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Distanze legali costruzioni: onere della prova

Un proprietario ha citato in giudizio un vicino per una sopraelevazione che avrebbe violato le distanze legali costruzioni e l’altezza massima. La Corte d’Appello ha respinto la domanda per mancanza di prove certe sulla violazione, data l’impossibilità di stabilire l’originario livello del terreno. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, ribadendo che l’onere della prova della violazione grava interamente su chi promuove la causa. L’incertezza probatoria determina il rigetto della domanda.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Distanze legali costruzioni: a chi spetta l’onere della prova?

La questione delle distanze legali costruzioni è una fonte costante di contenzioso tra proprietari confinanti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in questa materia: l’onere della prova. Spetta a chi lamenta la violazione dimostrare, senza ombra di dubbio, che l’opera del vicino non rispetta le norme. Se questa prova è incerta, la domanda deve essere respinta. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I fatti del caso: Una sopraelevazione contesa tra vicini

La vicenda ha origine dalla decisione di un proprietario di realizzare una sopraelevazione sul proprio immobile. I vicini, ritenendo che tale intervento violasse sia la disciplina sulle distanze legali sia l’altezza massima consentita dal regolamento edilizio locale, hanno avviato un’azione legale chiedendo la demolizione dell’opera o, in subordine, un risarcimento del danno.
La controversia si è rivelata fin da subito complessa. I proprietari convenuti non solo hanno resistito alla domanda, ma hanno anche avanzato a loro volta pretese, contestando presunte irregolarità nelle proprietà degli attori.

La decisione dei giudici di merito

Il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto la domanda degli attori, accertando un lieve superamento dell’altezza massima consentita (9,66 metri contro i 9,50 previsti) e condannando i convenuti alla riduzione in pristino.
Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato completamente la decisione. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che gli attori non fossero riusciti a fornire la prova certa e inequivocabile della violazione. Il problema principale risiedeva nell’impossibilità di determinare con esattezza il “piano di campagna” originario, ovvero il livello del terreno prima delle costruzioni, a causa di numerose modifiche avvenute nel tempo. Le diverse consulenze tecniche (CTU) effettuate nel corso degli anni avevano fornito risultati contrastanti, rendendo impossibile stabilire se l’altezza massima fosse stata effettivamente superata. Di conseguenza, in assenza di una prova certa, la domanda è stata respinta.

Distanze legali costruzioni: Le motivazioni della Cassazione

Investita del caso, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, rigettando il ricorso dei proprietari originari. La Suprema Corte ha colto l’occasione per chiarire alcuni punti cruciali in materia di distanze legali costruzioni e onere della prova.

Onere della prova: il cuore della decisione

Il principio cardine su cui si fonda la sentenza è quello dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 del codice civile. La Cassazione ha affermato che spetta interamente alla parte che agisce in giudizio, ovvero a chi lamenta la violazione, fornire la prova rigorosa dei fatti posti a fondamento della propria domanda.
Nel caso specifico, gli attori avrebbero dovuto dimostrare non solo l’avvenuta costruzione della sopraelevazione, ma anche la sua precisa non conformità alle norme locali. Poiché le perizie tecniche si sono rivelate contraddittorie e non hanno permesso di stabilire con certezza l’altezza effettiva del manufatto rispetto al piano di campagna originario, la prova è venuta a mancare. La Corte ha sottolineato che il giudice non può sostituirsi alla parte nell’acquisizione della prova, e in una situazione di incertezza probatoria, la domanda non può che essere respinta.

Qualificazione della norma locale e correzione della motivazione

Un altro punto interessante toccato dalla Cassazione riguarda la natura delle norme dei regolamenti edilizi locali. La Corte d’Appello aveva ritenuto che la norma sull’altezza massima fosse posta a tutela di interessi solo pubblicistici (urbanistici) e che la sua violazione potesse dar luogo solo a un risarcimento del danno, non alla demolizione.
Su questo punto, la Cassazione ha corretto la motivazione della sentenza d’appello (senza però cambiarne l’esito). Ha chiarito che la norma locale in questione, essendo collegata a una prescrizione sulle distanze dal confine, doveva considerarsi “integrativa” delle norme del codice civile. Di conseguenza, la sua violazione avrebbe potuto, in linea di principio, legittimare una richiesta di riduzione in pristino. Tuttavia, questo errore di qualificazione giuridica da parte della Corte d’Appello è risultato irrilevante, poiché l’ostacolo insormontabile rimaneva la mancata prova della violazione stessa. L’accertamento del fatto (il superamento dell’altezza) è logicamente prioritario rispetto alla qualificazione della norma violata.

Conclusioni: Implicazioni pratiche della sentenza

La decisione in esame offre importanti spunti pratici. Chiunque intenda avviare una causa per violazione delle distanze legali o delle altezze massime deve essere consapevole della necessità di munirsi di prove tecniche solide, precise e inconfutabili. L’incertezza, anche se minima, gioca a sfavore di chi agisce. È fondamentale, quindi, affidarsi a consulenti tecnici esperti in grado di ricostruire lo stato dei luoghi e di fornire misurazioni attendibili, soprattutto in contesti dove il piano di campagna potrebbe essere stato alterato nel tempo. In assenza di una prova “granitica”, il rischio di vedere la propria domanda respinta, con conseguente addebito delle spese legali, è estremamente elevato.

Chi deve provare la violazione delle distanze legali tra costruzioni?
Secondo la sentenza, l’onere della prova spetta interamente a chi agisce in giudizio per lamentare la violazione. Questa parte deve dimostrare in modo certo e inequivocabile i fatti che costituiscono l’infrazione, come il superamento dell’altezza massima o il mancato rispetto della distanza minima.

Cosa succede se è impossibile accertare con certezza la violazione di un’altezza massima?
Se, a causa di elementi oggettivi come la difficoltà di stabilire l’originario piano di campagna, le prove tecniche risultano incerte o contraddittorie, la domanda deve essere respinta. L’impossibilità di provare con certezza la violazione determina il rigetto della pretesa di demolizione o risarcimento.

Una norma di un regolamento edilizio locale sull’altezza massima è sempre integrativa del codice civile?
Non sempre, ma lo è quando la norma sull’altezza è funzionalmente collegata a quella sulle distanze tra costruzioni o dai confini. In tal caso, la norma locale è considerata “integrativa” del codice civile, e la sua violazione può dare diritto non solo al risarcimento del danno ma anche alla riduzione in pristino (demolizione).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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