Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11930 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 11930 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 30789-2020 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1175/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata in data 11/08/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME;
udit o l’avv. NOME COGNOME per la parte ricorrente, che ha invocato l’accoglimento del ricorso ;-
FATTI DI CAUSA
Con ricorso possessorio ex artt. 1170 c.c. e 703 c.p.c. NOME Giuseppe domandava al Tribunale di Paola di ordinare al Comune di Grisolia l’eliminazione della turbativa derivante dall’installazione di un ascensore esterno a servizio di una palazzina adiacente a quella del ricorrente e e il ripristino di una grondaia danneggiata nel corso dei lavori di installazione del detto impianto. Il ricorrente lamentava in particolare la lesione del suo possesso del diritto di veduta tutelato dall’art. 907 c.c.
Nella resistenza del Comune, il Tribunale, dopo aver emesso l’interdetto, poi confermato anche in sede di reclamo, ed ordinato la rimozione dell’ascensore, rigettava la domanda possessoria con sentenza n. 501/2016, revocando le precedenti pronunce favorevoli al Russo, escludendo che l’ascensore potesse essere assimilato ad una costruzione e non ravvisando alcuna violazione del possesso del Russo a fronte dell’installazione di un mero impianto tecnico a servizio della palazzina del Comune.
Con la sentenza impugnata, n. NUMERO_DOCUMENTO, la Corte di Appello di Catanzaro rigettava il gravame dell’ente territoriale, evidenziando che il Tribunale aveva correttamente, da un lato, escluso la sussistenza di un diritto di veduta -e del relativo possesso- a favore del fondo del Russo, sul presupposto che balconi e finestre da questo aperte si trovassero già ad una distanza dal fondo vicino inferiore a quella prevista dagli artt. 905 e 906 c.c.; e, dall’altro lato, escluso che l’ascensore esterno costituisse nuova costruzione e fosse quindi assoggettato al rispetto delle norme in tema di distanze.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME Angelo GiuseppeCOGNOME affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Grisolia.
A seguito di proposta di definizione anticipata del giudizio, la parte ricorrente ha depositato istanza di decisione, a seguito della quale il ricorso è stato chiamato all’adunanza camerale del 23.10.2024, in esito alla quale, con ordinanza interlocutoria, è stato rimesso alla pubblica udienza.
In prossimità dell’udienza pubblica, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per l’accoglimento del primo e secondo motivo del ricorso, assorbiti i restanti, e la parte ricorrente ha depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del primo e secondo motivo del ricorso, assorbiti i restanti, e l’avv. NOME COGNOME per la parte ricorrente, che ha invocato l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611/2024 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv.
670667), non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa. Da ciò consegue che il consigliere COGNOME autore della proposts di decisione ex art. 380 bis cpc, può legittimamente comporre il Collegio giudicante.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1 della legge n. 13 del 1989, trasfuso nell’art. 79 del D.P.R. n. 380 del 2001, 873 e 907 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 1 della sopra richiamata legge n. 13 del 1989, anziché ravvisare l’applicabilità della diversa disposizione di cui all’art.3, secondo comma, della medesima legge. Ad avviso del ricorrente, l’ascensore, in quanto nuova costruzione, avrebbe dovuto rispettare le norme in tema di distanze.
Con il secondo motivo, invece, il Russo denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 873 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso l’ascensore dall’obbligo di rispettare le disposizioni in tema di distanze.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono fondate.
La Corte di Appello, confermando la decisione del Tribunale, ha ritenuto che l’ascensore realizzato dal Comune rientrasse nell’ambito
dei cd. volumi tecnici, in quanto questi ultimi ‘… sono essenzialmente destinati ad ospitare impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione dell’immobile (ossia, tra gli altri, gli ascensori)’ ed ha aggiunto l’ulteriore considerazione che l’ascensore costituirebbe ‘… un elemento che deve essere necessariamente previsto dai progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici ovvero per la ristrutturazione di interi edifici (Cass. sez. II 3/08/2012 n.14096)’ (cfr. pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata). Sulla base di tale premessa logica, la Corte calabrese ha ritenuto esclusa l’opera in concreto eseguita dal Comune, rappresentata da una cassa esterna all’edificio, destinata ad ospitare l’ascensore di cui è causa, dall’obbligo di rispettare la normativa in tema di distanze.
In effetti, in materia di distanze, questa Corte ha affermato il principio secondo cui ‘In tema di distanze legali tra fabbricati, integra la nozione di volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione, solo l’opera edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinata a contenere impianti serventi quali quelli connessi alla condotta idrica, termica o all’ascensore- di una costruzione principale per esigenze tecnico funzionali dell’abitazione e che non possono essere ubicati nella stessa’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20886 del 26/11/2012, Rv. 624601; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30708 del 27/11/2018, Rv. 651529).
Tuttavia, quel che deve essere considerato è che, nel caso di specie, il ricorso originariamente proposto dal Russo, odierno ricorrente, aveva contenuto possessorio, in quanto con esso era stata lamentata la turbativa del possesso di un diritto di veduta, esercitato dal predetto ricorrente attraverso le aperture (finestra e balcone) presenti nel suo immobile. La Corte distrettuale, dunque, ha erroneamente applicato al caso specifico la giurisprudenza concernente la controversia di natura
petitoria, senza avvedersi che, ai fini della tutela del possesso del diritto di veduta, occorre avere riguardo al potere di fatto sulla cosa, corrispondente al diritto (nel caso di specie, diritto di veduta); inoltre, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare che – in tema di tutela delle vedute, rientra nel concetto di ‘fabbrica’ qualsiasi manufatto concretamente idoneo a limitare il diritto predetto. Sotto questo profilo, va ribadito che ‘Il divieto di costruire a distanza inferiore a tre metri da una preesistente veduta, stabilito dall’art. 907 c.c. a salvaguardia di tale diritto, riguarda in genere una “fabbrica” realizzata a distanza inferiore da quella prevista dalla legge, di qualsiasi materiale e forma, idonea ad ostacolare stabilmente l’esercizio della inspectio e della prospectio e, quindi, anche i muri di cinta, i quali -secondo la previsione di cui all’art. 878, comma 1, c.c.- sono soltanto esentati dal computo della distanza tra costruzioni su fondi finitimi di cui all’art. 873 c.c. e non anche dall’osservanza delle distanze stabilite a tutela delle vedute’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 26263 del 18/10/2018, Rv. 650781; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12033 del 31/05/2011, Rv. 618112; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12299 del 04/12/1997, Rv. 510703).
Il principio, affermato in relazione al muro di cinta, a maggior ragione si applica al manufatto oggetto del presente giudizio.
Questa Corte, proprio con riferimento all’ipotesi della realizzazione di un ascensore esterno all’edificio, ha affermato che ‘… l’articolo 3, comma 1, della legge n. 13 del 9 gennaio 1989, prevede espressamente che “Le opere di cui all’articolo 2 possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati”. L’articolo 2 della legge in questione, richiamato dall’articolo 3, comma 1, dispone, invece, che “Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli
edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all’articolo 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, sono approvate dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile. 2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages. 3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile”. Emerge, quindi, con evidenza, da un mero esame letterale della normativa richiamata che le opere a cui fa riferimento l’articolo 3, comma 1, sono solo quelle necessarie a rimuovere le barriere architettoniche all’interno di edifici condominiali, essendo le disposizioni menzionate finalizzate ad impedire che l’inerzia od il rifiuto degli altri condomini comportino un danno per il soggetto con difficoltà di deambulazione. L’articolo 3, comma 2, della legge n. 13 del 1989, secondo cui “E’ fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune” deve essere interpretato, quindi, alla luce del chiaro contesto letterale all’interno del quale si inserisce,
come volto a consentire deroghe alla normativa sulla distanze, a prescindere dalla relativa fonte, solo in ambito condominiale e non ove vengano in rilievo rapporti fra edifici distinti appartenenti a proprietà separate. Se ne ricava che l’inciso “alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune” non può essere letto, come vorrebbero i ricorrenti, con riguardo alla “proprietà esclusiva” in contrapposizione all'”uso comune”, poiché tutte le disposizioni citate evidenziano che il testo della legge mira a consentire deroghe alle regole sulle distanze quando gli interventi debbano verificarsi all’interno di un condominio e che, perciò, dette deroghe non sono permesse qualora sussistano fondi contigui di diversa proprietà ovvero non vi sia uno spazio di proprietà od uso comune fra fondi finitimi. D’altronde, anche da un punto di vista logico, non avrebbe senso consentire tali deroghe ove non sorgano contrasti fra i proprietari dell’edificio nel quale le barriere architettoniche devono essere rimosse, ben potendo essi trovare la soluzione più appropriata senza comprimere i diritti di soggetti estranei alla proprietà interessata dai lavori. Lo stesso articolo 3, comma 2, della legge n. 13 del 1989 perderebbe ogni rilievo ove dovesse essere accolta l’interpretazione propugnata dei ricorrenti, poiché non potrebbe mai verificarsi, in concreto, la salvezza ivi prevista dell’applicazione delle disposizioni sulle distanze’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21645 del 19/09/2017, non massimata, pagg. 4 e ss. della motivazione; negli stessi termini, cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 34461 dell’11/12/2023, non massimata, pagg. 10 e ss. della motivazione).
La Corte d’Appello ha quindi errato ad applicare le norme e le nozioni valevoli in tema di distanze tra costruzioni ex art. 873 e ss laddove ha ritenuto che il manufatto, realizzato all’esterno del palazzo, destinato ad ospitare la cabina dell’ascensore possa essere considerato sub specie di volume tecnico. Parimenti ha errato a ritenere che il
manufatto possa comunque rientrare nell’ambito della disposizione eccezionale di cui all’art. 3 della legge n. 13 del 1989, la cui applicazione è riservata all’ipotesi in cui l’opera da realizzare per abbattere le barriere architettoniche sia collocata in un contesto condominiale e a condizione che, tra di essa ed il bene di proprietà individuale, sia interposto uno spazio o area di proprietà comune.
La Corte distrettuale, inoltre, ha erroneamente ritenuto assorbita la questione concernente la prova della titolarità del diritto di veduta rivendicato dal Russo, trascurando di considerare che, vertendosi in materia di azione possessoria, non occorreva fornire la prova dell’esistenza del diritto di servitù, ma era sufficiente dimostrare il mero possesso, ovverosia un esercizio di fatto corrispondente al diritto. Sotto questo profilo, va osservato che il Comune non aveva mai disconosciuto, nel corso del giudizio di merito, l’esistenza delle aperture sull’edificio Russo, dalle quali quest’ultimo aveva allegato di esercitare la veduta.
La dimostrazione dell’esercizio del possesso della veduta, da parte del Russo (e la relativa tutela della situazione di fatto in sede possessoria) non incide però in alcun modo sulla diversa questione tipicamente petitoria – della regolarità delle aperture dallo stesso praticate sulla sua proprietà sotto il profilo del rispetto delle distanze dal contiguo fondo ai sensi degli artt. 905 e 906 cc (su cui si appunta l’altra contestazione del Comune, che lamenta, appunto, l’apertura di vedute a distanza non legale e la mancanza di prova dell’acquisto della relativa servitù), questione che ben potrà costituire oggetto di autonomo giudizio a contenuto petitorio ex art. 949 cc.
I due motivi in esame, dunque, meritano di essere accolti, e ciò comporta l’assorbimento delle ulteriori due censure, rispettivamente
contenute nel terzo e quarto motivo, con i quali si lamenta, rispettivamente:
-l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che finestre e balconi del Russo sarebbero stati aperti a distanza irregolare dal fondo del Comune, senza considerare che essi risalivano a prima del 1967 (terzo motivo);
-l’omessa pronuncia su un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe dovuto affrontare il tema dell’esistenza di un diritto di veduta in capo al Russo (quarto motivo).
In definitiva, vanno accolti il primo e secondo motivo del ricorso, assorbiti i restanti. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo e secondo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 27 marzo 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME
IL RELATORE NOME COGNOME