Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10334 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 10334 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24299/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che le rappresenta e difende anche disgiuntamente all’avvocato NOME COGNOME
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n.511/2019 depositata il 22.3.2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 2000, COGNOME NOME Walter, COGNOME NOME e COGNOME, proprietari di un terreno con annesso fabbricato sito in Comune di Sotto il INDIRIZZO, adivano il Tribunale di Bergamo per sentir condannare COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietarie del manufatto edificato sul fondo finitimo, ad eliminare la sopraelevazione realizzata in violazione della disciplina delle distanze legali tra costruzioni ed anche in rapporto al superamento dell’altezza massima consentita, o in subordine al risarcimento dei danni subiti, parametrati al costo del ripristino.
Si costituivano in giudizio le convenute, resistendo alle avverse pretese, e chiedendo a loro volta di accertare, che il fabbricato di controparte violava le distanze legali e che la tettoia del fabbricato Locatelli-Villa, utilizzata per coprire materiale pericoloso, invadeva in parte la loro proprietà, con conseguente diritto al ripristino, ed in subordine al risarcimento del danno parametrato al costo del ripristino.
Parallelamente al giudizio così instauratosi, veniva incardinato un giudizio amministrativo inerente alla medesima vicenda edilizia, conclusosi con la sentenza n. 1406/2003, con cui il T.A.R. Lombardia, sezione distaccata di Brescia, aveva dichiarato irricevibile il ricorso dei COGNOME volto all’annullamento della concessione edilizia rilasciata dal Comune di Sotto INDIRIZZO alle controinteressate COGNOME NOME e COGNOME
NOMECOGNOME e rigettato il ricorso relativo all’annullamento della sopravvenuta concessione in sanatoria.
Nelle more del giudizio decedeva COGNOME NOMECOGNOME alla quale subentravano le eredi COGNOME NOME e COGNOME NOME
Con sentenza n. 2316/2014, il Tribunale di Bergamo accertava che il fabbricato sopraelevato delle Bolis, distante meno di cinque metri dal confine con la proprietà degli attori, misurava m 9,66 in luogo dell’altezza massima consentita di m 9,50, condannandole alla riduzione entro tale limite di altezza della sopraelevazione, rigettava le riconvenzionali delle Bolis, essendo stata nelle more rimossa la tettoia della controparte, e condannava le Bolis al pagamento delle spese processuali e di CTU.
Le COGNOME interponevano appello avverso la predetta sentenza sia contro le condanne loro inflitte, sia per il mancato accoglimento delle loro pretese risarcitorie, e resistevano al gravame COGNOME NOME Walter, COGNOME NOME e Villa Erminia, che in subordine chiedevano la riduzione in pristino della sopraelevazione avversaria anche per le altre ragioni prospettate al Tribunale di Bergamo ma non accolte, ed in ulteriore subordine il risarcimento dei danni subiti.
La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 511/2019 del 13.2/22.3.2019, accoglieva il gravame. Il Giudice di secondo grado riformava la decisione di prime cure, di condanna delle Bolis alla demolizione della sopraelevazione del proprio manufatto, ritenendo che la norma locale applicata dal Tribunale fosse relativa solo all’altezza massima del fabbricato Bolis, e quindi non integrativa delle norme del codice civile sulle distanze tra costruzioni, la cui violazione legittimava la condanna alla riduzione in pristino, e rilevando comunque, che gli accertamenti tecnici svolti nel corso del giudizio dal CTU ed anche anteriormente, avevano dato esiti non sempre coincidenti, dimostrando l’impossibilità di individuare con certezza il piano di campagna della proprietà Bolis esistente
all’epoca della costruzione del fabbricato (1953) e della successiva sopraelevazione, con la conseguenza che gli originari attori non avevano potuto fornire prova della dedotta violazione della misura massima di sopraelevazione del fabbricato delle Bolis. Con la stessa sentenza veniva respinta la domanda risarcitoria riproposta dalle appellanti e venivano poste a carico degli appellati le spese del doppio grado di giudizio e di CTU.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME e Villa Erminia hanno proposto ricorso a questa Corte, affidandosi a cinque motivi, e COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132, comma 2° c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 348ter c.p.c. La Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello per carenza di specificità dello stesso, con la quale gli odierni ricorrenti denunciavano la mancata individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza di primo grado che le Bolis intendevano appellare e delle relative violazioni di legge.
Il primo motivo é in parte inammissibile ed in parte infondato.
Per consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, il mancato esame da parte del giudice, sollecitato dalla parte, di una questione puramente processuale, non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia
errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Cass. 20.11.2020 n. 26419; Cass. 29.1.2019 n. 2343; Cass. 28.3.2014 n. 7406).
Quanto al vizio di motivazione, parimenti lamentato col primo motivo, per violazione dell’art. 132 comma 2° cod. civ., é palesemente infondato.
La Corte d’Appello, pur riconoscendo a pagina 5 che i motivi di doglianza non erano stati esposti dalle appellanti in separati capitoli, ha ritenuto che sulla base dell’esame complessivo dell’atto d’impugnazione fosse possibile individuare tre censure, la prima relativa all’operato del CTU ed alla sua valutazione (in particolare, come desumibile dalla motivazione successiva, le appellanti avevano lamentato che il Tribunale aveva tenuto conto solo della relazione del 15.11.2003 e non dei due supplementi di CTU successivi, che avevano evidenziato l’impossibilità di risalire con certezza all’originario piano di campagna e quindi al computo dell’altezza del fabbricato delle appellanti sopraelevato, e neppure degli ulteriori accertamenti tecnici eseguiti nel contraddittorio delle parti, di segno contrario, sempre relativi all’altezza del fabbricato sopraelevato), la seconda relativa alla violazione dell’art. 112 c.p.c. per la mancata pronuncia in ordine alla loro domanda di demolizione della tettoia dei COGNOME–COGNOME che era stata rimossa in corso di causa, ed alla connessa pretesa risarcitoria delle Bolis, e la terza relativa al governo delle spese processuali e di CTU.
Il giudice di secondo grado, ha in tal modo motivatamente disatteso, l’eccezione di inammissibilità dell’appello, pur non respingendola espressamente, e proprio in forza delle censure relative alla valutazione della CTU mosse dalle appellanti, ha riformato la sentenza del Tribunale di Bergamo, che aveva condannato le Bolis a ridurre la sopraelevazione del loro fabbricato da m 9,66 fino all’altezza massima consentita, dall’art. 44 delle NTA del Comune di Sotto il INDIRIZZO, di m 9,50,
trattandosi di manufatto edilizio ubicato a meno dei cinque metri dal confine prescritti per la zona B1 dall’art. 29 delle NTA di quel Comune, per cui la motivazione dell’impugnata sentenza sull’eccezione d’inammissibilità che era stata sollevata, non può ritenersi inesistente, meramente apparente, o contraddittoria od illogica al punto da non consentire di comprendere le ragioni della decisione adottata.
E’ sufficiente, infatti, richiamare, in punto di specificità dell’appello, l’insegnamento della sentenza n. 27199 del 16.11.2017 delle sezioni unite di questa Corte, secondo la quale ‘ l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di ‘revisio prioris instantiae’ del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata ‘.
Con la seconda censura si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., 101, 183, comma 4°, 112 e 132, comma 2° c.p.c. e 873 cod. civ. Il Giudice di secondo grado avrebbe rilevato d’ufficio, senza sottoporla preventivamente al contraddittorio delle parti, una questione ‘mista’ di fatto e di diritto, statuendo che, nell’ipotesi di violazione della normativa locale ravvisata dal primo giudice, ritenuta non integrativa del codice civile, il privato poteva chiedere soltanto al risarcimento dei danni e non, di converso, la riduzione in pristino.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello abbia rilevato d’ufficio una questione (quella della natura non integrativa delle norme codicistiche sulle distanze tra costruzioni e
del conseguente difetto del diritto di chiedere la riduzione in pristino in caso di violazione, dell’art. 44 delle NTA del Comune di Sotto il Monte Giovanni INDIRIZZO), mista di fatto e di diritto, senza sottoporla al preventivo contraddittorio delle parti, come sarebbe stato necessario perché le appellanti si erano limitate, nell’impugnazione, a contestare il diritto della controparte alla riduzione in pristino in riferimento all’impossibilità di accertare l’altezza del loro fabbricato sopraelevato, in tal modo asseritamente incorrendo in un’ipotesi di nullità della sentenza per violazione del loro diritto di difesa, e nel contempo lamentano che il giudice di secondo grado abbia errato nel considerare l’art. 44 delle NTA sopra indicato, come mera norma relativa all’altezza del fabbricato Bolis, dettata solo a tutela di interessi generali urbanistici, anziché come norma comunque correlata ad una distanza tra fabbricati, in quanto tale integrativa delle norme del codice civile e legittimante, in caso di violazione, la riduzione in pristino ex artt. 872 2° comma ed 873 cod. civ..
La doglianza relativa alla violazione dell’art. 101 comma 2° c.p.c. é infondata, in quanto pur essendo stato introdotto il giudizio in primo grado prima dell’entrata in vigore di tale norma, espressiva comunque di un precedente orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la questione di fatto relativa alla misurazione dell’altezza del fabbricato delle appellanti, ed alla sua distanza dal confine, era stata dalle stesse riproposta in secondo grado, con la censura relativa alla CTU ed alla sua valutazione da parte del Tribunale di Bergamo, ed era stata ampiamente dibattuta dalle parti anche con l’ausilio di consulenti tecnici.
Ne deriva che la Corte d’Appello nell’affermare, all’inizio della sua motivazione, che la norma tecnica di attuazione locale ritenuta violata dal Tribunale di Bergamo (art. 44 delle NTA del Comune di Sotto il Monte INDIRIZZO), era relativa solo all’altezza del fabbricato COGNOME, e quindi ad un interesse generale urbanistico, per
il quale non era consentita la riduzione in pristino, prevista solo per la violazione delle distanze tra edifici, ha d’ufficio rilevato una mera questione di diritto connessa alle questioni di fatto riproposte dalle appellanti, che non era tenuta a sottoporre al preventivo contraddittorio delle parti.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ‘ l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, stabilito dall’art. 101, comma 2, c.p.c., non riguarda le questioni di solo diritto, ma quelle di fatto, ovvero quelle miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale probatorio, bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti, ovvero un’attività assertiva in punto di fatto e non già mere difese’ (Cass. 5.5.2021 n. 11724; Cass. ord. 6.7.2022 n.21439; Cass. n. 16049/2018; Cass. n. 15037/2018).
Quanto alla seconda censura del secondo motivo, l’art. 44 delle NTA del Comune di Sotto il INDIRIZZO, che é collegato all’art. 29 delle stesse NTA, che fissa in cinque metri la distanza minima degli edifici dal confine, stabilisce per gli edifici, che come quello dei Bolis, si trovino ad una distanza dal confine inferiore ai cinque metri, che la loro sopraelevazione possa essere effettuata alla duplice condizione che la stessa non possa essere compiuta rispettando la distanza di cinque metri dal confine e che comunque l’altezza massima del fabbricato sopraelevato non superi m 9,50. Non si tratta quindi di una norma locale relativa all’altezza massima del fabbricato, da considerare isolatamente come posta a tutela solo dell’interesse generale urbanistico, e la cui violazione legittimi solo il risarcimento del danno, bensì di una norma locale integrativa di quelle del codice civile sulle distanze tra costruzioni (in questo caso la distanza tra la sopraelevazione ed il confine, che può essere inferiore ai cinque metri prescritti dall’art. 29 delle NTA solo quando ricorrano le due condizioni sopra indicate), la cui violazione legittima la richiesta del confinante ex artt. 872 2° comma ed 873
cod. civ. anche di riduzione in pristino, e non solo di risarcimento danni.
In proposito questa Corte ha infatti stabilito che ‘ in tema di distanze legali, in caso di violazione delle norme del regolamento edilizio locale disciplinanti solo l’altezza, in sé, degli edifici, ossia senza considerare la distanza intercorrente tra gli stessi, il privato ha diritto solo al risarcimento dei danni e non anche alla riduzione in pristino del manufatto, trattandosi di disposizioni che hanno quale scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, sicché, quanto agli interessi dei privati, resta preservato il solo valore economico delle proprietà viciniori’ (Cass. ord. 17.9.2024 n.179; Cass. ord. 21.2.2019 n. 5142; Cass. 18.5.2016 n. 10264; Cass. 16.1.2009 n. 1073).
La fondatezza di tale censura, che impone la correzione in diritto ex art. 384 ultimo comma c.p.c. della motivazione sul punto dell’impugnata sentenza, non può però condurre all’auspicata cassazione con rinvio della decisione adottata dal giudice di secondo grado, che in realtà si é fondata primieramente (vedi pagine 7- 12) sulla motivazione che l’originaria parte attrice, che aveva lamentato la violazione della distanza legale per il superamento dell’altezza massima di m 9,50 da parte del fabbricato Bolis sopraelevato, non ha assolto l’onere probatorio a suo carico circa il superamento di quell’altezza, dato che l’accertamento di tale altezza logicamente precede la decisione relativa all’accertamento della sua violazione ed alla qualificazione della norma locale come integrativa, o non integrativa delle norme codicistiche sulle distanze tra costruzioni, o di esse dal confine. La sentenza impugnata, infatti, sulla base dell’approfondito esame compiuto, non solo della relazione del 2003 del CTU, ma anche dei due successivi supplementi dell’ausiliario, e degli altri accertamenti tecnici in contraddittorio acquisiti agli atti, ha accertato che il piano di campagna della proprietà Bolis, a lato della INDIRIZZO
che é in pendenza, ha subito nel tempo diverse modificazioni, che non hanno consentito di accertare con esattezza l’altezza del fabbricato Bolis sopraelevato (l’altezza di esso sarebbe di ml 8,85 dalla quota di calpestio del primo solaio considerata in sede di rilascio della concessione edilizia del fabbricato del 1953, di ml 9,07 partendo dal piano di campagna della proprietà COGNOME, e di ml 11 dal piano di accesso ai box dell’originaria parte attrice), e tale motivazione resiste agli altri motivi di ricorso fatti valere.
Con la terza doglianza i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132, comma 2° c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché la violazione o falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ.. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda subordinata articolata dagli appellati, ritenendo non provata, dagli attori in primo grado, la violazione delle distanze in relazione all’altezza, omettendo di considerare la possibilità di realizzare la sopraelevazione adeguandosi alle N.T.A. del P.R.G. e rispettando quindi la distanza di cinque metri dal confine prevista dalla normativa locale; tale ultima circostanza avrebbe confermato l’illegittimità del manufatto, indipendentemente dall’altezza, in quanto edificato a distanza dal confine inferiore a quella regolamentare e, conseguentemente, avrebbe portato all’accoglimento della domanda di riduzione in pristino.
Il terzo motivo, col quale si lamenta in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omessa considerazione da parte della Corte d’Appello della possibilità di realizzare il sopralzo del fabbricato Bolis adeguandosi alle NTA del Comune di Sotto il Monte INDIRIZZO, ed in particolare rispettando la distanza dal confine di cinque metri stabilita dall’art. 29 delle NTA, come era stato richiesto dai ricorrenti nella comparsa di costituzione in appello, domandando anche sotto questo profilo la riduzione del fabbricato Bolis
all’altezza di m 9,50, é inammissibile. L’art. 360 comma primo n.5) c.p.c. può essere infatti invocato per l’omessa considerazione di un fatto storico principale, o secondario, e non di una semplice possibilità alternativa a quella ritenuta dalla sentenza impugnata, che non é un fatto storico.
La giurisprudenza di questa Corte ha infatti evidenziato che ‘ nel caso in cui nel ricorso per cassazione venga prospettato un vizio di motivazione della sentenza, il ricorrente -a fronte di una denunziata insufficiente spiegazione logica relativa all’apprezzamento, operato dal giudice di merito, dei fatti della controversia o delle prove – non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa – pur se essa sia supportata dalla possibilità o dalla probabilità di corrispondenza alla realtà fattuale – essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile, atteso che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n.5 c.p.c., dovendo incidere su un fatto «decisivo del giudizio», legittima il ricorso per cassazione unicamente per vizi di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione e non certo per consentire alla Suprema Corte, quale giudice di sola legittimità, di scegliere sulla base di criteri possibilistici o probabilistici tra due prospettazioni, ambedue logiche ma nello stesso tempo alternative ‘ (Cass. sez. lav. 9.1.2009 n. 261; Cass. 12.2.2008 n. 3267).
Va aggiunto che, comunque, la dedotta possibilità di realizzare il sopralzo del fabbricato COGNOME alla distanza di cinque metri dal confine non era neppure una circostanza decisiva, posto che la Corte d’Appello ha ritenuto non dimostrata da parte attrice la lamentata violazione dell’altezza massima di m 9,50 del fabbricato Bolis, e posto che la prodotta sentenza del TAR Lombardia n.1406/2003, passata in giudicato, aveva sì ritenuto tardiva l’impugnazione proposta dai COGNOME contro la concessione edilizia n. 83/94 rilasciata dal Comune di Sotto il INDIRIZZO per
la sopraelevazione del fabbricato Bolis, ma aveva altresì respinto nel merito le impugnazioni dei Locatelli avverso la concessione in sanatoria n. 53/96 rilasciata per il sopralzo realizzato dal suddetto Comune alle Bolis ex art. 12 comma 2 della L. n. 47/1985, ed avverso il diniego da parte del Sindaco in sede di autotutela dell’annullamento della concessione in sanatoria (provvedimento n.1741/96), per difetto di interesse pubblico e per l’impossibilità di eliminare il sopralzo senza intaccare la struttura in legno del fabbricato sopraelevato, sicché non sarebbe stata possibile una disapplicazione della concessione in sanatoria da parte del giudice civile ordinario in contrasto col giudicato del giudice amministrativo.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ‘ il giudice ordinario non può esercitare il potere di disapplicazione di un atto amministrativo presupposto quando la legittimità del provvedimento stesso sia stata accertata, “inter partes”” e con autorità di giudicato, dal giudice amministrativo competente’ (vedi Cass. sez. un. 13.11.2019 n. 29467; Cass. 2.4.2015 n. 6788).
4) Con la quarta censura si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 132 comma 2° c.p.c., 2697 cod. civ., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte territoriale si sarebbe discostata dalle conclusioni del CTU senza adeguatamente argomentare sul punto, erroneamente interpretando il contenuto delle integrazioni alla relazione del 2003 come ripensamento rispetto alle conclusioni precedentemente formulate. In tal modo, la Corte distrettuale avrebbe omesso di esaminare l’effettiva altezza della sopraelevazione delle Bolis, statuendo l’impossibilità di un suo esatto accertamento.
Il quarto motivo, col quale i ricorrenti contestano l’impugnata sentenza, per avere ritenuto che non fosse possibile individuare, con certezza, l’entità della sopraelevazione del fabbricato Bolis, in
un contesto in cui vi erano state numerose variazioni del piano di campagna, non accertabili in modo sicuro, sulla base dei molteplici e contrastanti accertamenti tecnici compiuti, é inammissibile, perché volto ad ottenere un nuovo giudizio di fatto in sede di legittimità, allo scopo di vedere ristabilito l’accertamento dell’altezza del fabbricato Bolis sopraelevato in m 9,84, ridotti per l’altezza media di un marciapiede (18 cm) a m 9,66, come era stato ritenuto dal Tribunale di Bergamo, basandosi solo sulla relazione del CTU del 2003, senza tener conto dei due supplementi di CTU successivi e degli altri accertamenti tecnici effettuati tra le parti anche in precedenza.
In tema di ricorso per cassazione, infatti, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (vedi Cass. 23.10.2018 n.26769; Cass. sez. un. 5.8.2016 n. 16598).
Nella specie la Corte d’Appello, ha correttamente applicato, il principio per cui, in tema di distanze legali, é il proprietario che lamenti la violazione delle distanze legali a causa della realizzazione di un’opera edilizia su un fondo limitrofo, che risulta gravato dall’onere di provare sia l’avvenuta costruzione, sia la dedotta
violazione della normativa applicabile (vedi Cass. 6.6.2022 n.1802).
5) Col quinto motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 132 comma 2°, 324 c.p.c., 2697 e 2909 cod. civ., nonché dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il Giudice di secondo grado avrebbe omesso di considerare il giudicato esterno formatosi sulla sentenza n. 1406/2003, resa anche inter partes dal T.A.R. Lombardia, con cui era stata accertata la legittimità della concessione edilizia in sanatoria rilasciata alle Bolis per l’edificazione di un fabbricato di altezza superiore a quella prevista per la zona in cui ricade la loro proprietà. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto carente la prova della violazione delle distanze, malgrado la sussistenza in atti di un’istanza di sanatoria delle Bolis, la cui presentazione avrebbe avuto effetto confessorio.
L’ultimo motivo, é infondato nella parte in cui, pretende di attribuire efficacia confessoria alla domanda di concessione in sanatoria inviata dalle Bolis al Comune di Sotto il INDIRIZZO, che viceversa non essendo indirizzata ai ricorrenti, non può avere il valore di una confessione stragiudiziale, e poteva solo essere valutata come elemento di prova, privo di efficacia legale vincolante, ai sensi dell’art. 2735 cod. civ., per cui legittimamente la Corte d’Appello, nell’esercizio del libero convincimento, ha considerato prevalenti rispetto ai fatti riportati nella domanda di concessione in sanatoria, gli esiti dei molteplici accertamenti tecnici compiuti, deponenti per l’impossibilità di stabilire in misura certa l’altezza del fabbricato sopraelevato dai Bolis.
Richiamato quanto già esposto sulle lamentate violazioni degli articoli 2697 cod. civ., 115 e 116 c.p.c., va detto che é inammissibile per difetto di specificità la doglianza relativa alla violazione del giudicato di cui alla sentenza del TAR Lombardia
n.1406/2003, che ha ritenuto tardiva l’impugnazione proposta dai Locatelli contro la concessione edilizia n. 83/94 rilasciata dal Comune di Sotto il INDIRIZZO per la sopraelevazione del fabbricato Bolis, ed ha altresì respinto nel merito le impugnazioni dei Locatelli avverso la concessione in sanatoria n. 53/96 rilasciata per il sopralzo realizzato dal suddetto Comune ai Bolis ex art. 12 comma 2 della L. n. 47/1985, ed avverso il diniego da parte del Sindaco dell’annullamento in sede di autotutela della concessione in sanatoria (provvedimento n. 1741/96) per difetto di interesse pubblico e per l’impossibilità di eliminare il sopralzo senza intaccare la struttura in legno del preesistente fabbricato sopraelevato, non essendo stato indicato sotto quale profilo la Corte d’Appello di Brescia non si sarebbe conformata a quanto statuito dal giudice amministrativo.
Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti in solido.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese vive ed €5.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 27.3.2025