Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21991 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21991 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20385/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOMEricorrente- contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti- nonché
COGNOME già rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
nonchè
COGNOME e COGNOME
-intimate- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1136/2020 depositata il 13/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato da NOME COGNOME un terreno posto a confine con la proprietà di NOME COGNOME; la società aveva realizzato sul terreno acquistato un fabbricato in base alla concessione edilizia n.186/2002.
NOME COGNOME aveva adito il Tribunale di Nola convenendo in giudizio sia RAGIONE_SOCIALE sia NOME COGNOME e chiedendo che il nuovo fabbricato, realizzato in violazione delle distanze legali dall’immobile di sua proprietà e dal confine, fosse arretrato fino a situarsi a norma.
Entrambi i convenuti si erano costituiti: NOME COGNOME osservò di aver venduto il terreno prima dell’edificazione e RAGIONE_SOCIALE contest ò le asserite violazioni.
Il Tribunale di Nola aveva accolto parzialmente la domanda, con condanna di RAGIONE_SOCIALE ad arretrare l’immobile di nuova edificazione fino al rispetto per l’intero fabbricato della distanza di 1,5 m. dal confine con la proprietà attorea.
Contro la sentenza di primo grado avevano proposto appello gli eredi dell’originaria attrice NOME COGNOME, deceduta in corso di causa, cioè sia NOME COGNOME (in INDIRIZZO) che NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME (in via incidentale); anche RAGIONE_SOCIALE aveva spiegato appello incidentale, mentre NOME COGNOME, altra erede dell’attrice, era rimasta contumace
La Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 1136/2020 aveva accolto gli appelli degli eredi NOME e respinto integralmente l’appello incidentale della società convenuta con la seguente motivazione (che si sintetizza per quanto qui ancora interessa):
-è infondata la doglianza della società in ordine alla carenza di giurisdizione del Giudice Ordinario, essendo la controversia tra proprietari di fabbricati vicini e avendo essa ad oggetto questioni di rispetto delle distanze tra costruzioni e dai confini;
-nel merito, il perno della vertenza è l’individuazione della norma in concreto applicabile: ‘ occorre cioè verificare se la delibera n.508 adottata il 23.12.1989 dal Consiglio Comunale di Acerra, applicata per circa 15 anni per la quasi totalità degli immobili edificati nella zona di riferimento (cfr. pag.13 della consulenza tecnica d’ufficio) legittimamente deroga alle regole dettate dal Piano particolareggiato e dal DM n.1444/1968 ‘;
-l’immobile edificato da RAGIONE_SOCIALE è collocato a ridosso della proprietà Cannavacciuolo ed è posto a metri 1,50 dal confine quanto alla parte direttamente frontistante il preesistente edificio delle controparti (distante complessivamente metri tre), mentre per il tratto successivo è in aderenza al muro preesistente, definito dal CTU come avente anche una funzione di sostegno e di contenimento;
-l’area sulla quale RAGIONE_SOCIALE ha edificato ricade nella zona omogenea C4 del Piano Particolareggiato del Comune di Acerra e l’art.8 delle NTA prevede per le costruzioni una distanza di otto metri da fabbricati preesistenti e di quattro dal confine;
-la delibera del Comune di Acerra, n.508/89, contiene norme integrative sulle distanze legali rispetto al Piano Particolareggiato del febbraio 1987, consentendo la costruzione in aderenza e prevedendo che per i lotti contigui a quelli edificati sotto la vigenza delle distanze legali previste dal codice civile, la nuova costruzione possa realizzarsi derogando le misure minime previste dal Piano Particolareggiato (quattro metri dal confine e otto metri dal fabbricato antistante), distaccandosi dal confine in misura pari almeno al distacco dallo stesso del fabbricato preesistente, per tutta l’altezza di questo (per la parte in sopraelevazione ritornavano vigenti le distanze del Piano);
-il DM n.1444/68, art.9, prevede invece una distanza dalle pareti finestrate dell’edificio preesistente sul fondo confinante pari ad almeno dieci metri (se il preveniente ha rispettato la distanza minima di cinque metri dal confine); i Comuni possono modificare la distanza indicata, ma solo in aumento, mentre la previsione di eventuali distanze inferiori sarebbe illegittima; detto decreto non vincola solo la Pubblica Amministrazione ma è applicabile immediatamente anche ai rapporti tra privati, divenendo parte integrante dello strumento urbanistico, in sostituzione della norma illegittima che va disapplicata;
-nel caso di specie, le pareti dei due fabbricati che si fronteggiano sono finestrate, con la conseguenza che la porzione di fabbricato realizzata da RAGIONE_SOCIALE a fronte della costruzione preesistente dovrà essere arretrata a cinque metri dal confine; -per la porzione di fabbricato realizzata in aderenza al preesistente muro di confine non trova applicazione l’art.9 DM 1444/68, ma deve essere valutato se si doveva fare riferimento a quanto disposto dall’art.8 NTA del Piano Particolareggiato di Acerra (che esclude costruzioni in aderenza ma richiede una distanza di almeno quattro metri dal confine) oppure a quanto disposto dalla delibera 508/89 (e, in caso di applicazione della delibera, sarebbe necessario accertare se sia configurabile la sussistenza di una costruzione sul confine, legittimante la costruzione in aderenza); quest’ultima delibera risulta essere stata formata senza il rispetto della procedura prevista e comunque essa non poteva incidere in modo sostanziale sulle prescrizioni del Piano Particolareggiato stravolgendo le regole disciplinanti l’assetto del territorio con esso previste; quindi andavano rispettate le prescrizioni dell’art.8 NTA del Piano e, di conseguenza, è del tutto irrilevante stabilire se il muro fosse di cinta oppure se fosse costruzione, perché il fabbricato per tutta la parte in aderenza deve essere arretrato di quattro metri dal confine.
Contro la sentenza della Corte d’Appello di Napoli propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a tre motivi.
Resistono NOMECOGNOME NOME NOME e NOME COGNOME e, con separato controricorso anche NOME COGNOME mentre NOME e NOME COGNOME sono rimaste intimate.
La ricorrente e i COGNOME hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso proposto la ricorrente , riproponendo l’eccezione di difetto di giurisdizione, lamenta ‘ Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione degli art.103 co 1 e 113 Costituzione della Repubblica: vi è violazione e/o mancata applicazione dell’art.132 co 2 n.4 c.p.c.; vi è difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario ‘ .
Ritiene il Collegio che r icorre nel caso di specie l’ipotesi disciplinata dall’art.374 co 1 c.p.c., per cui si giustifica la decisione da parte della sezione semplice del motivo sulla giurisdizione, che è ictu oculi infondato.
Sono numerose, infatti le pronunce delle Sezioni Unite che, in modo uniforme, hanno già affermato il principio secondo cui ‘ Le controversie tra proprietari di fabbricati vicini relative all’osservanza di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che rilevi l’avvenuto rilascio del titolo abilitativo all’attività costruttiva, la cui legittimità potrà essere valutata “incidenter tantum” dal giudice ordinario attraverso l’esercizio del potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo, salvo che la domanda risarcitoria non sia diretta anche nei confronti della P.A. (nella specie, il Comune) per far valere l’illegittimità dell’attività provvedimentale, sussistendo in questo caso la giurisdizione del giudice amministrativo ‘ -in tal senso Cass. a SSUU n.13673/2014, alla quale sono conformi Cass. SSUU n.18571/2016, Cass. SSUU n.33364/2018; cfr. anche Cass. SSUU n.18499/2020 e Cass. SSUU n.9448/2024.
Nel caso di specie la controversia è tra privati ed è relativa al rispetto delle distanze legali tra costruzioni e dal confine.
Con il secondo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE si duole della ‘ violazione e/o erronea, falsa, applicazione degli art.873 e s. c.c.: vi è violazione ed erronea applicazione degli art.115 e 116 c.p.c .’
La Corte di merito, a suo dire, non avrebbe considerato, violando il disposto degli art.115 e 116 c.p.c., che la legittimità della concessione edilizia sarebbe stata ormai definitivamente accertata dal Giudice Amministrativo; che anche la delibera n.508/89 sarebbe pienamente legittima perchè non annullata dallo stesso Giudice; che inoltre RAGIONE_SOCIALE avrebbe provato la preesistenza fino al giugno 2002 di una serie di costruzioni a confine, in forma di struttura unitaria, collegate e affiancate in continuità ad un fabbricato-palazzo esistente sulla proprietà De
NOME/COGNOME, più alto quest’ultimo del fabbricato realizzato dalla società ricorrente.
Sempre nell’ambito del motivo di ricorso in esame la ricorrente lamenta che l’inadeguata valutazione della legittimità della concessione edilizia n.186/2002 e della delibera n.508/1989 avrebbe comportato una erronea valutazione del complesso degli elementi istruttori acquisiti agli atti da parte, da ultimo, della Corte d’Appello, tale da determinare la violazione degli art.115 e 116 c.p.c.; Ulteriore profilo di violazione delle norme richiamate sarebbe rappresentato, secondo la società ricorrente, dal fatto che sarebbe stata provata e non adeguatamente valorizzata la preesistenza, sulla proprietà degli eredi di NOME COGNOME e lungo il confine con la attuale proprietà della ricorrente, al momento della richiesta e del rilascio della concessione edilizia e dell’inizio della costruzione dell’immobile da parte di RAGIONE_SOCIALE, ‘ di una serie continua di fabbriche di altezza superiore a mt.3,00 dal livello di campagna (cfr. rilievo piano altimetrico effettuato con strumentazione elettronica, che parte convenuta ha prodotto) e di larghezza di mt.1,50 ‘, alle quali era collegato ed affiancato a confine ‘ un corpo di fabbrica alto mt.11 per una lunghezza inferiore alle stesse fabbriche ‘; se la situazione di fatto descritta fosse stata adeguatamente valorizzata se ne sarebbe dovuta necessariamente desumere la legittimità della costruzione in aderenza realizzata da RAGIONE_SOCIALE, perché avrebbe dovuto essere considerato illegittimo l’abbattimento delle fabbriche a confine collegate al corpo di fabbrica alto undici metri durante e dopo la realizzazione della costruzione di RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è infondato sotto ogni profilo in cui si articola.
Innanzitutto, quanto alla dedotta violazione degli art.115 c.p.c. e 116 c.p.c , le SSUU con la sentenza n.20867/2020 affermato quanto segue: ‘ In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’; ‘ In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la
prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione ‘.
Nel caso in esame, il suindicato vizio non si ravvisa: la Corte di merito ha effettuato una verifica del materiale probatorio acquisito agli atti dandone conto con una motivazione logicamente sviluppata e priva di contraddizioni intrinseche, senza utilizzo di acquisizioni probatorie officiose al di fuori dei poteri in tal senso attribuiti dalle norme e senza attribuzione agli elementi istruttori utilizzati di una valenza probatoria diversa da quella loro tecnicamente riconoscibile.
La censura insomma mira a rimettere più propriamente in discussione l’attività interpretativa e valutativa operata dalla Corte d’Appello nell’ambito del legittimo esercizio dei poteri meritali che le sono propri e a riproporre ancora come unica corretta un’interpretazione a sé favorevole del materiale probatorio acquisito, contrastante con quella effettuata dalla Corte d’Appello: in sostanza si sollecita questa Corte ad un riesame del merito della controversia, precluso in questa sede di legittimità.
Non è rilevante nel presente giudizio che l ‘indagine sulla legittimità della concessione edilizia ottenuta da RAGIONE_SOCIALE per l’edificazione del fabbricato, di cui si contesta la regolarità sotto il profilo delle distanze legali, perché, in ogni caso, ‘ La pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di legittimità dell’esercizio del potere da parte della P.A. ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicché non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprietà determinata dalla violazione della normativa in tema di distanze legali, che è posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato ‘ (cfr. tra le varie, cass. n.9869/2015).
E ancora: le ‘ Le norme relative alle distanze tra costruzioni previste dall’art. 873 c.c. e dai regolamenti locali devono essere tenute distinte dalle regole di edilizia contenute in leggi speciali e nei regolamenti comunali (artt. 871 e 872 c.c.) poiché, in caso di loro violazione, esclusivamente le prime, che incidono sui rapporti di vicinato, consentono al privato l’esercizio delle azioni di riduzione in pristino e di risarcimento del danno, mentre le seconde, essendo dirette al soddisfacimento di interessi di ordine generale, ne limitano la tutela alla sola azione risarcitoria. Pertanto, da un lato, la regolarità urbanistica del fabbricato non rileva
ai fini della proposizione dell’azione ripristinatoria atteso che, in ipotesi di mancato rispetto delle distanze, il provvedimento autorizzatorio può essere disapplicato dal giudice ordinario, previo accertamento incidentale della sua illegittimità, dall’altro, se le distanze sono state osservate, il vicino non ha diritto di chiedere la riduzione in pristino anche se l’immobile è abusivo ‘ .
Considerazioni analoghe a quelle svolte per la concessione edilizia valgono anche in relazione alla significatività, in questa sede, della prospettata legittimità amministrativa della delibera del Consiglio Comunale di Acerra n.508/1989: la ricorrente nemmeno argomenta specificamente e documenta come la delibera sia stata in concreto positivamente esaminata dal Giudice Amministrativo (il giudizio amministrativo risulta essere stato dichiarato perento, come documentato dalla stessa RAGIONE_SOCIALE) e rispetto alla sua valenza nel presente giudizio civile valgono comunque le considerazioni sopra svolte sull’oggetto di esso, relativo a diritti soggettivi, e sul potere del Giudice Ordinario di verificare in via incidentale l’efficacia e la legittimità dell’atto in relazione alla controversia tra privati sub iudice -esclusa la valenza dirimente della delibera in quanto provvedimento amministrativo in tesi definitivamente legittimo, prospettata dalla ricorrente, il suo rilievo nella presente controversia sarà oggetto del terzo motivo di ricorso, che la riguarda direttamente
Con il terzo motivo RAGIONE_SOCIALE lamenta la ‘ violazione ed erronea applicazione degli art.873 e s. 878 c.c. e dell’art. 9 del DM n.1444/68 ‘
Al contrario di quanto ritenuto dalla Corte di merito, secondo la ricorrente non sarebbe stato violato l’art.8 NTA del Piano Particolareggiato, perché legittimamente il Comune aveva apportato al Piano Particolareggiato le modifiche di cui alla delibera n.508/89, integrandone le norme quanto alle distanze legali; la legittimità della costruzione in aderenza deriverebbe dal fatto che vi erano corpi di fabbrica lungo il confine di altezza superiore a metri tre e che comunque il muro di cui si discute sarebbe da definire come muro di fabbrica e non come muro di cinta; la delibera n.508/89 sarebbe norma regolamentare, puntuale e marginale rispetto al Piano Particolareggiato e adottata nell’esercizio dei poteri che la legge urbanistica e il codice civile attribuiscono all’Ente territoriale; essa sarebbe stata rispettata, in concreto dall’edificazione realizzata da RAGIONE_SOCIALE in base alla concessione edilizia n.186/2002, conforme alla delibera stessa che ha costituito del resto riferimento per l’attività del Comune per ben tredici anni; risulterebbero di conseguenza rispettate le disposizioni emergenti dall’art.873 c.c., come integrato anche dal Piano Particolareggiato e dalla delibera richiamata, mentre non potrebbe invece trovare applicazione l’art.9 del DM 1444/68, perchè esso sarebbe precettivo solo per la PA e non potrebbe riguardare direttamente i rapporti tra privati. Il motivo è anch’esso infondato.
I profili sui quali RAGIONE_SOCIALE fonda, attraverso il motivo di ricorso in esame, la critica al deciso della Corte di Appello di Napoli sono sostanzialmente due: -si afferma la piena legittimità e rilevanza della delibera comunale n.508/89, in relazione alla disciplina dettata dalla quale l’edificazione operata dalla ricorrente sarebbe da considerare legittima, sia quanto al rispetto della distanza tra fabbricati, sia quanto alla costruzione effettuata in aderenza al muro di confine; -si esclude la possibilità di applicazione immediata nei rapporti tra privati del DM n.1444/68, e quindi la correttezza della pronuncia impugnata nella parte in cui, sostituendo con il DM citato le disposizioni del Piano Particolareggiato del febbraio 1987 (pur successivo al DM n.1444/68), in particolare l’art.8 NTA prevedente una distanza tra fabbricati di metri otto e dal confine di metri quattro, dispone l’arretramento a cinque metri dal confine della parte di edificio costruito nella zona omogenea C4, regolata dal Piano, fronteggiante il fabbricato presente sulla proprietà ora Cannavacciuolo; secondo la ricorrente il DM sarebbe invece immediatamente precettivo solo per la Pubblica Amministrazione, dovendosi perciò ancora una volta fare riferimento per la decisione della controversia al Piano Particolareggiato e alla delibera n.508/89, da valorizzare ai sensi dell’art.873 c.c.
Come affermato dalla Suprema Corte, ‘ In tema di distanze legali, la disciplina meno restrittiva, la cui sopravvenienza può legittimare la costruzione originariamente illecita, non può consistere in una semplice delibera del consiglio comunale, atteso che questa non è idonea, di per sé, a modificare la disciplina urbanistica, costituendo solo il primo atto di un complesso “iter” amministrativo che si conclude soltanto con l’approvazione regionale della variante del piano regolatore generale ‘ -così Cass. n.27586/2020, in termini rispetto a Cass. n.20994/2013-, questo perché ‘ Poiché le norme urbanistiche acquistano efficacia vincolante non alla data della loro adozione da parte dei competenti enti pubblici territoriali, ma solo quando, compiuto l'”iter” previsto dalla legge, vengano approvate dall’organo a ciò preposto, prima di tale approvazione, le disposizioni in esse contenute, essendo prive dell’efficacia propria delle norme giuridiche, non valgono a integrare sostitutivamente la disposizione fondamentale dettata dall’art. 873 c.c. in tema di rapporti di vicinato, con la conseguenza che, fino a detta approvazione conclusiva, tali rapporti restano regolati dalle precedenti norme locali tuttora in vigore o, in mancanza, dal codice civile o da leggi speciali, non rilevando l’obbligatoria applicazione delle misure di salvaguardia di cui agli artt. 1 della l. n. 1902 del 1952 e 3 della l. n. 675 del 1967 (che ha integrato l’art. 10 della l. n. 1150 del 1942), atteso che tali misure sono rivolte ai Sindaci ed ai Prefetti per fini di interesse pubblico e non interferiscono, quindi, sulla disciplina dei rapporti privati ‘ -così Cass. n.22374/2018; cfr. anche Cass. n.26783/2018, in motivazione; Cass.
n.16343/2020, in motivazione; Cass. n.27586/2020; Cass. n.23462/2023, in motivazione-.
In concreto, quindi, la delibera n.508/89 non poteva legittimamente modificare con effetto immediato l’art.8 NTA del Piano Particolareggiato del Comune di Acerra, per mancato compimento dell’ iter amministrativo a tal fine necessario.
L’altro aspetto in relazione al quale la Corte aveva escluso rilevanza alla delibera n.508/89, di carattere sostanziale e cioè volto ad individuare il limite entro cui essa avrebbe potuto intervenire sull’art.8 NTA del Piano Particolareggiato, rimane assorbito dalla riscontrata impossibilità di attribuire immediata valenza precettiva alla delibera stessa.
Il motivo di ricorso in esame è altresì infondato anche in relazione all’altro profilo di critica sopra evidenziato, relativo alla contestata precettività immediata del DM n.1444/1968 nei rapporti tra privati e al riferimento ad esso per integrare direttamente -per la zona omogenea C4 in esso individuatale disposizioni del Piano Particolareggiato del Comune di Acerra, adottato successivamente alla entrata in vigore del DM cit., in sostituzione della norma in contrasto con le indicazioni da esso emergenti.
E’ ormai consolidato l’orientamento interpretativo di legittimità secondo cui ‘ In tema di distanze tra fabbricati, nel regolamento locale che non preveda distanza alcuna o che preveda distanze inferiori a quelle minime prescritte per zone territoriali omogenee dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 questa inderogabile disciplina si inserisce automaticamente, con immediata operatività nei rapporti tra privati, in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all’art. 873 c.c.’ -Cass. n.15458/2016; nello stesso senso, tra le altre, Cass. n.1282/2006; Cass. n.29732/2017; Cass. n.1616/2018; Cass. n.2562/2023, alle cui motivazioni si rimanda; argomenti a sostegno della tesi esposta si desumono anche da Cass. a SSUU n.14953/2011-.
Da quanto esposto consegue che correttamente la Corte di merito ha fatto riferimento alle disposizioni dell’art.9 DM n.1444/1968 -in quanto necessariamente integrative del Piano Particolareggiato e quindi dell’art.873 c.c. – per identificare la distanza legale (metri cinque dal confine) che RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto rispettare nell’edificazione rispetto al fabbricato con pareti finestrate frontistante, e alle disposizioni del NTA del Piano Particolareggiato del Comune di Acerra, art.18, senza considerare l’incidenza della delibera n.508/89, quanto alla distanza (metri quattro) del fabbricato dal muro rispetto al quale il fabbricato era stato costruito in aderenza.
In conclusione, il ricorso deve essere integralmente respinto, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore dei controricorrenti COGNOME e della controricorrente COGNOME
La liquidazione avviene come da dispositivo tenuto conto del valore della causa e del contenuto degli atti difensivi.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente. a rimborsare le spese del giudizio di legittimità ai controricorrenti COGNOME, liquidandole in complessivi € 4.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge, e alla Ciampi, liquidandole in complessivi € 2.200,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 20.3.2025.