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Distanze legali: come si calcola il risarcimento?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10329/2025, interviene su un caso di violazione delle distanze legali in edilizia. La Suprema Corte ha accolto il ricorso del costruttore, stabilendo che, in caso di violazione, quest’ultimo ha la facoltà alternativa di arretrare l’opera o di avanzarla fino al confine per costruire in aderenza, se il regolamento locale lo consente. Inoltre, ha chiarito che il risarcimento del danno non è automatico (‘in re ipsa’), ma va provato dal danneggiato, che deve allegare il pregiudizio concreto subito. Infine, la Corte ha censurato la decisione d’appello per aver liquidato un danno (da infiltrazioni) su cui si era già formato un giudicato interno di rigetto.

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Distanze Legali: La Cassazione Ridefinisce il Risarcimento del Danno

La gestione delle distanze legali tra costruzioni è una delle questioni più complesse e frequenti nel diritto immobiliare. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 10329/2025) offre chiarimenti fondamentali su due aspetti cruciali: le opzioni a disposizione di chi ha costruito a una distanza non regolamentare e i criteri per la liquidazione del risarcimento del danno al vicino. Analizziamo insieme questa importante decisione.

La Vicenda: Una Costruzione Troppo Vicina

Il caso nasce dalla decisione di un proprietario di realizzare un sottotetto. I vicini lo citavano in giudizio, lamentando molteplici violazioni: la nuova opera non rispettava le distanze minime dal confine previste dal piano regolatore comunale, il tetto e un pluviale invadevano lo spazio aereo della loro proprietà e, infine, i lavori avevano causato infiltrazioni d’acqua. Chiedevano quindi la rimozione delle opere illegittime e il risarcimento di tutti i danni subiti.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Il Tribunale di primo grado accoglieva parzialmente le richieste dei vicini. Riconosceva la violazione delle distanze legali e l’invasione dello spazio aereo, ordinando al costruttore di arretrare il sottotetto fino alla distanza legale di cinque metri e di rimuovere le parti aggettanti. Liquidava inoltre un risarcimento di 15.000 euro per il solo danno derivante dalla violazione delle distanze, respingendo però la domanda relativa ai danni da infiltrazione.

Gli eredi del costruttore, nel frattempo deceduto, proponevano appello. La loro tesi era che il regolamento locale consentiva di costruire in aderenza al fabbricato vicino, e quindi non avrebbero dovuto arretrare l’opera, ma semmai avanzarla fino al confine. La Corte d’Appello, pur confermando l’ordine di ripristino, riduceva il risarcimento a 4.000 euro, includendo in questa cifra sia i danni per le distanze che quelli, precedentemente esclusi, per le infiltrazioni.

Il Ricorso per Cassazione e le Distanze Legali

Insoddisfatti, gli eredi del costruttore ricorrevano alla Corte di Cassazione, sollevando diverse questioni. I motivi di ricorso accolti dalla Suprema Corte sono stati tre, ognuno dei quali merita un’analisi approfondita.

1. La facoltà di costruire in aderenza

I ricorrenti sostenevano che la Corte d’Appello avesse errato nel negare loro la possibilità di avanzare la costruzione fino al confine per edificarla in aderenza, come consentito dal piano regolatore. La Cassazione ha ritenuto questo motivo fondato, affermando un principio importante: chi costruisce violando le distanze ha una facoltà giuridica alternativa. Può scegliere se arretrare la costruzione per rispettare la distanza minima o, se la normativa locale lo permette, avanzarla fino a toccare l’edificio del vicino. Questa scelta non può essere negata sulla base della situazione di fatto illecita creata inizialmente.

2. Il risarcimento per i danni da infiltrazione

Il secondo motivo accolto riguarda un errore procedurale. Il Tribunale aveva respinto la domanda di risarcimento per le infiltrazioni e i vicini non avevano impugnato questa parte della sentenza. Di conseguenza, su quel punto si era formato un ‘giudicato interno’. La Corte d’Appello, includendo nuovamente tale danno nella liquidazione, era incorsa nel vizio di ‘ultrapetizione’, ovvero aveva deciso oltre i limiti della domanda su cui era chiamata a pronunciarsi.

3. La liquidazione del danno per la violazione delle distanze legali

Il punto più innovativo della sentenza riguarda il calcolo del danno. I ricorrenti lamentavano che la Corte d’Appello avesse liquidato il risarcimento basandosi sulla mera potenzialità dannosa della violazione, senza che i vicini avessero provato un pregiudizio concreto. La Cassazione ha colto l’occasione per allinearsi a un recente orientamento delle Sezioni Unite, superando il vecchio concetto di ‘danno in re ipsa’.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte Suprema ha cassato con rinvio la sentenza d’appello. Le motivazioni si concentrano sulla necessità di un approccio più rigoroso alla prova del danno. Non basta più affermare che la violazione delle distanze legali causa automaticamente un danno risarcibile. La giurisprudenza ha evoluto il concetto da ‘danno in re ipsa’ (danno implicito nel fatto) a ‘danno presunto’ o ‘danno normale’. Questo significa che, sebbene il danno non debba essere provato nel suo preciso ammontare, il danneggiato ha l’onere di allegare quali specifiche facoltà del suo diritto di proprietà sono state compromesse (ad esempio, diminuzione di luce, aria, panorama, privacy). Sarà poi il giudice a poter presumere l’esistenza del pregiudizio sulla base di queste allegazioni e della comune esperienza, liquidando il danno in via equitativa ma non arbitraria. La Corte d’Appello aveva invece errato, liquidando una somma senza specificare il criterio di quantificazione e senza distinguere tra le diverse tipologie di danno.

Le Conclusioni: Cosa Cambia per il Risarcimento del Danno

Questa sentenza consolida un cambiamento significativo nell’onere della prova per i danni derivanti da violazioni del diritto di proprietà. Il messaggio è chiaro: chi subisce una violazione delle distanze legali non può più limitarsi a denunciare l’illecito per ottenere un risarcimento. Deve invece indicare in modo specifico quali aspetti del godimento del proprio immobile sono stati concretamente e negativamente incisi. Questo approccio garantisce che il risarcimento sia effettivamente commisurato al pregiudizio subito, evitando automatismi e liquidazioni arbitrarie e fornendo al contempo al costruttore illecito la possibilità di sanare la situazione scegliendo l’opzione (arretramento o aderenza) per lui più conveniente tra quelle legalmente ammesse.

Se un regolamento locale lo permette, si può scegliere di costruire in aderenza al vicino anche se la costruzione iniziale era a una distanza intermedia e illegale?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il costruttore ha la facoltà giuridica alternativa di arretrare l’opera fino alla distanza legale oppure di avanzarla fino al confine per costruire in aderenza, qualora la normativa locale consenta espressamente tale opzione.

Il danno per la violazione delle distanze legali si considera automaticamente esistente (in re ipsa)?
No. La sentenza chiarisce che il concetto di ‘danno in re ipsa’ è stato superato e sostituito da quello di ‘danno presunto’. Ciò significa che il proprietario danneggiato ha l’onere di allegare specificamente quale pregiudizio ha subito (es. perdita di luce, aria, privacy). Sulla base di tali allegazioni, il giudice può presumere l’esistenza e l’entità del danno.

Può un giudice d’appello includere nel risarcimento un danno che era stato escluso in primo grado e contro cui la parte interessata non aveva fatto appello?
No. Se una domanda di risarcimento viene respinta in primo grado e la parte soccombente non presenta appello su quel punto, la decisione diventa definitiva (giudicato interno). Il giudice d’appello non può riesaminare quella domanda e incorrerebbe nel vizio di ‘ultrapetizione’ se lo facesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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