei soli rapporti pubblicistici, ma non anche in quelli privatistici, né l’eventuale inedificazione del fondo confinante, né il mancato richiamo al confine quando lo strumento urbanistico prescriva distanze maggiori da quelle contemplate dal codice civile.
Con il secondo motivo di ricorso principale, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e/o insufficiente e contraria motivazione relativa al medesimo fatto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., con riferimento agli artt. 111 Cost. e 132 cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto applicabile, nella specie, il principio della prevenzione, non avendo il ricorrente dedotto alcunché in ordine all’esistenza di prescrizioni urbanistiche regolamentari che imponessero specifiche distanze dal confine,
senza invece tener conto del fatto che l’attore, sia in primo grado, sia soprattutto in grado d’appello, aveva espressamente indicato le NTA del P.R.G. di Roma che prevedono la distanza di mt. 5 dai confini.
Con il terzo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 872 e 873 cod. civ. e dei regolamenti locali applicabili sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge, art. 113, primo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto applicabile il principio della prevenzione in ragione della mancata indicazione, da parte del ricorrente, dell’esistenza di prescrizioni urbanistiche regolamentari che imponessero specifiche distanze dal confine, senza considerare che, in tal modo, stavano violando il principio iura novit curia , che impone al giudice di applicare le suddette norme tecniche, integrative del codice civile, di cui deve acquisire conoscenza.
4.1 Il primo e il terzo motivo di ricorso principale, da trattare congiuntamente in quanto vertenti sulla medesima questione dell’obbligo del giudice di individuare la normativa applicabile e della violazione delle prescrizioni delle NTA del Piano Regolatore del Comune di Roma, sono fondati.
Come chiarito da Cass., Sez. U, 19/5/2016, n. 10318, nel sistema delineato dagli artt. 873 ss. cod. civ., il principio della prevenzione comporta che il confinante che costruisce per primo viene a condizionare la scelta del vicino che voglia a sua volta costruire. Al preveniente è, infatti, offerta una «triplice facoltà, potendo egli edificare sia rispettando, una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice, sia sul confine, sia ad una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta. A fronte alla scelta operata dal preveniente, il vicino che costruisce successivamente, nel primo caso, deve costruire anch’esso ad una distanza dal
confine pari alla metà di quella prevista, in modo da rispettare il prescritto distacco legale dalla preesistente costruzione. Nel secondo caso, il prevenuto può chiedere la comunione forzosa del muro sul confine (art. 874 cod. civ.) o realizzare la propria fabbrica in aderenza allo stesso (art. 877 primo comma cod. civ.); ove non intenda costruire sul confine, è tenuto ad arretrare il suo edificio in misura pari all’intero distacco legale. Nella terza ipotesi considerata, il prevenuto può chiedere la comunione forzosa del muro e avanzare la propria fabbrica fino ad esso, occupando lo spazio intermedio, dopo avere interpellato il proprietario se preferisca estendere il muro a confine o procedere alla sua demolizione (art. 875 cod. civ.); in alternativa, può costruire in aderenza (art. 877 secondo comma 14 cod. civ.) o rispettando il distacco legale dalla costruzione del preveniente».
Orbene, il criterio della prevenzione, previsto dagli artt. 873 e 875 cod. civ., è derogato dal regolamento comunale edilizio allorché questo fissi la distanza non solo tra le costruzioni, ma anche delle stesse dal confine, salvo che questo consenta ugualmente le costruzioni in aderenza o in appoggio, nel qual caso, essendo la stessa fonte regolamentare a sancire direttamente, senza necessità di alcuno sforzo interpretativo, l’operatività della regola della prevenzione prevista dal codice civile, il primo costruttore ha la scelta tra l’edificare a distanza regolamentare e l’erigere la propria fabbrica fino ad occupare l’estremo limite del confine medesimo, ma non anche quella di costruire a distanza inferiore dal confine, poiché detta prescrizione ha lo scopo di ripartire tra i proprietari confinanti l’onere della creazione della zona di distacco (Cass., Sez. 2, 14/05/2018, n. 11664 ; Cass., Sez. 2, 06/11/2014, n. 23693; Cass., sez. 2, 19/12/2011 n. 27522 , Cass., Sez. 2, 30/10/2007 n. 22896).
Allo stesso modo, il criterio della prevenzione non è derogato allorché i regolamenti prescrivano una distanza minima dal confine non predeterminata, ma commisurata all’altezza di una delle costruzioni, operando in tal caso – in mancanza di dati di segno contrario emergenti da specifiche disposizioni regolamentari -l’operatività del principio di prevenzione (Cass., Sez. U, 1/8/2002, n. 11489), oppure allorché prevedano una distanza tra fabbricati maggiore di quella sancita dall’art. 873 cod. civ. e tuttavia non impongano una distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all’intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874, 875 e 877 cod. civ..
In sostanza, come chiarito da Cass., Sez. U, 1/8/2002, n. 11489, cit., solo in presenza di una norma regolamentare che prescriva una distanza tra fabbricati con riguardo al confine si pone l’esigenza di un’equa ripartizione tra proprietari confinanti dell’onere di salvaguardare una zona di distacco tra le costruzioni, sicché, in assenza di una siffatta prescrizione, deve trovare applicazione il principio della prevenzione, con la conseguente possibilità, per il prevenuto, di costruire in aderenza alla fabbrica costruita per prima, se questa sia stata posta sul confine o a distanza inferiore alla metà del prescritto distacco tra fabbricati.
4.2 Orbene, il ricorrente ha sul punto precisato che i due immobili confiniari si trovano in zona O/3 del P.R.G. del Comune di Roma, come regolato dall’art. 16 -bis delle Norme Tecniche di Attuazione.
Andando ad analizzare quest’ultima disposizione, rubricata «Recupero urbanistico» e aggiornata al 31.03.2005, la stessa
prevede, per quanto qui interessa, che «Tale zona riguarda i nuclei edilizi residenziali consolidati spontaneamente sorti oggetti della Variante speciale prevista dall’art. 4 della L.R. 2 maggio 1980 n. 28», che «Per i fabbricati ultimati fino all’8 ottobre 1979 la concessione edilizia in sanatoria prevista dall’art. 16 della Legge 2 maggio 1980 n. 28 può essere rilasciata, anche in deroga ai limiti stabiliti dall’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 e dalle successive disposizioni, anche prima dell’adozione e approvazione degli strumenti urbanistici attuativi» e che «Nelle sottozone O2 e O3, è consentito nei lotti interclusi inedificati aventi superficie non superiore a 1.500 mq. il rilascio delle concessioni edilizie anche in assenza di Piano Particolareggiato o di altro strumento attuativo. Per i lotti di cui al precedente comma, gli indici di edificabilità si applicano alle superfici nette dei lotti e si limitano alla quota residenziale di 0,50 mc/mq per la sottozona O2 e di 0,80 mc/mq per la sottozona O3», che «ai fini dell’applicazione delle norme relative ai lotti liberi interclusi di superficie non superiore ai 1.500 mq., il lotto di terreno deve derivare da frazionamento non posteriore alla data del 14 maggio 1980 e deve essere delimitato per almeno due lati, da lotti sui quali insistono fabbricati già realizzati per i quali sia possibile la sanatoria e, per i restanti lati, da superfici già vincolate a strade, o ad altri spazi di uso pubblico. Per l’edificazione nei lotti liberi interclusi di cui ai precedenti commi, valgono le prescrizioni edilizie stabilite dall’art. 9 par. 1 penultimo e ultimo comma, delle presenti Norme Tecniche di Attuazione».
Quest’ultima disposizione, rubricata «Zona F: Ristrutturazione urbanistica», stabilisce, al paragrafo 1, penultimo comma (riguardando l’ultimo comma il distacco minimo dal filo stradale), che «Nella zona F1 è prescritta un’altezza massima non superiore a quella del più alto degli edifici esistenti nelle aree confinanti edificate e i distacchi dai confini interni (di proprietà o di lotto) dal
filo stradale o dalla linea di delimitazione con aree pubbliche, non potranno essere inferiori a 5,00 mt.; in ogni caso dovrà, comunque, essere garantita una distanza minima assoluta di 10,00 mt. dalle pareti degli edifici esistenti antistanti, qualora anche una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata».
Assume allora fondamentale importanza verificare il periodo di edificazione del manufatto in questione, onde accertare se tali disposizioni fossero all’epoca vigenti; se, in caso positivo, la costruzione ricada effettivamente nella zona O3, come affermato dal ricorrente; se vi fosse all’epoca almeno una parete finestrata, essendo insufficiente il fatto che quella interessata dalla nuova edificazione ne fosse priva.
Infatti, in materia di distanze tra fabbricati, l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 va interpretato nel senso che la distanza minima di dieci metri è richiesta anche nel caso in cui una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente, essendo sufficiente, per l’applicazione di detta distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, benché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta, con la conseguenza che il rispetto della distanza minima è dovuto pure per i tratti di parete parzialmente privi di finestre (Cass., Sez. 2, 5/4/2022, n. 11048).
4.3 Non può certo dirsi corretta, allora, la soluzione adottata dai giudici di merito, allorché hanno affermato che al manufatto realizzato dall’appellato, ‘privo di pareti finestrate e costruito in aderenza al confine’, non potesse ‘essere applicata tale disciplina [ossia quella di cui alle previsioni contenute nel d.m. n. 1444 del 2/4/1968, recepito dal Regolamento edilizio vigente all’epoca della realizzazione del miniappartamento, adottato con deliberazione del
Comune di Roma n. 3675/1979], ma dovesse essere applicata quella di cui all’art. 873 cod. civ., anche perché nulla era stato dedotto nel corso del giudizio, circa l’esistenza di prescrizioni urbanistiche regolamentari che imponessero specifiche distanze dal confine.
E’ infatti principio costantemente affermato da questa Corte quello secondo cui le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile e hanno, pertanto, valore di norme giuridiche (anche se di natura secondaria), sicché spetta al giudice, in virtù del principio iura novit curia , acquisirne conoscenza d’ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte (Cass., Sez. 2, 5/2/2020, n. 2661; Cass., Sez. 2, 15/06/2010, n. 14446; Cass., Sez. 2, 02/02/2009, n. 2563).
Il secondo motivo di ricorso principale resta logicamente assorbito dall’accoglimento degli altri due.
6.1 Con il primo motivo di ricorso incidentale, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 1031, 1158 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito omesso di prendere posizione sull’eccezione di usucapione di minor distacco formulata dal COGNOME con la comparsa di costituzione in primo grado e reiterata in appello, sul presupposto che esistesse fin dal 1985 un depositopollaio posto tra il muro di delimitazione della proprietà COGNOME e la strada privata, sulla quale insiste una reciproca servitù di passaggio, e che questo manufatto fosse stato interessato, nell’arco di venti anni, da vari interventi strutturali e di destinazione d’uso, l’ultimo dei quali in occasione dell’innalzamento del muro di confine da parte del Laurini nel 1999, quando il bene era stato trasformato in abitazione, senza che quest’ultimo se ne
dolesse. Ad avviso del ricorrente incidentale, la Corte di merito, anche riconoscendo il principio della prevenzione, avrebbe dovuto dichiarare che quest’ultimo aveva acquisito per usucapione il diritto di mantenere il proprio manufatto nella posizione esistente.
6.2 Il primo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.
Secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, in virtù del principio sancito dall’art. 346 cod. proc. civ., sono considerate rinunciate e non più riesaminabili le domande ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte in sede di gravame, in coerenza con il carattere devolutivo dell’appello.
Tale principio pone in definitiva sullo stesso piano appellante e appellato, in quanto fa gravare su entrambi l’onere di prospettare al giudice dell’appello le questioni (domande ed eccezioni in senso stretto) risolte in senso ad essi sfavorevole, senza attribuire alla parte rimasta inattiva (o addirittura estranea alla fase di appello, per essere stata contumace) una condizione sostanziale di maggior favore, sicché le due posizioni vengono a differenziarsi soltanto per il fatto che mentre il soccombente soggiace ai vincoli di forma e di tempo previsti per l’appello, la parte vittoriosa ha soltanto un onere di riproposizione, in difetto presumendosi che manchi un interesse alla decisione e potendosi imputare tale mancanza anche alla parte contumace (in questi termini, Cass., Sez. 2, 12/12/2016, n. 25345; anche Cass. n. 2730 del 2014 e Cass. n. 10236 del 2007; Cass. n. 7316 del 2003 e Cass. n. 9217 del 2007; in precedenza, in senso contrario, cfr. Cass. n. 7019 del 2001 e Cass. n. 13482 del 2001).
Nella specie, il ricorrente ha affermato che l’eccezione di usucapione, già proposta in primo grado, era stata reiterata in sede d’appello, in replica a quanto affermato dall’appellante alla pg. 8 della conclusionale, sicché la stessa, non essendo stata riproposta ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., deve ritenersi rinunciata,
atteso che una siffatta deduzione non può essere considerata alla stregua di una mera argomentazione difensiva posta a sostegno della richiesta di rigetto del gravame, come tale proponibile in ogni momento, ma costituisce una ragione del tutto autonoma da fare valere con le prime difese.
7.1 Con il secondo motivo di ricorso incidentale, infine, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 2907 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e l’omessa decisione, perché i giudici di merito, a fronte della domanda di violazione delle distanze dal confine e di risarcimento del danno afferente alla scala edificata dall’attore sul proprio fondo, avevano affermato che la stessa mancava delle necessarie indicazioni sui profili che avrebbero determinato la illegittimità dell’iniziativa, senza considerare che spetta al giudice interpretare la domanda, mediante l’analisi delle allegazioni e affermazioni della parte, e che il contenuto della domanda in questione era ben chiaro, tanto che il COGNOME si era difeso eccependo l’usucapione del diritto al minor distacco e che la c.t.u. era stata disposta anche con riguardo al predetto manufatto.
6.2 Il secondo motivo di ricorso incidentale è fondato.
I giudici di merito hanno respinto la domanda proposta dal ricorrente incidentale in ordine alla scala edificata in violazione delle distanze, sostenendo che questa fosse ‘ manchevole delle necessarie indicazioni circa i profili che avrebbero determinato l’illegittimità dell’iniziativa ‘ e che, pertanto, la sua formulazione peccasse ‘ sotto il profilo della causa petendi’.
Tale decisione si pone però in contrasto con il principio secondo cui la domanda di demolizione di una costruzione per la generica violazione delle norme in tema di distanze legali non esclude che il giudice, investito della decisione, possa pronunciarsi sulla legittimità dell’opera avuto riguardo alle previste distanze non solo
fra costruzioni, ma anche dal confine, nonché a quelle stabilite della normativa cosiddetta antisismica di cui alla legge 25 novembre 1962, n. 1684, senza per questo incorrere in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (Cass., Sez. 2, 28/05/2020, n. 10069; Cass., Sez. 2, 2/7/2014, n. 15105)
Vale, infatti, anche con riferimento a questa domanda il principio, già ricordato con riguardo al punto 4.3, secondo cui le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile e hanno, pertanto, valore di norme giuridiche (anche se di natura secondaria), sicché spetta al giudice, in virtù del principio iura novit curia , acquisirne conoscenza d’ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte (Cass., Sez. 2, 5/2/2020, n. 2661; Cass., Sez. 2, 15/06/2010, n. 14446; Cass., Sez. 2, 02/02/2009, n. 2563).
Consegue da quanto detto la fondatezza della censura.
7. In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo e terzo motivo di ricorso principale e l’assorbimento del secondo, nonché la fondatezza del secondo motivo di ricorso incidentale e l’inammissibilità del primo, il ricorso principale e quello incidentale vanno accolti e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo e terzo motivo di ricorso principale e il secondo di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17/4/2025.