Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10329 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 10329 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26285/2019 R.G. proposto da:
FIDUCIOSO CONCETTA, NOME COGNOME INGENITO COGNOME ed INGENITO VERONICA, elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
NOME, NOME e NOME COGNOME, in proprio e quali eredi di IMPERATO NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi anche disgiuntamente dagli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n.558/2019 depositata il 29.4.2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 2006, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME ed COGNOME NOME, convenivano innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore NOME, chiedendo il risarcimento dei danni da infiltrazioni d’acqua piovana, provocati loro dai lavori di manutenzione straordinaria e realizzazione di un sottotetto, compiuti in Comune di Angri dal convenuto in violazione delle distanze legali, nonché il risarcimento dei danni per l’invasione dello spazio aereo del loro lastrico solare da parte delle falde del tetto del fabbricato Ingemito e di un pluviale, con rimozione delle opere realizzate in violazione della distanza legale, o sulla loro proprietà.
In seguito al decesso di NOMECOGNOME gli attori riassumevano la causa nei confronti dei suoi eredi, Fiducioso NOME NOME e NOME NOME che al pari del dante causa restavano contumaci.
Con sentenza n. 1790/2016, il Tribunale, espletata una CTU, in parziale accoglimento delle domande, ravvisava la violazione della distanza legale di cinque metri dal confine prescritta dal PRG del Comune di Angri per la zona B1 da parte del sottotetto, l’invasione aerea della proprietà degli attori da parte delle falde del tetto e del pluviale dei convenuti, che condannava al ripristino della distanza legale quanto al sottotetto, all’eliminazione della falda del tetto e del pluviale per la parte aggettante sulla proprietà degli attori, ed al risarcimento dei danni provocati per la violazione delle distanze legali, quantificati equitativamente in € 15.000,00, ed alle spese di
causa e di CTU, respingendo invece la domanda di risarcimento dei danni da infiltrazione d’acqua.
Avverso la predetta sentenza, Fiducioso NOME, NOME NOME, NOME e NOME NOME proponevano appello alla Corte d’Appello di Salerno, sostenendo che il giudice avrebbe dovuto concedere loro la facoltà di ripristinare la parte mancante del sottotetto fino al confine, in quanto la normativa locale applicabile nella zona B1 (art. 7 delle norme urbanistico edilizie del PRG del 1986 del Comune di Angri) consentiva la costruzione in aderenza, contemplata peraltro nel permesso di costruire in sanatoria n.1904/2004 rilasciato dal Comune di Angri, che oltre tutto autorizzava, anche perché preesistenti e di modesta entità, gli aggetti della falda del tetto e del pluviale, e deducendo l’insussistenza della violazione della distanza legale dal confine, nonché, in subordine, il vizio di motivazione e l’eccessività della liquidazione del danno, anche in rapporto al valore catastale dell’immobile degli attori.
Gli appellati eccepivano l’inammissibilità dell’appello e ne chiedevano comunque il rigetto, sulla base delle corrette valutazioni espresse dal CTU, tardivamente contestate dalla controparte.
Con la sentenza n. 558/2019 del 24/29.4.2019, la Corte d’Appello di Salerno, in parziale accoglimento dell’appello, mentre confermava la condanna alla riduzione in pristino disposta in primo grado, riduceva ad € 4.000,00 il risarcimento danni, conglobando nella valutazione equitativa sia i danni per violazione delle distanze legali, sia i danni da infiltrazione d’acqua, dichiarava compensate per metà le spese del doppio grado, e condannava gli appellanti al pagamento della residua metà delle spese di causa, liquidate complessivamente in € 2.000,00 oltre Iva, Cna e rimborso forfettario, da distrarre in favore del legale antistatario.
Avverso questa sentenza, Fiducioso NOME NOME e NOME NOME hanno proposto tempestivo ricorso a questa Corte, affidandosi a sette motivi, e COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e quali eredi di NOME NOME hanno resistito con controricorso.
Nell’imminenza della pubblica udienza del 27.3.2025, le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
La Procura generale ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, articolato in riferimento al n. 4) del comma primo dell’art 360 c.p.c, i ricorrenti sostengono la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte avrebbe omesso di trascrivere nel dispositivo della sentenza la statuizione in punto di violazione sulla normativa delle distanze nonché sull’ an della pretesa.
Il primo motivo é infondato, in quanto la sentenza impugnata, nel dispositivo, ha indicato come disattesa ogni altra domanda avanzata diversa da quelle per le quali ha disposto la parziale riforma della sentenza di primo grado, e quindi anche per la richiesta di riforma della condanna alla riduzione in pristino per violazione delle distanza dal confine, ed in motivazione ha, sia pure sinteticamente, evidenziato che in occasione del sopralluogo del CTU non era stata rappresentata alcuna provvisorietà delle opere realizzate, delle quali piuttosto risultava comunicata l’ultimazione, e che non poteva essere invocata dagli appellanti la facoltà di costruire in aderenza, anziché a cinque metri dal confine, in quanto dalla CTU era emerso che una parte del sottotetto realizzato si trovava anziché sul confine, ad una distanza da esso di m 3,75, per cui non era in aderenza, e l’ausiliario doveva basarsi sulla situazione di fatto riscontrata e non su quella del progetto assentito, che riportava la costruzione del sottotetto in aderenza.
2) Col secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4) del comma primo dell’art 360 c.p.c, i ricorrenti prospettano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, primo comma, n. 4) c.p.c., poiché la Corte avrebbe, senza alcuna motivazione, o con motivazione meramente apparente, aderito acriticamente alle conclusioni del CTU di primo grado, con riferimento alla violazione della normativa sulla distanza dal confine.
Il secondo motivo é infondato, in quanto non ricorre nella specie una motivazione inesistente, o meramente apparente, dal momento che la Corte d’Appello ha disatteso l’impugnazione relativa alla riduzione in pristino con le motivazioni sopra riportate, ed indicando come non pertinente la giurisprudenza richiamata dagli appellanti per legittimare, in base alla natura delle opere realizzate, la deroga alla distanza legale, così rispondendo alle uniche censure specifiche mosse dagli appellanti in punto di provvisorietà delle opere realizzate, di facoltà di costruzione in aderenza e di opere aggettanti sulla proprietà degli originari attori, e per il resto ha condiviso le conclusioni della CTU depositata in primo grado all’esito dei sopralluoghi e dell’esame documentale, che non erano state oggetto di specifiche doglianze (vedi sull’ammissibilità del rinvio agli accertamenti compiuti dal CTU su questioni di carattere tecnico senza bisogno di addurre argomentazioni giustificative in tal senso Cass. 10.4.2015 n. 7266). Peraltro secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘ in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi
rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione “. (Cass. ord. 7.1.2025 n. 252; Cass. ord. 13.7.2021 n. 19989), mentre nella specie l’allegazione sui passaggi non condivisi della CTU é carente.
3) Col terzo motivo, articolato a pagina 7, in riferimento al n. 3) del comma primo dell’art 360 c.p.c, i ricorrenti sostengono la violazione degli artt. 873 cod. civ. e 7 delle norme urbanistico edilizie del PRG del 1986 del Comune di Angri, dal quale ultimo emerge la possibilità di costruzione in aderenza in zona B1, in alternativa al rispetto della distanza minima dal confine di cinque metri. Lamentano i ricorrenti che la Corte d’Appello, sulla base del fatto che in occasione del sopralluogo l’originaria parte convenuta contumace non aveva dichiarato la provvisorietà dell’opera realizzata, e che il sottotetto costruito in parte si distaccava dal confine di m 3,75 e non era quindi in aderenza al fabbricato degli originari attori, abbia negato loro la facoltà di avanzare il sottotetto fino al confine col fabbricato degli attori, anziché arretrarlo da esso fino alla distanza di cinque metri.
Il motivo in esame é fondato e merita accoglimento, in quanto la situazione di fatto rilevata dal CTU in ordine alla collocazione data al sottotetto dal dante causa degli attuali ricorrenti, evidentemente non poteva incidere sulla facoltà giuridica alternativa ad essi spettante, in base agli articoli 873 cod. civ. e 7 delle norme urbanistico edilizie del PRG del 1986 del Comune di Angri, di costruire il sottotetto in aderenza al fabbricato degli originari attori, anziché costruire a distanza di cinque metri dalla parete di quest’ultimo ubicata sul confine, facoltà peraltro riscontrata dal progetto assentito dal permesso in sanatoria n. 1904/2004 del Comune di Angri, al quale i ricorrenti non si erano conformati.
E’ noto che in presenza di norme regolamentari locali che prevedano il rispetto di una distanza minima tra edifici, o dal confine, la possibilità della realizzazione di una costruzione in aderenza é subordinata alla presenza nel regolamento locale di una norma che espressamente autorizzi tale facoltà (vedi in tal senso Cass. n. 15582/2022; Cass. n. 25191/2021), e nella specie l’art. 7 delle norme urbanistico edilizie del PRG del 1986 del Comune di Angri, vigente all’epoca della realizzazione del sottotetto in questione, prevedeva espressamente, per la zona B1, nella quale ricadono pacificamente i fabbricati delle parti, la facoltà di costruire in aderenza, in alternativa all’edificazione col rispetto della distanza di cinque metri dal confine.
In tema di distanze legali la facoltà del vicino prevenuto di arretrare fino alla distanza legale la propria costruzione illegittima, ovvero di avanzarla fino a quella del preveniente, si traduce sul piano processuale nel potere del giudice, ancorché sollecitato dalla parte interessata, di disporre l’eliminazione della situazione illegittima, ordinando con la sentenza di condanna in via alternativa l’arretramento della costruzione illegittima ovvero l’avanzamento di essa secondo i principi dell’aderenza fino al confine (vedi Cass. 7.11.2018 n. 28408; Cass. n. 21755/2016; Cass. n. 21455/2015; Cass. n. 11284/1992), e la sollecitazione della parte interessata, nella specie contenuta nell’atto di appello, non costituisce una domanda vera e propria non proponibile per la prima volta in appello, ma una sollecitazione del potere del giudice (vedi in tal senso Cass. 28.12.2024 n. 34740; Cass. 7.11.2018 n. 28408; Cass. n.21755/2016; Cass. 21455/2015; Cass. n. 11284/1992).
La sentenza impugnata non si é conformata a tali principi e va quindi sul punto cassata con rinvio.
3 bis) Col terzo motivo, articolato a pagina 12 del ricorso, (erroneamente indicato in ricorso per la seconda volta come terzo motivo) in riferimento al n.4) del comma primo dell’art. 360 c.p.c.,
(motivo che per evitare confusioni si rubrica come 3 bis), i ricorrenti prospettano la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte distrettuale avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello concernente il piccolo aggetto del tetto di 20 cm sul lastrico solare degli attori, attraversato dal pluviale del tetto, opere che in quanto preesistenti sarebbero state assentite nel titolo edilizio rilasciato.
L’indicazione delle opere aggettanti come preesistenti ed incluse nel titolo edilizio rilasciato, avvenuta nel ricorso davanti a questa Corte, e non trattata dall’impugnata sentenza, non si rinviene nell’atto di appello, nel quale la parte appellante si era limitata, a pagina 4, a sostenere che l’avanzamento del sottotetto fino al confine col fabbricato degli attori avrebbe portato all’eliminazione delle falde e del pluviale, per cui si tratta di questione nuova richiedente accertamenti di fatto, da ritenere quindi inammissibile (vedi in tal senso Cass. 11.4.2016 n. 7048; Cass. n. 2641/2013).
4) Col quarto motivo, articolato in riferimento al n. 4) del comma primo dell’art 360 c.p.c, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte distrettuale incluso nel risarcimento del danno, equitativamente liquidato in € 4.000,00, la spesa per la pitturazione resa necessaria dalle infiltrazioni originariamente lamentate dagli attori, per la quale questi ultimi, dopo il rigetto in primo grado, non avevano proposto appello.
Il quarto motivo é fondato, in quanto il Tribunale di Nocera Inferiore, avendo rilevato che la parte convenuta era intervenuta a sue spese per il rifacimento dell’intonaco ammalorato dalle infiltrazioni e gli attori avevano successivamente eseguito al primo piano la pitturazione senza produrre documentazione della spesa relativa, mentre non vi era certezza che l’umidità del piano inferiore, fortemente ammalorato, fosse connessa alle infiltrazioni, aveva respinto la domanda di risarcimento degli attori per i danni da infiltrazioni, liquidando equitativamente in € 15.000,00 il solo
danno per violazione delle distanze legali, e poiché gli originari attori non avevano proposto appello contro quella pronuncia di rigetto, la Corte d’Appello é incorsa in ultrapetizione per avere ricompreso, nel danno equitativamente liquidato nella somma ridotta di €4.000,00, oltre ai danni per violazione delle distanze legali, anche i danni per le spese di pitturazione, per i quali ultimi vi era ormai un giudicato interno di rigetto.
5) Col quinto motivo, articolato in riferimento al n. 4) del comma primo dell’art. 360 c.p.c, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 872, 1226 e 2697 cod. civ., sostenendo l’erroneità della liquidazione del danno per l’insussistenza della violazione delle distanze legali e per difetto di prova dell’esistenza del pregiudizio, con conseguente preclusione della liquidazione equitativa, per avere la Corte d’Appello pronunciato condanna al risarcimento del danno sulla base della mera potenzialità dannosa insita nella ritenuta violazione della distanza legale dal confine, senza che fossero state allegate e provate le conseguenze pregiudizievoli di quella violazione e dell’aggetto della falda del tetto e del pluviale sulla proprietà degli attori, come se si trattasse di un danno in re ipsa, e senza neppure indicare il criterio di quantificazione del danno seguito.
Pur dovendosi escludere, che la facoltà dei ricorrenti di avanzare il sottotetto fino alla realizzazione in aderenza sul confine, consentita dalla normativa locale in alternativa all’arretramento a distanza di cinque metri dal confine, implichi, di per sé, la liceità della condotta costruttiva contestata dagli originari attori per il periodo anteriore a tale avanzamento, anche il motivo in esame deve ritenersi fondato.
Dopo che il giudice di primo grado aveva proceduto alla liquidazione equitativa dei danni per la sola violazione delle distanze legali riconosciute del sottotetto, della falda del tetto e del pluviale, quantificandoli in € 15.000,00, come danni in re ipsa automaticamente connessi alla violazione delle distanze legali
secondo la giurisprudenza di legittimità di questa sezione all’epoca prevalente (in quel senso Cass. n.16916/2015; Cass. n.11382/2011), ed escludendo invece il risarcimento del danno da infiltrazioni, del pari originariamente lamentato dagli attori, la Corte d’Appello ha solo ritenuto eccessiva quella liquidazione rispetto al valore catastale dell’immobile degli attori, riducendo il risarcimento ad € 4.000,00, ma conglobandovi oltre al danno per la violazione delle distanze legali anche il danno da infiltrazioni, seguendo comunque la stessa metodologia. La Corte distrettuale, infatti, giudicate provate la violazione delle distanze legali e la collocazione del pluviale sullo spazio aereo sovrastante la proprietà degli attori, ha ritenuto automaticamente dimostrati la diminuzione del valore commerciale della proprietà degli attori, del pieno godimento della stessa e della sua appetibilità per eventuali compratori, ed ha liquidato il danno in € 4.000,00, senza tener conto di specifiche allegazioni degli attori sulle facoltà connesse al diritto di proprietà effettivamente incise dalle violazioni riconosciute, come se si trattasse di un danno evento, e non di un danno conseguenza, e senza stabilire un criterio di quantificazione del danno che permettesse di agganciarlo anche alla durata della menomazione di quelle facoltà, destinata a cessare con la rimozione ed il rispetto della distanza legale di cinque metri dal confine del sottotetto, da realizzare in alternativa sul confine in aderenza, e con la cessazione dell’invasione dei manufatti aggettanti sulla proprietà degli attori, e che permettesse di verificare la correttezza del calcolo dell’entità del danno e di distinguere l’equità applicata dal mero arbitrio.
Tale modo di procedere alla liquidazione equitativa dei danni per violazione delle distanze legali, non risulta però allineato all’orientamento assunto da questa Corte, dopo la composizione da parte delle sezioni unite del contrasto, che era insorto tra la seconda e la terza sezione civile sul punto.
Le sezioni unite, infatti, con sentenza del 15.11.2022 n. 33645, in tema di prova del danno da violazione del diritto di proprietà e di altri diritti reali, hanno optato per una mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della II sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla III sezione Civile.
La questione se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale, ma anche risarcitoria, è stata risolta dalle sezioni unite in senso positivo, ed è stato dato seguito al principio di diritto, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria ( ex multis Cass. 27.6.2024 n. 17758; Cass. 18.7.2013 n. 17635).
Le sezioni unite hanno poi confermato la linea evolutiva della giurisprudenza di questa sezione, nel senso che la locuzione “danno in re ipsa ” va sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.
Le sezioni unite hanno, altresì, definito il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà: esso riguarda non la cosa ma il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa, sicché il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione. Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l’evento di danno condizionante il requisito dell’ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire.
Nel caso in cui la prova sia fornita attraverso presunzioni, l’attore ha l’onere di allegare il pregiudizio subito, anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (Cass. 27.6.2024 n. 17758).
Ulteriormente questa sezione, sulla base della composizione del contrasto compiuta dalle sezioni unite, ha affermato che ” Allorché, in caso di violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni, l’attore richieda il risarcimento del danno determinatosi prima della riduzione in pristino, quale effetto dell’abusiva imposizione di una servitù sul proprio fondo e quindi della limitazione del relativo godimento, deve dunque riconoscersi che lo stesso non è sottratto da un onere di allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione di utilizzare l’immobile nel periodo dell’illegittima ingerenza del peso costituito dalla costruzione. La domanda del danno per l’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo onera, dunque, il ricorrente di indicare gli elementi, le modalità e le circostanze della situazione, da cui, in presenza dei requisiti richiesti dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., possa desumersi l’esistenza e l’entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito; ciò consente poi al giudice di far uso delle presunzioni semplici, divenendo allora comunque in re ipsa (non il danno, ma) la prova del pregiudizio ” (Cass. 19.3.2025 n. 7290; Cass. 22.11.2023 n.32459).
Essendo stati disattesi i suddetti principi, la sentenza impugnata va cassata anche in relazione a questo motivo per nuovo esame.
6) Col sesto motivo, articolato in riferimento al n. 4) del comma primo dell’art. 360 c.p.c., i ricorrenti sostengono la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nella parte in cui gli appellanti sono stati condannati al pagamento della metà delle spese del doppio grado di giudizio, calcolata nel suo complesso in € 2.000,00 oltre accessori.
Il sesto motivo deve ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento dei motivi 3), 4) e 5) sopra esaminati, che impongono al giudice di rinvio di provvedere sulle spese in base all’esito finale della lite.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie i motivi n. 3), 4) e 5) del ricorso, assorbito l’ultimo motivo e respinti gli altri motivi, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27.3.2025