Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19537 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19537 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2716/2021 R.G. proposto da : COGNOME, COGNOME, difesi dagli avvocati COGNOME NOMECOGNOME NOME -ricorrenti-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 1669/2019 depositata il 14/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2006 NOME e NOME COGNOME proprietari di un lotto di terreno in una zona residenziale di ristrutturazione, presentano
una denuncia di inizio attività per costruire due villette ad uso abitativo, denominate rispettivamente ‘villetta A’ e ‘villetta B’. I lavori iniziano nell’agosto 2007. COGNOME, comproprietario di un fondo adiacente con fabbricato e autorimessa, allega che le nuove costruzioni non rispettino le distanze legali previste dall’art. 873 c.c., dall’art. 9 d.m. 1444/1968 e dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune, le quali richiedono almeno 5 metri dal confine e 10 metri tra pareti finestrate. Lamenta inoltre una lesione delle condizioni di luce, aria e amenità della propria proprietà. Su questa base, domanda al Tribunale di L’Aquila la condanna all’arretramento delle parti di fabbricato realizzate a distanza irregolare, il risarcimento dei danni già cagionati nella misura minima di € 50.000 e la condanna a un ulteriore risarcimento giornaliero per la permanenza dell’abuso. I convenuti sostengono che non si applichi la distanza minima di 10 metri, poiché l’art. 45 delle norme tecniche locali prevedrebbe una deroga subordinata a un criterio di visuale libera. Il Tribunale rigetta tutte le domande dell’attore.
La Corte di appello ha accolto parzialmente l’appello dell’attore, condannando i convenuti, in solido, all’arretramento dei corpi di fabbrica nella misura necessaria al rispetto delle distanze, nonché al pagamento dell’importo risarcitorio di € 1.000 . In particolare, la Corte ha accertato che i corpi di fabbrica realizzati dai convenuti violano la distanza minima di 10 metri dalle costruzioni del vicino per quanto riguarda il corpo denominato ‘Corpo 2’, e la distanza minima di 5 metri dal confine per quanto riguarda entrambi i corpi, se si tiene conto del rilievo in pianta della porzione seminterrata. Ha però ritenuto che tali sporgenze non erano rilevanti ai fini delle distanze legali, in quanto prive dei requisiti di solidità e consistenza richiesti dalla nozione giuridica di costruzione, con la conseguenza che solo la parte in elevazione del Corpo 2 si trovava a distanza inferiore al minimo legale. Quanto alla disciplina normativa
applicabile, la Corte ha escluso che l’art. 45 delle norme tecniche comunali potesse derogare al limite minimo di 10 metri tra pareti finestrate, in assenza di piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata, e ha ritenuto direttamente applicabile l’art. 9 del d.m. 1444/1968, di natura inderogabile e prevalente sulla disciplina locale. Ha infine riconosciuto la natura edilizia anche dell’autorimessa pertinenziale, in quanto regolarmente condonata e stabile, con conseguente rilevanza ai fini del computo delle distanze. Quanto alla domanda risarcitoria, la Corte ha escluso la possibilità di determinare il danno sulla base della perdita di valore dell’immobile, in quanto destinata a venir meno con la rimozione dell’abuso, e ha optato per una liquidazione equitativa tenuto conto del lungo periodo di illegittima compressione del godimento e dell’esiguità della lesione concreta, determinando il danno in € 1.000, oltre rivalutazione e interessi dal luglio 2007.
Ricorrono in cassazione i convenuti con tre motivi, illustrati da memoria. Resiste l’attore con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– In via preliminare, è accolta l’eccezione di tardività del controricorso. Secondo il ricorrente la notifica del ricorso è avvenuta il 21 gennaio 2021 ( rectius : dall’avviso di ricevimento risulta la data del 20 gennaio), mentre il controricorso è stato notificato il 3 marzo 2021. Pertanto il termine di 40 giorni per la notifica del controricorso è scaduto il 1° marzo 2021 (il 2 marzo secondo la prospettazione dei ricorrenti). In ogni caso il controricorso è tardivo.
– Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 2697 c.c. e 100 c.p.c. La Corte di appello ha ritenuto tardiva l’eccezione, sollevata in comparsa conclusionale nel giudizio di primo grado, relativa al difetto di titolarità del diritto di proprietà in capo all’attore, qualificand o la questione come di merito e non di rito (cioè non come difetto di legittimazione ad agire). Il motivo
censura tale qualificazione, deducendo che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la titolarità della situazione giuridica azionata è elemento costitutivo della domanda e deve essere provata dall’attore , salva ammissione o difese incompatibili da parte del convenuto, che nella specie non si sono verificate. Si argomenta che la Corte di appello ha errato nel non esaminare la questione nel merito e nel ritenere sanata la carenza per effetto della pretesa acquiescenza della controparte.
Il primo motivo è rigettato.
Opera il principio di non contestazione (art. 115 co. 1 seconda parte c.p.c.), come ha constatato dalla Corte di appello.
Quest’ultima ha qualificato la questione relativa alla titolarità in capo all’attore del diritto azionato come di merito, ha rilevato che essa era stata sollevata tardivamente in primo grado, solo nella comparsa conclusionale, e che non era più proponibile in appello né rilevabile d’ufficio. Ha precisato che la parte convenuta si era costituita in giudizio senza contestare la titolarità del diritto di proprietà in capo all’attore ed anzi aveva impostato la propria difesa su argomentazioni incompatibili con ciò. La Corte ha dunque ritenuto che la titolarità del diritto azionato dovesse considerarsi come non contestata, per cui la successiva contestazione in appello era tardiva.
L’argomenta zione della Corte territoriale applica correttamente al caso attuale la giurisprudenza di questa Corte sulla distinzione tra questione di merito attinente alla titolarità in capo all’attore del diritto azionato e questione di rito attinente alla legittimazione ad agire (cfr., fondamentalmente, Cass. SU 2951/2016).
– Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c. La sentenza impugnata ha accolto la domanda dell’attore sulla base della violazione dell’art. 9 del d.m. 1444/1968, ritenendo che tale norma imponesse comunque il rispetto della distanza di 10 metri tra pareti finestrate, anche in assenza dei presupposti per
l’applicazione dell’art. 45 delle norme tecniche di attuazione del PRG locale. Si censura tale decisione assumendo che in primo grado l’attore aveva fondato la domanda esclusivamente sull’art. 45 delle norme tecniche di attuazione del PRG, mentre la prospettazione fondata sull’art. 9 del d.m. 1444/1968 è stata introdotta solo in appello, con conseguente mutamento della causa petendi, vietato dall’art. 345 c.p.c.
Il secondo motivo è rigettato.
La denuncia di error in procedendo è sufficientemente specifica e consente un accesso efficiente ai fascicoli di causa. Si constata che, sin dalla citazione introduttiva, l’attore ha fondato le sue domande non solo sull’art. 45 delle norme tecniche di attuazione del PRG comunale, ma anche sull’art. 9 del d.m. 1444/1968.
Pertanto la censura di violazione dell’art. 345 c.p.c. è già infondata per questa ragione, a prescindere dalla considerazione di altri profili per i quali si potrebbe giungere alla stessa conclusione.
– Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 9 del d.m. 1444/1968. La Corte di appello ha ritenuto che anche la tettoiaautorimessa di proprietà dell’attore costituisca costruzione rilevante ai fini del calcolo delle distanze, accogliendo la domanda anche per il mancato rispetto della distanza da tale manufatto. Si censura tale qualificazione, deducendo che la tettoia è una struttura priva di pareti, con copertura in lamiera, priva di veduta e utilizzata solo come ricovero per auto, come risulterebbe dalla documentazione progettuale allegata all’istanza di condono e dalle stesse osservazioni del consulente tecnico.
Si argomenta, sotto un primo profilo, che tale struttura non è qualificabile come costruzione ai sensi della giurisprudenza di legittimità e che, pertanto, non può darsi luogo ad applicazione dell’art. 9 del d.m. 1444/1968 nei suoi confronti.
Si argomenta poi, sotto un distinto secondo profilo, che trattandosi di tettoia priva di pareti, mancherebbe comunque il
presupposto della presenza di due pareti, necessario per l’applicazione dell’art. 9 cit.
Il terzo motivo è rigettato.
La Corte di appello ha accertato che il manufatto in questione risultava accatastato come corpo autonomo ed era stabilmente ancorato al suolo tramite pilastri in ferro. Tali caratteristiche sono idonee a configurarlo come costruzione ai fini civilistici, secondo la giurisprudenza di questa Corte. È principio consolidato che anche un manufatto privo di pareti può costituire costruzione, ove presenti i caratteri della stabilità, consistenza e immobilizzazione al suolo (v. tra le altre Cass. 16975/2023, nonché Cass. 5145/2019, in un caso di tettoia aperta su un lato, con copertura in lamiera grecata e montanti metallici cementati al suolo). Nel caso attuale, la Corte ha accertato che la tettoia era dotata di tali requisiti e ne ha quindi ritenuto correttamente la rilevanza ai fini dell’art. 9 d.m. 1444/1968, in ragione della presenza di una parete finestrata nel fabbricato dei convenuti.
Il motivo non può essere accolto nemmeno sotto il secondo profilo, alla stregua del quale trattandosi di una costruzione priva di pareti, mancherebbe comunque il presupposto della presenza di due pareti, necessario per l’applicazione dell’art. 9 cit. Per tale applicazione è infatti sufficiente che vi sia una parete finestrata. Il principio è consolidato: v. tra le meno remote Cass. 7744/2024, nonché Cass. 14294/2018 (pregnante per la somiglianza con quello attuale di quel caso di specie, ove la parete finestrata era fronteggiata da una pensilina con struttura metallica). Né l’orientamento di questa Corte può essere tacciato di essere eccessivo rispetto alla ratio alla base dell’art. 9 d.m. 1444/1968. Infatti, la finalità della norma non è solo quella di impedire intercapedini malsane tra due pareti, ma di assicurare anche un adeguato spazio libero, tutelando così più in generale la salubrità degli ambienti (cfr. tra le meno remote Cass. 21790/2024).
Va da sé che, anche in conseguenza di tutto ciò, la Corte territoriale ha correttamente confermato il carattere inderogabile dell’art. 9 d.m. 1444/1968.
– Il ricorso è rigettato. Non vi è necessità di provvedere sulle spese in considerazione della conclusione raggiunta nel paragrafo n. 1.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28/05/2025.