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Distanze legali costruzioni: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione interviene su un caso di distanze legali costruzioni. Una proprietaria aveva citato in giudizio il vicino per la trasformazione di una tettoia in un nuovo manufatto a distanza non regolamentare dal confine. La Corte d’Appello aveva dato ragione al vicino, applicando la nuova normativa sulla ristrutturazione edilizia. La Cassazione ha però cassato la sentenza, precisando che una ricostruzione può mantenere una distanza inferiore a quella legale solo se tale distanza era ‘legittimamente preesistente’, cioè conforme alle norme vigenti al momento della costruzione originaria. Il caso è stato rinviato per accertare questa fondamentale circostanza.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Distanze legali costruzioni: quando una ristrutturazione può mantenere la posizione originaria?

La questione delle distanze legali costruzioni tra proprietà confinanti è una fonte costante di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento cruciale sull’applicazione delle nuove normative in materia di ristrutturazione edilizia. La decisione sottolinea un principio fondamentale: una ristrutturazione non può sanare una violazione preesistente delle distanze se questa non era legittima in origine. Analizziamo insieme la vicenda e la pronuncia della Suprema Corte.

I fatti del caso: da tettoia a edificio contestato

La controversia nasce quando una proprietaria cita in giudizio il suo vicino, accusandolo di aver trasformato una preesistente tettoia in un vero e proprio edificio, chiudendone i lati perimetrali. Secondo l’attrice, questo intervento configurava una nuova costruzione, realizzata a una distanza dal confine inferiore ai cinque metri previsti dalla normativa locale. Chiedeva quindi la demolizione e l’arretramento del manufatto.
Il vicino si difendeva sostenendo che l’intervento fosse legittimo e che, in ogni caso, aveva acquisito per usucapione il diritto di mantenere la struttura a quella distanza, dato che le opere originarie risalivano a molti decenni prima.
Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda della proprietaria, qualificando l’intervento come una nuova costruzione e ordinando l’arretramento. La domanda di usucapione del vicino veniva rigettata.

La decisione della Corte d’Appello e le nuove norme sulla ristrutturazione

In secondo grado, la Corte d’Appello ribaltava la decisione. I giudici applicavano le modifiche introdotte al Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R. 380/2001) dalla legge n. 120/2020. Questa normativa ha ampliato la nozione di “ristrutturazione edilizia”, includendovi anche interventi di demolizione e ricostruzione con sagoma, prospetti e sedime diversi da quelli originari.
Sulla base di questa nuova definizione, la Corte d’Appello ha ritenuto che l’intervento del vicino non fosse una nuova costruzione, ma una ristrutturazione. Di conseguenza, ha concluso che la ricostruzione fosse consentita “nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti”, liberando il convenuto dall’obbligo di arretramento.

Le motivazioni della Cassazione: il principio delle distanze legali costruzioni “legittimamente” preesistenti

La proprietaria ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha accolto il suo ricorso, cassando la decisione e rinviando il caso a un nuovo esame. Il ragionamento della Suprema Corte è stato netto e chiarificatore.
I giudici di legittimità hanno spiegato che la Corte d’Appello ha interpretato in modo errato il concetto di “distanze legittimamente preesistenti”. Se è vero che la nuova legge consente ampie modifiche in fase di ristrutturazione, il mantenimento di una distanza dal confine inferiore a quella oggi prescritta è subordinato a una condizione precisa: quella distanza doveva essere conforme alla normativa vigente al momento in cui l’edificio originario è stato costruito.
Non è sufficiente, come ha fatto la Corte d’Appello, constatare che la tettoia esisteva già a una certa distanza dal confine. È necessario compiere un passo ulteriore e verificare se quella posizione fosse, all’epoca, legale. In altre parole, una ristrutturazione non può “condonare” una posizione originariamente abusiva.
La Corte di Cassazione ha quindi stabilito che il giudice di rinvio dovrà accertare se la distanza della tettoia originaria fosse conforme alle norme urbanistiche in vigore al momento della sua prima edificazione. Solo in caso di esito positivo di tale verifica, il vicino potrà mantenere il manufatto nella sua posizione attuale.

Le conclusioni: cosa significa questa ordinanza per i proprietari di immobili?

Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche. Stabilisce che il diritto di ricostruire un immobile mantenendo le distanze preesistenti non è assoluto. Chi intende avviare un intervento di ristrutturazione su un edificio posto a una distanza non conforme alle normative attuali deve prima assicurarsi che tale posizione fosse legittima quando l’edificio è stato costruito. In assenza di questa legittimità originaria, l’intervento, anche se qualificato come ristrutturazione, dovrà adeguarsi alle distanze legali costruzioni oggi in vigore. Si tratta di un monito a non considerare le nuove, più flessibili, norme sulla ristrutturazione come uno strumento per sanare abusi edilizi del passato.

La trasformazione di una tettoia in un locale chiuso deve rispettare le distanze legali?
Sì. Secondo la Cassazione, un intervento che modifica un manufatto, anche se qualificabile come ristrutturazione edilizia, deve essere realizzato nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti. Se la distanza originaria non era legittima, l’intervento deve adeguarsi alle norme attuali.

Se un edificio è già a una distanza non regolamentare, una ristrutturazione può mantenere quella stessa distanza?
La Corte di Cassazione ha chiarito che ciò è possibile solo a una condizione: la distanza preesistente deve essere stata ‘legittimamente’ tale, ovvero conforme alla normativa vigente al momento in cui la costruzione originaria è stata realizzata. Non basta che l’edificio esistesse già in quella posizione.

Cosa deve verificare il giudice prima di autorizzare una ricostruzione in deroga alle distanze attuali?
Il giudice deve accertare non solo che la costruzione esisteva a una determinata distanza, ma soprattutto che tale distanza fosse conforme alle norme urbanistiche e edilizie in vigore all’epoca della sua edificazione. In assenza di questa verifica, non si può parlare di ‘distanza legittimamente preesistente’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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