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Distanze legali costruzioni: anche una tettoia conta

In un caso di violazione delle distanze legali costruzioni, la Corte di Cassazione ha confermato che una tettoia-autorimessa stabile e ancorata al suolo deve essere considerata una ‘costruzione’ a tutti gli effetti. Di conseguenza, è soggetta alla norma che impone una distanza minima di 10 metri dalle pareti finestrate degli edifici vicini. La Corte ha rigettato il ricorso dei costruttori, confermando l’ordine di arretramento parziale dell’edificio e il risarcimento del danno, stabilendo principi chiave sulla qualificazione dei manufatti edilizi.

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Distanze Legali tra Costruzioni: La Cassazione e il Caso della Tettoia

Il rispetto delle distanze legali costruzioni è un pilastro del diritto immobiliare, essenziale per garantire la salubrità, la sicurezza e la vivibilità degli ambienti. Ma cosa succede quando uno dei ‘fabbricati’ è una semplice tettoia? Può essere considerata una costruzione a tutti gli effetti? A questa domanda ha risposto in modo chiaro la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, stabilendo principi fondamentali per costruttori e proprietari.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine nel 2006, quando due fratelli avviano la costruzione di due villette. Il proprietario di un fondo confinante, lamentando la violazione delle normative sulle distanze, si rivolge al Tribunale. In particolare, denunciava il mancato rispetto della distanza minima di 5 metri dal confine e di 10 metri tra pareti finestrate, come previsto dal Codice Civile e dal D.M. 1444/1968, oltre che dal piano regolatore locale. A suo dire, le nuove costruzioni ledevano le condizioni di luce, aria e amenità della sua proprietà.

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda, ma la Corte d’Appello ribaltava parzialmente la decisione. I giudici di secondo grado, infatti, condannavano i costruttori all’arretramento di una parte di un edificio (denominato ‘Corpo 2’) e al pagamento di un risarcimento di 1.000 euro. La Corte d’Appello aveva accertato che, per il calcolo delle distanze, si doveva tenere conto anche di una tettoia-autorimessa presente sulla proprietà del vicino, qualificandola come ‘costruzione’ rilevante.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

I costruttori, soccombenti in appello, hanno presentato ricorso in Cassazione basato su tre motivi principali:
1. Difetto di titolarità: Sostenevano che il vicino non avesse adeguatamente provato di essere il proprietario dell’immobile che si assumeva danneggiato.
2. Mutamento della domanda: Affermavano che il riferimento all’art. 9 del D.M. 1444/1968 fosse stato introdotto solo in appello, modificando così la causa della richiesta (causa petendi), in violazione delle norme processuali.
3. Errata qualificazione della tettoia: Contestavano che la tettoia del vicino potesse essere considerata una ‘costruzione’ ai fini del calcolo della distanza di 10 metri, in quanto priva di pareti e vedute.

Le Motivazioni della Suprema Corte sull’analisi delle distanze legali costruzioni

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti su ciascuno dei punti sollevati.

Sulla Titolarità del Diritto e il Principio di Non Contestazione

Il primo motivo è stato respinto in base al principio di non contestazione. La Corte ha sottolineato che i costruttori, nel loro primo atto difensivo, non avevano mai messo in discussione la proprietà del vicino, anzi, avevano basato le loro difese su argomenti incompatibili con tale contestazione. La questione, quindi, non poteva essere sollevata per la prima volta in appello, essendo ormai un fatto non contestato.

Sulla Domanda Originaria

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. Esaminando gli atti, la Corte ha verificato che il vicino aveva fondato la sua domanda, fin dalla citazione introduttiva, non solo sulle norme tecniche locali ma anche sull’art. 9 del D.M. 1444/1968. Non vi è stato, pertanto, alcun mutamento della domanda in appello.

Sulla Nozione di ‘Costruzione’ ai Fini delle Distanze

Il punto cruciale della decisione riguarda il terzo motivo. La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, ribadendo un principio consolidato: ai fini civilistici, costituisce ‘costruzione’ qualsiasi manufatto che, pur privo di pareti, presenti i caratteri della stabilità, consistenza e immobilizzazione al suolo. La tettoia in questione, essendo stabilmente ancorata al suolo tramite pilastri in ferro, rientrava a pieno titolo in questa definizione.

Inoltre, la Corte ha specificato che per l’applicazione della distanza minima di 10 metri, è sufficiente la presenza di una sola parete finestrata. La norma non mira solo a evitare la creazione di intercapedini insalubri tra due muri, ma più in generale a garantire un adeguato spazio libero per assicurare la salubrità degli ambienti. Di conseguenza, la parete finestrata del nuovo edificio dei ricorrenti doveva rispettare i 10 metri dalla tettoia del vicino, a prescindere dal fatto che quest’ultima fosse priva di pareti.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame consolida due principi giuridici di grande rilevanza pratica nel campo del diritto immobiliare e delle costruzioni:
1. La definizione ampia di ‘costruzione’: Proprietari e costruttori devono essere consapevoli che anche manufatti ‘minori’ come tettoie, pergolati stabili o garage aperti, se saldamente ancorati al suolo, sono rilevanti per il calcolo delle distanze legali.
2. L’applicazione estensiva della regola dei 10 metri: La distanza minima tra costruzioni si applica anche quando una sola delle due ha una parete con finestre. Questo rafforza la tutela del diritto alla salubrità, alla luce e all’aria, che costituisce la ratio fondamentale della normativa.

Una tettoia o un’autorimessa aperta possono essere considerate ‘costruzione’ ai fini delle distanze legali?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che qualsiasi manufatto, anche privo di pareti, che presenti i caratteri della stabilità, consistenza e immobilizzazione al suolo (come una tettoia ancorata con pilastri) costituisce costruzione ai fini del calcolo delle distanze.

La regola dei 10 metri tra pareti finestrate si applica anche se solo uno dei due edifici ha finestre?
Sì. Per l’applicazione della distanza minima di 10 metri prevista dall’art. 9 del d.m. 1444/1968, è sufficiente che esista una sola parete finestrata. La norma mira a garantire salubrità e spazio libero, non solo a impedire intercapedini malsane tra due pareti.

È possibile contestare per la prima volta in appello la proprietà dell’immobile del vicino che ha iniziato la causa?
No. Secondo la Corte, la titolarità del diritto è una questione di merito. Se non viene contestata nella prima difesa utile in primo grado, si considera come ammessa per il principio di non contestazione e non può essere sollevata tardivamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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