Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19776 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19776 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15751/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio COGNOME–COGNOME , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ;
– controricorrente –
nonché
CONDOMINIO ‘SANTA COGNOME‘;
– intimato –
avverso la sentenza n. 432/2021 della CORTE D’APPELLO di LECCE, pubblicata in data 13/04/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Condominio ‘RAGIONE_SOCIALE‘ di INDIRIZZO in Nardò adiva il Tribunale di Lecce al fine di sentir condannare Seclì NOME – proprietario di un appartamento con cortile sito al piano terra – alla rimozione di due fioriere in cemento collocate a ridosso delle aperture di aerazione dell’intercapedine condominiale, le quali, ostruendo il varco, avevano causato infiltrazioni di umidità, nonché alla estirpazione di alcuni alberi piantati in violazione delle distanze legali. Spiegava intervento volontario la condomina NOMECOGNOME la quale, lamentando danni da infiltrazioni al proprio immobile, concludeva per la condanna del Seclì al ripristino dei luoghi, al risarcimento dei pregiudizi patiti, nonché alla rimozione delle fioriere. Il Tribunale, istruita la causa mediante prova per interpello, prova per testi ed espletamento di due consulenze tecniche d’ufficio, con sentenza n. 5657/2015, condannava il convenuto alla rimozione delle fioriere e degli alberi piantati a distanza non legale, nonché al risarcimento del danno in favore dell’intervenuta, liquidato nella misura di euro 1.500,00.
Sul gravame interposto da COGNOME NOME, contrastato dal Condominio e da NOME, la quale proponeva a sua volta appello incidentale, la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n. 432/2021, pubblicata in data 13/04/2021, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, rigettava la domanda di rimozione degli
alberi a distanza non legale, nonché la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla COGNOME. A fondamento della propria decisione, la Corte distrettuale osservava che: a) il primo consulente officiato dal Tribunale, Geom. NOMECOGNOME aveva riferito della presenza di alcuni alberi ornamentali non di alto fusto piantati nell’aiuola del Seclì, tali essendo, a norma dell’art. 892 c.c., ‘ quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami ‘; b) dalle fotografie in atti emergeva che l’altezza degli alberi era appunto data dai rami, e non dal fusto; c) il secondo consulente, Geom. COGNOME era incorso nell’errore di misurare l’altezza delle piante sino alla loro sommità, ‘ senza tenere conto, come per legge, dell’altezza del solo tronco ‘; d) detto errore era peraltro irrilevante, in quanto lo stesso CTU COGNOME nel rispondere alle osservazioni delle parti, aveva dato atto che gli alberi risultavano ubicati ad una distanza abbondantemente superiore a quella di tre metri stabilita dal codice civile; e) quanto, poi, all’umidità riscontrata nell’immobile della INDIRIZZO, erano condivisibili le conclusioni del Geom. COGNOME il quale aveva ricondotto i fenomeni di infiltrazione alla cattiva esecuzione dei cunicoli di aerazione dell’intercapedine condominiale, e in particolare alla mancata impermeabilizzazione delle pareti; non erano viceversa condivisibili le osservazioni del Geom. COGNOME il quale aveva ritenuto le infiltrazioni riconducibili anche all’aiuola del Seclì in cui erano state messe a dimora le specie arboree, al grosso vaso ornamentale collocato in prossimità dell’apertura di aerazione del cunicolo e, ancora, alla presenza di opere nella proprietà del convenuto prive di adeguata impermeabilizzazione. Infatti, la documentazione fotografica in atti documentava l’esistenza di simili
danni da umidità anche in altre zone dello stabile condominiale, non contigue alla proprietà RAGIONE_SOCIALE.
Contro tale sentenza NOME ha proposto ricorso sulla base di un unico, articolato, motivo, cui Seclì NOME ha resistito con controricorso. Il Condominio ‘Santa Famiglia’ è rimasto invece intimato.
In prossimità dell’adunanza le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico motivo di ricorso, articolato in tre censure, è così rubricato: ‘ Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 892 c.c., nonché degli artt. 115, 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Omessa, erronea e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ‘.
Con la prima censura, nel denunciare ‘ erronea e contraddittoria valutazione in merito alla qualificazione delle piante ‘, la ricorrente deduce che il giudice di merito avrebbe errato a limitare al solo tronco la misurazione dell’altezza delle specie arboree oggetto di causa, così pervenendo alla loro qualificazione in termini di alberi di medio fusto; sostiene che, in base agli accertamenti del Geom. COGNOME il quale aveva preso in considerazione anche l’estensione dei rami, le piante avrebbero dovuto essere qualificate come alberi di alto fusto, avendo raggiunto un’altezza dal suolo di mt. 4,84, di gran lunga superiore al limite di mt. 3 stabilito dall’art. 892, primo comma, n. 2, c.c.
Con la seconda censura, nel denunciare ‘ omessa ed erronea valutazione in merito alla distanza legale delle piante ‘, la ricorrente
deduce che il Geom. COGNOME contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di merito, aveva dato atto che le specie arboree di cui ai n. 1 e n. 2 dell’elaborato peritale si trovavano ad una distanza di mt. 2,71 e mt. 2,21 dal confine, inferiore a quella di mt. 3 prescritta dal codice civile per gli alberi di alto fusto.
Le censure, suscettibili di esame congiunto, sono fondate nei termini che seguono.
Ai fini della verifica del rispetto delle distanze stabilite dall’art. 892 c.c., la Corte distrettuale ha tenuto conto dell’altezza degli alberi nei limiti ‘ del solo loro tronco ‘, ritenendo irrilevante l’ulteriore estensione verso l’alto dei rami sino alla sommità della chioma (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Orbene, se è corretta l’affermazione del giudice di merito che ai fini della classificazione degli alberi ai sensi dell’art. 892 c.c. non debba essere presa in considerazione l’altezza raggiunta dalla sommità della chioma, non è condivisibile la limitazione della misurazione del ‘fusto’ alla sola estensione del ‘tronco’ propriamente detto, con esclusione di qualsivoglia rilevanza delle diramazioni che da esso si dipartono.
Questa Corte ha affermato che ‘ In tema di distanze per gli alberi, il concetto di “fusto” richiamato dal n. 1 dell’art. 892 c.c. comprende il tronco vero e proprio (da terra alla prima imbracatura) e le branche principali che se ne diramano, fin dove esse si diffondono in rami, dando chioma alla pianta; viceversa, per fusto che “si diffonde in rami”, ai sensi del n. 2, s’intende l’intenso propagarsi degli elementi secondari dell’albero, cioè dei rami in senso stretto, i quali non fanno parte integrante del fusto ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26130 del 30/12/2015, Rv. 637978).
Come precisato dalla citata sentenza, che a sua volta richiama, in motivazione, Cass. n. 1792/1962, l’espressione ‘ fusto diviso in rami’ di cui all’art. 892, primo comma, n. 1 c.c., allude alla suddivisione in branche del fusto, che continua in esse il suo naturale percorso in altezza, mentre l’espressione ‘ fusto che si diffonde in rami’ , di cui all’art. 892, primo comma, n. 2 c.p.c., allude all’intenso propagarsi degli elementi secondari dell’albero, cioè dei rami in senso stretto, portatori di foglie e/o frutti, i quali non fanno parte integrante del fusto (cfr., in senso conforme, anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15016 del 21/11/2000, Rv. 541953).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello pare aver identificato il ‘fusto’ con il solo ‘tronco’ propriamente detto (peraltro, senza nemmeno indicarne l’altezza accertata), negando aprioristicamente rilevanza alle ulteriori diramazioni che da esso si dipartono: ‘ l’altezza prevalente di dette piante è riferibile ai rami posti alla loro sommità, e non al fusto ‘ (così, ancora, a pag. 5 della sentenza). Tale argomentare, tuttavia, non consente di comprendere se le specie arboree di cui si discute presentino un fusto ‘diviso in rami’ (i quali, costituendo branche principali del tronco, concorrono alla misurazione dell’altezza dell’albero ai fini di quanto previsto dall’ art. 892 c.c.), ovvero un ‘fusto che si diffonde in rami’, questi ultimi intesi come i soli elementi secondari portatori di foglie e/o frutti. Il giudice di merito discorre infatti di tronco, di rami e di chioma, affermando che non deve farsi riferimento all’altezza della sommità di quest’ultima per la classificazione delle piante, ma omette poi l’accertamento dell’altezza della parte aerea degli alberi costituita dalla sezione che va dal suolo sino alla diramazione del
tronco nelle sue branche principali e che da queste ultime prosegue sino al propagarsi degli elementi secondari.
Come poi risulta dall’esame del passo della CTU del Geom. COGNOME trascritto a pag. 10 del ricorso, il consulente aveva espressamente affermato che le specie arboree piantate nell’aiuola del Seclì, individuate ai nn. 1 e 2 dell’elaborato tecnico, si trovavano ad una distanza di mt. 2,21 e mt. 2,71 dal confine, cosicché risulta priva di riscontro l’affermazione della Corte distrettuale, secondo cui la qualificazione degli alberi – come di alto o medio fusto sarebbe stata persino irrilevante nella fattispecie, trattandosi di piante di cui il consulente tecnico avrebbe accertato l’ubicazione ‘ ad una distanza abbondantemente superiore a quella prevista dal codice civile ‘ (cfr. pag. 5 della sentenza).
In conclusione, entrambi i profili di censura in esame debbono essere accolti.
Non merita invece accoglimento la terza censura, con la quale la ricorrente, nel denunciare ‘ erronea e contraddittoria valutazione in merito ai danni all’intercapedine ‘, lamenta che il giudice di merito non avrebbe preso in considerazione gli accertamenti eseguiti dal Geom. COGNOME in ordine ai danni prodotti dall’umidità; accertamenti dai quali sarebbe emerso uno stato di degrado maggiore dell’intercapedine contigua all’unità abitativa della INDIRIZZO rispetto a quello riscontrato nelle altre parti dello stabile condominiale. In particolare, la ricorrente sostiene che la Corte d’Appello non avrebbe reso alcuna motivazione per escludere l’incidenza sul piano causale, rispetto alle infiltrazioni nella proprietà Colomba, dei fattori che il CTU aveva espressamente indicato nella propria relazione, quali: l’ostruzione del varco di
aerazione del cunicolo con la fioriera in cemento; la presenza dell’aiuola con piante bisognose di continua irrigazione; la presenza di opere nella proprietà RAGIONE_SOCIALE (pavimentazione sovrastante l’intercapedine, scala e ballatoio) non adeguatamente impermeabilizzate.
In proposito, la Corte territoriale ha esaminato e messo a confronto le due consulenze esperite in prime cure ed ha ritenuto di aderire alle conclusioni cui era pervenuto il Geom. NOMECOGNOME il quale aveva accertato che i danni ‘ riguardanti sia l’umidità sulle pareti che sul solaio del cunicolo di aerazione, sono legati essenzialmente al carattere ‘sacrificale’ che ha tale muratura del cunicolo ed al fatto di non essere stato in fase di costruzione opportunamente impermeabilizzato; non sono quindi tali danni attribuibili direttamente alla presenza delle piante nell’aiuola lato strada. Peraltro trattandosi di intercapedine ventilata la presenza di copiosa umidità sulla parete contro terra è un fatto naturale e connesso alla sua funzione. Per quanto attiene l’umidità presente sul solaio, e dallo stesso discendente sulle murature verticali, la stessa è da attribuire allo stato fessurativo generato dal cedimento strutturale della parete contro terra dovuto certamente a cattiva esecuzione in fase di costruzione del cunicolo di aerazione del condominio ‘ (così a pag. 5 della sentenza). La Corte d’Appello non ha invece condiviso le opposte conclusioni cui era pervenuto il Geom. COGNOME il quale aveva dato atto di un maggior degrado dell’intercapedine di proprietà COGNOME eziologicamente ricondotto alle opere presenti nella proprietà Seclì. Il giudice di seconde cure ha infatti osservato che tali valutazioni non avevano trovato alcun riscontro nelle fotografie relative alle condizioni degli interni delle
proprietà COGNOME, COGNOME e di altri condomini, le quali ‘ rappresentano l’esistenza in ogni diverso ambito oggetto di esame, di danni (macchie d’umido diffuse ed ampi distacchi di intonaco) del tutto sovrapponibili in termini di gravità igienico sanitaria ed estensione. Tutti i rilievi fotografici in atti … evidenziano che i danni interessano perlopiù le pareti fuori terra dell’intercapedine … ‘ (così a pag. 7 della sentenza). Sulla scorta di tali risultanze, la Corte d’Appello ha quindi ritenuto che i danni lamentati dalla COGNOME – del tutto similari a quelli riscontrati in altre porzioni dello stabile condominiale non contigue alla proprietà COGNOME -fossero ascrivibili, con probabilità assolutamente preponderante, alla cattiva realizzazione dei cunicoli rilevata dal primo consulente, e non all’originario convenuto.
Non sussiste, dunque, il vizio di omessa motivazione denunciato dalla ricorrente, dovendosi ribadire che la motivazione del provvedimento può dirsi mancante solamente nel caso in cui il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017, Rv. 643793). Nel caso di specie, invece, la motivazione della sentenza impugnata è ampiamente idonea a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione, nel rispetto del cd. minimo costituzionale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
D’altra parte, la Corte distrettuale, nell’accertamento del nesso eziologico, ha fatto corretta applicazione del criterio giuridico del ‘più probabile che non’, il quale, secondo costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 25805 del 26/09/2024, Rv. 672460), impone al giudice di dare prevalenza alla spiegazione causale che si presenta come più probabile (nella specie, individuata nella cattiva esecuzione dell’intercapedine e dei cunicoli di aerazione), tenuto conto della comparazione con le diverse spiegazioni alternative (nella specie, la presenza della fioriera in cemento, dell’aiuola con gli alberi e delle opere non adeguatamente impermeabilizzate), attenendosi nella valutazione ad un concetto di probabilità non necessariamente statistico, ma altresì logico, tale per cui, nella comparazione tra due o più possibili spiegazioni di un evento, una di esse prevale sulle altre in ragione dei suoi riscontri probatori o della sua coerenza intrinseca o di altro criterio di giudizio valido a sorreggere la decisione (nella specie, prevalenza accordata ai vizi di costruzione dei cunicoli, in ragione della riscontrata presenza di danni da umidità eguali a quelli verificati nella proprietà COGNOME anche in altri spazi dello stabile condominiale non contigui alla proprietà RAGIONE_SOCIALE).
Infine, nella parte in cui la ricorrente sostiene che i danni riscontrati nella proprietà COGNOME sarebbero stati di entità maggiore rispetto a quelli che avevano interessato le restanti porzioni dello stabile condominiale, ragion per cui la relativa eziologia avrebbe dovuto essere necessariamente ricondotta alle opere presenti nella proprietà Seclì, il profilo di censura in esame si risolve in una critica alla valutazione del compendio istruttorio fatta propria dal giudice di seconde cure, e non tiene conto che il
motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790), spettando soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee alla dimostrazione dei fatti (cfr. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 5802 dell’11/06/1998, Rv. 516348).
All’accoglimento della prima e della seconda censura, consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa per un nuovo esame del merito, oltre che per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, che riesaminerà la domanda sulle distanze legali delle piante collocate nell’aiuola del Seclì attenendosi ai principi di diritto sopra menzionati.
P.Q.M.
La Corte accoglie la prima e la seconda censura in cui è articolato l’unico motivo di ricorso, rigetta la restante, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia la causa per un nuovo esame del merito, oltre che per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione