Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13197 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13197 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13412/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 319/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Nola condannò NOME COGNOME al pagamento, in favore dell’attore NOME COGNOME, della quota parte, ritenuta di giustizia, della somma spesa per il rifacimento dei solai comuni d’un fabbricato ;, in accoglimento della domanda riconvenzionale,
condannò anche l’attore NOME COGNOME a pagare, a sua volta, una somma di denaro a titolo d’indennità di sopraelevazione e a eliminare la <>.
È utile ricordare della vicenda fattuale quanto segue: NOME COGNOME è proprietario dell’appartamento posto al primo piano di un edificio di vecchia costruzione e NOME COGNOME del locale a piano terra. L’attore, che a seguito di ordinanza del Comune di Brusciano, aveva provveduto a mettere in sicurezza i solai, aveva chiesto che la convenuta fosse condannata al rimborso della metà di quanto speso, equivalente a € 7.164,64, oltre al risarcimento del danno patito a causa del ritardo, causato, a suo dire, dall’ostruzionismo di NOME COGNOME.
La convenuta, a sua volta, in via riconvenzionale aveva chiesto che le fosse corrisposta l’indennità di sopraelevazione messa in opera dal convenuto, nonché l’abbattimento del sottotetto e della scala edificata all’interno del cortile comune, realizzati a distanza non legale, nonché che le fosse risarcito il danno, quantificato in € 30.000,00.
La Corte d’appello di Napoli confermò la sentenza di primo grado.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione della decisione d’appello sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria.
La controparte resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Con il primo motivo viene denunciato omesso esame di un fatto controverso e decisivo, violazione di norme di diritto, omessa
e/o apparente motivazione, in relazione agli artt. 111, co. 6, Cost., 132, n. 4 cod. proc. civ., 1102 e 1139 cod. proc. civ.
Si assume che il pilastro messo in opera dal ricorrente dista m. 1,75 da quella parte d’immobile di proprietà della controricorrente, che fa parte del medesimo edificio. Lo stesso era stato posto a sostegno della scala collocata in sopraelevazione, al fine di raggiungere la copertura del primo piano. Tutto ciò in conformità di atto di divisione sottoscritto anche da NOME COGNOME padre e dante causa di NOME
Di ciò i Giudici del merito non avrebbero tenuto conto.
Inoltre, viene soggiunto, l’art. 873 cod. civ. non opera in materia di unità appartenenti al medesimo corpo di fabbricato, secondo il principio di diritto più volte enunciato in sede di legittimità.
2 . Con il secondo motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 873 cod. civ.
Si assume che il pilastro di cui si discute è stato giudicato posto a distanza illegale anche rispetto a un vano di esclusiva proprietà della controricorrente. La misura di m. 6,5 era stata computata con proiezione radiale, nel mentre avrebbe dovuto essere di tipo lineare, dovendosi assicurare il rispetto della distanza fra edifici fronteggianti e in tal senso militava la giurisprudenza di legittimità.
Per contro, la Corte d’appello, che non aveva inteso rinnovare la c.t.u., aveva computato la distanza in maniera palesemente radiale, siccome era dato cogliere dallo stralcio planimetrico allegato al ricorso.
Entrambe le doglianze, connesse fra loro, meritano di essere accolte sotto il profilo della violazione di legge e della motivazione
apparente, salvo una necessaria preliminare precisazione sul vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc .
In presenza di ‘doppia conforme’, sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Peraltro, è appena il caso di soggiungere che il vizio contemplato dal n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. deve riguardare fatti storici o documenti e non già ‘argomenti’ adottati dalla motivazione.
In presenza di ‘doppia conforme’, sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Quindi, le censure sono inammissibili laddove denunziano il vizio di omesso esame.
Fondata, per contro, deve ritenersi la denunciata violazione degli artt. 1102, 1139 e 873 cod. civ., nonché il vizio d’apparenza motivazionale.
La sentenza impugnata, dopo aver precisato a pag. 4 che l’appellante si era doluto della misurazione in maniera radiale e non lineare effettuata dal c.t.u., ha disatteso la censura rilevando <>.
La giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (tra le varie, S.U. n. 2767/2023).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Alla luce dei richiamati principi l’impugnata sentenza deve essere dichiarata nulla, poiché sorretta da un costrutto motivazionale di pura ed evidente apparenza, attraverso il quale il giudice non ha spiegato le ragioni della propria decisione, la quale s’impone e giustifica proprio attraverso la piena visibilità del percorso argomentativo, avendo egli il dovere di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, non essendo bastevole una sommaria evocazione priva di un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (in tal senso, da ultimo, Cass. nn. 9105/2017, 20921/2019, 13248/2020).
Avuta chiara la questione posta dall’appellante, la Corte di merito, piuttosto che chiarire se, in effetti, il c.t.u. avesse proceduto a misurare radialmente o, piuttosto, linearmente la distanza del pilastro dal vano della controparte, si è limitata a enunciare la superfluità di una nuova indagine, evocando <>.
Trattasi, per vero di espressioni non pertinenti, che non chiariscono se la misurazione è stata effettuata in maniera radiale o lineare e nulla dicono delle conseguenze da trarsi a seconda del tipo di misurazione effettuata dal tecnico.
Distinzione, questa, di importanza decisiva.
Invero, questa Corte ha più volte avuto modo di affermare che, in tema di limitazioni legali alla proprietà, l’art. 873 c.c., la cui finalità consiste nell’evitare intercapedini dannose, si applica solo all’ipotesi di fabbricati che, sorgendo da bande opposte rispetto alla linea di confine, si fronteggiano, anche solo in minima parte, onde la distanza tra gli stessi va misurata in modo lineare e non, come invece previsto in materia di vedute, in modo radiale (Sez. 2, n. 9649, 11/05/2016, Rv. 639696 -01; conf. ex multis, Cass. nn. 2548/1972, 7285/2005, 7048/1993, 6164/1992, 10580/2019).
Sotto altro profilo la sentenza merita, del pari, censura.
Questa Corte ha chiarito che la regolamentazione generale sulle distanze è applicabile anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la norma speciale in tema di condominio in ragione della sua specialità. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c. deve ritenersi legittima l’opera realizzata senza osservare le norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (Sez. 2, n. 30528, 19/12/2017, Rv. 646609 -01; conf. ex multis, Cass. n. 6546/2020).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha omesso di verificare se il pilastro messo in opera dal ricorrente a una distanza
di m. 1, 75 dalla parte di edificio di proprietà esclusiva della controricorrente, pur se non conforme alla disciplina sulle distanze tra fabbricati, debba ritenersi legittimo, ove si constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ.
Con il terzo motivo viene denunciato omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1127 e 1367 cod. civ.
Si assume che l’indennità di sopraelevazione non fosse dovuta, in quanto con l’atto di divisione del 4.2.1975 era stato assegnato a NOME COGNOME dante causa del ricorrente, il diritto di sopraelevare a titolo gratuito. Contratto stipulato dai fratelli COGNOME rispettivi primigeni danti causa delle parti in causa.
Il motivo è infondato sotto il profilo della violazione di legge, a voler prescindere dall’inammissibile evocazione dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo in presenza di ‘doppia conforme’, come sopra si è visto.
Questa Corte, come ricorda la sentenza impugnata, ha affermato il principio secondo il quale l’indennità prevista dall’ultimo comma dell’art.1127 cod. civ. trae fondamento dalla considerazione che, per effetto della sopraelevazione, il proprietario dell’ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio che, ai sensi dell’art. 1118 primo comma cod. civ., è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene; pertanto, il legislatore ha inteso compensare in parte i condomini, assumendo a parametro il valore del suolo occupato, che costituisce l’unica parte comune suscettibile di valutazione autonoma. Ne consegue che un titolo attributivo al proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare della proprietà esclusiva della colonna d’aria non è idoneo ad esonerare
dall’obbligo di pagamento dell’indennità prevista per la sopraelevazione, poiché al titolo in questione, ai sensi dell’art. 1424 cod. civ., potrebbe essere riconosciuta solo la più limitata efficacia di rinuncia da parte degli altri condomini alla (futura ed eventuale) indennità di cui all’art. 1127 cod. civ.; rinuncia che, essendo priva di effetti reali, non impegnerà gli aventi causa a titolo particolare dagli originari stipulanti (Sez. 2, n. 12880, 16/6/2005, Rv. 581421 -01).
4. Con il quarto ed ultimo motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché <> degli artt. 1117, 1110, 1134 e 1223 cod. civ., nonché <>.
Il ricorrente assume, dolendosi della riduzione del rimborso, che la Corte locale avrebbe errato per non avere riconosciuto le esposte spese ulteriori (ponteggi e impermeabilizzazione), nonostante in atti vi fossero le fatture.
Precisa che questi esborsi erano stati puntualmente ed espressamente richiesti alla controparte con lettera raccomandata.
Inoltre, soggiunge, versandosi in ipotesi di condominio minimo, ai sensi dell’art. 110 cod. civ., il condomino che effettua dei lavori deve solo dimostrarne l’urgenza per avere diritto al rimborso pro quota e qui, prosegue l’esponente, l’urgenza era provata.
Infine, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento del risarcimento per il danno che gli era stato procurato da NOME COGNOME la quale aveva ritardato la consegna delle chiavi, necessarie per accedere ai luoghi ove svolgere i lavori, dal dicembre 2004 al luglio dell’anno successivo, ritardo che aveva provocato la sospensione dei lavori da parte dell’impresa appaltatrice. Nonché del mancato riconoscimento del danno per
non avere potuto locare l’immobile di sua proprietà per le esposte ragioni.
Il motivo e in parte inammissibile e per altra parte infondato.
Quanto alla denuncia di omesso esame di un fatto controverso e decisivo si è già detto.
Nel resto la doglianza mira a un improprio riesame di merito.
La Corte d’Appello ha affermato, condividendo il ragionamento del Giudice di primo grado, che quegli esborsi pretesi e negati non risultavano <>.
L’esposta ratio decidendi non risulta specificamente attinta dalla doglianza, la quale, peraltro, indulge in considerazioni estranee al tema della decisione fatto oggetto del giudizio e qui, per la prima volta, sviluppati.
La denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta
interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
Non dissimile ragionamento va fatto, infine, a riguardo del preteso risarcimento del danno negato dalla Corte di Napoli.
Il Giudice di secondo grado ha accertato che il ritardato rilascio dei locali di proprietà dell’odierno ricorrente da parte dei familiari di NOME COGNOME sulla base delle evidenze probatorie di causa, non risulta correlato alla domanda risarcitoria.
Invero, NOME COGNOME che con il ricorrente aveva stipulato contratto di locazione dei locali di cui trattasi (siccome la Corte locale ha tratto dagli stessi atti prodotti in giudizio da NOME COGNOME) <>.
Siffatta ‘ratio decidendi’ non risulta specificamente attinta dal motivo.
Infine, non merita miglior fortuna la prospettazione di un diritto al risarcimento del danno in ‘re ipsa’.
Invero le Sezioni unite hanno chiarito che, in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale
(sentenza n. 33645, 15/11/2022, Rv. 666193 -01; conf., Cass. n. 6909/2025).
Nel caso di specie, come si è visto, alcuna concreta possibilità di sfruttamento del bene risulta essere andata perduta, per il semplice motivo che i locali non erano locabili in ragione dei lavori svolti dal ricorrente, del tutto autonomi e indipendenti rispetto a quelli concernenti rispetto al rifacimento dei solai divisori.
In conclusione, accolti i due primi motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio.
Il Giudice del rinvio, che si individua nella Corte d’appello di Napoli, in altra composizione, provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione agli accolti motivi e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in altra composizione, anche per il regolamento del capo delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 febbraio