Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31887 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31887 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29083/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv . NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma INDIRIZZO
-ricorrenti- contro
COGNOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv . NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma INDIRIZZO
-controricorrenti- per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n. 274/2021, pubblicata il 15 gennaio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le memorie depositate da entrambe le parti.
FATTI DI CAUSA
-Con atto di citazione notificato il 6 maggio 2008, NOME e NOME COGNOME, proprietari di un immobile adibito a civile abitazione sito nel Comune di Roma, in INDIRIZZO convenivano dinanzi al Tribunale di Roma i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME proprietari del l’immobile confinante, per sentirli condannare alla rimozione di tutti i manufatti realizzati sulla loro proprietà, in violazione di norme legali e regolamentari, oltre al risarcimento dei danni.
Gli attori lamentavano che i citati convenuti avessero eseguito una serie di opere prospicienti la parete del loro edificio, nonché realizzato un gazebo in legno sulla preesistente terrazza, senza rispettare le distanze legali, e un forno, anch’esso in violazione delle distanze legali e che emanava intollerabili fumi verso la loro proprietà. Sostenevano, altresì, che i convenuti avessero posizionato un serbatoio per il contenimento di gas a ridosso del loro fondo, che avessero collocato tre discendenti per la raccolta dell’acqua piovana in modo da convogliare e disperdere i liquidi verso la loro proprietà e, infine, che avessero aperto una porta con sovrastante feritoia sulla parete prospiciente l’immobile dalla quale si propagavano odori nauseabondi.
Si costituivano in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME contestando l’ avversa domanda e chiedendone l’integrale rigetto con ogni conseguenza di legge.
Espletata l’attività istruttoria attraverso l’audizione di testimoni e lo svolgimento di due consulenze tecniche di ufficio, con sentenza n. 23884/2012, emessa in data 20 novembre 2012, il Tribunale di Roma respingeva la domanda proposta da NOME e NOME COGNOME e li condannava a rimborsare le spese del giudizio.
-Avverso detta sentenza NOME e NOME COGNOME proponevano appello.
Si costituivano NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 274/2021, pubblicata il 15 gennaio 2021, ha respinto il gravame, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese di lite.
–NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
-A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis cod. proc. civ. del Consigliere delegato, i ricorrenti hanno chiesto la decisione.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 disp.ni sulla legge in generale, dell’art. 3, comma 1, lett. e 5), del D.P.R. n.380/2001 ss. mm. e ii., degli artt. 873 e ss. cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. , per avere la Corte d’Appello dichiarato che il manufatto ‘Gazebo’, realizzato dagli appellati nel 1998, ovvero dieci anni prima dell’inizio della lite, in parte in muratura e in parte in legno, non costituisce una ‘nuova costruzione edilizia’, e che pert anto non è soggetto alla norma regolamentare che prevede una distanza minima di mt. 5,00 dal confine con il fondo terraneo di proprietà degli stessi ricorrenti.
Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 152/2006, ss. mm. e ii., degli artt. 115 e 196 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), nonché dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132,
comma 2, n. 4) cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att.ne cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n.4) cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello dichiarato che il serbatoio di gas dismesso, privo di certificazione sia in ordine alla sua installazione che alla sua dismissione, posto a ridosso del confine con il fondo di proprietà di essi ricorrenti, e che si presenta riempito con materiali inerti, non costituisce un rischio né per la salute dei ricorrenti, né per la sicurezza dei loro beni, con ciò disattendendo, con una motivazione apparente e inidonea, le risultanze della seconda consulenza tecnica d’ufficio.
Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 908 e 913, comma 1 e 2, c.c., dell’art. 53 del Regolamento Edilizio del Comune di Roma, e degli art. 115 e 196 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. , nonché dell’art. 111 , comma 6, Cost.ne, dell’art. 132, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell ‘art. 118 disp. att.ne cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n.4), per avere la Corte d’Appello omesso di adottare un provvedimento in relazione allo scolo delle acque reflue, tra le quali anche quelle di origine meteorica provenienti dal tetto che gli odierni resistenti hanno incanalato mediante grondaie e discendenti di fronte al fondo di proprietà dei ricorrenti e quivi lasciate defluire a dispersione, e che vanno a battere, a causa della irregolare modifica della pendenza del piano di campagna operata dagli odierni resistenti contro il muro di confine di proprietà di essi correnti, con ciò anche disattendendo, con una motivazione apparente e inidonea, le risultanze della seconda consulenza tecnica d’ufficio.
Deve essere, in primo luogo, respinta l’eccezione di inammissibilità dei controricorrenti per asserita violazione dei criteri di redazione del ricorso come previsti nel protocollo d’intesa tra Corte di cassazione e CNF, non costituendo detti criteri propriamente requisiti di ammissibilità.
Ciò premesso, i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
Va innanzitutto osservato, in via generale, che la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta a supportare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass. 8 febbraio 2019, n. 3717; Cass. 26 febbraio 2013, n. 4792; Cass. 13 marzo 2009, n. 6155).
La Corte d’appello ha esaminato tutte le doglianze formulate dagli attuali ricorrenti, alla luce delle risultanze istruttorie e delle due consulenze tecniche d’ufficio, giungendo a negarne la fondatezza, sia in relazione al gazebo (per il quale è stata esclusa la qualifica di intervento di nuova costruzione edilizia), sia riguardo al deflusso delle acque reflue (che non si riversavano nella proprietà limitrofa), sia in merito alla presunta pericolosità del serbatoio di gas (esclusa in ragione della collocazione e del suo stato attuale).
In particolare, quanto al primo motivo, la Corte di appello ha accertato -sulla base della congrua valutazione degli ausiliari d’ufficio -che il gazebo posizionato dagli attuali controricorrenti non avesse una struttura fissa (v., a contrario , Cass. n. 6 marzo 2002, n. 3199 e Cass. 12 marzo 2014, n. 5753), era rimuovibile ed aveva una mera funzione di arredo temporanea, non costituente perciò cubatura e, quindi, non rientrante tra le costruzioni di cui all’art. 53, comma, d.P.R. n. 380/2001, né risultante in contrasto con la
normativa sulle distanze dal confine, che sono ‘stabilite dalla presenza del terrazzo su cui è ubicato’.
Con riferimento al secondo motivo, esso si prospetta inammissibile sotto il profilo della sollecitazione di rivalutazione di merito (surrettiziamente dedotta sotto la forma della violazione di legge) sulla insussistenza della condizione di pericolosità del serbatoio di gas, mentre è infondato quanto alla denuncia della violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., essendo la motivazione della sentenza sul punto esistente e non meramente apparente, oltre che adeguata, risultando idoneamente supportata dagli esiti della c.t.u. (ritenuta dal giudice di primo grado attendibile anche a seguito della risposta delle critiche degli attori), in virtù dei quali era rimasta accertata l’assoluta innocuità del serbatoio, siccome interrato e riempito di materiali inerti senza la produzione di alcun rischio né per la salute né per la sicurezza.
Allo stesso modo, riguardo al terzo motivo, è rimasto accertato -sempre in base a riscontri tecnici culminati anche in ‘prove di allagamento’ e sulla scorta di un apprezzamento di merito sufficientemente svolto dalla Corte di appello – che le acque reflue provenienti dal fondo dei convenuti-appellati non invadevano la proprietà degli attori-appellanti, senza, perciò, creare in loro danno alcun pregiudizio.
Nella sostanza, i ricorrenti hanno inteso sollecitare un nuovo esame delle risultanze istruttorie così come valutate -in modo sintonico – sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello, esame inammissibile in sede di legittimità (non essendo configurabile nel nostro ordinamento processuale un ‘terzo grado di merito’: cfr., ad es., Cass. n. 8758/2017), anche a fronte di una ‘doppia’ conforme , mancando una diversa ricostruzione dei fatti esaminata in sede del doppio grado di giudizio. Nell’ipotesi di “doppia conforme” ex art. 348 ter , comma 5, cod. proc. civ., è infatti onere del ricorrente
indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse (v., per tutte, Cass. 20 settembre 2023, n. 26934).
4. -Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore dei controricorrenti, avv. COGNOME NOMECOGNOME per dichiarato anticipo (come da richiesta formulata in controricorso).
Essendo la decisione resa a seguito dell’instaurazione di un procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi del secondo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, le parti ricorrenti vanno, inoltre, condannate al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96 commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come quantificate in dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.500,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore dei controricorrenti, avv. COGNOME NOMECOGNOME
Condanna, altresì, gli stessi ricorrenti, con vincolo solidale, al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. e a favore dei controricorrenti, di una somma ulteriore di euro 1.500,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. – al pagamento dell ‘importo di euro 1.000,00 in favore della cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione