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Distanze in condominio: le regole del Codice Civile

In una disputa tra comproprietari, la Corte di Cassazione ha stabilito che le norme sulle distanze tra costruzioni (art. 873 c.c.) non si applicano in modo automatico all’interno di un unico edificio. In questi casi, prevale la disciplina sull’uso delle parti comuni (art. 1102 c.c.). La Corte ha cassato la sentenza d’appello per ‘motivazione apparente’, non avendo chiarito i criteri di misurazione adottati né giustificato l’applicazione delle norme sulle distanze in condominio. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Distanze in Condominio: Quando le Regole Generali Lasciano il Passo all’Uso della Cosa Comune

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nella vita condominiale: l’applicazione delle norme sulle distanze in condominio. La pronuncia chiarisce che le regole generali sulle distanze tra edifici, pensate per costruzioni su fondi confinanti, non sempre si applicano all’interno di un unico fabbricato, dove possono prevalere le norme specifiche sull’uso delle parti comuni. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i limiti e le facoltà dei singoli condomini nell’eseguire opere che interessano la struttura comune.

I Fatti di Causa

La vicenda nasce dalla controversia tra due parenti, proprietari di unità immobiliari nello stesso stabile: uno al piano terra e l’altro al primo piano. Il proprietario del primo piano, a seguito di un’ordinanza comunale, aveva eseguito lavori di messa in sicurezza dei solai comuni, chiedendo poi al parente il rimborso della metà delle spese sostenute. Quest’ultimo, però, non solo si era opposto, ma aveva presentato una domanda riconvenzionale. Contestava al proprietario del primo piano la realizzazione di una sopraelevazione e, in particolare, l’edificazione di un pilastro a sostegno di una nuova scala, a suo dire, a una distanza illegale dalla sua proprietà. Chiedeva quindi un’indennità per la sopraelevazione e la demolizione delle opere abusive.

I Giudizi di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione al proprietario del piano terra sulla questione del pilastro, condannando l’altro a rimuoverlo e a pagare l’indennità di sopraelevazione. Secondo i giudici di merito, la costruzione non rispettava le distanze legali.

Il Ricorso in Cassazione e le Distanze in Condominio

Il proprietario del primo piano ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando diverse questioni. I motivi di ricorso più importanti, e gli unici accolti dalla Suprema Corte, riguardavano proprio la violazione delle norme sulle distanze in condominio.
In sintesi, il ricorrente sosteneva due principi fondamentali:
1. Inapplicabilità dell’art. 873 c.c.: La norma che impone una distanza minima tra costruzioni su fondi diversi non si applica automaticamente tra unità immobiliari dello stesso condominio. In tale contesto, dovrebbe prevalere l’art. 1102 c.c., che regola l’uso delle cose comuni, permettendo a ciascun condomino di servirsene purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimenti uso.
2. Errore sulla motivazione: La Corte d’Appello non aveva adeguatamente motivato la sua decisione, limitandosi a dichiarare superflua una nuova indagine tecnica senza spiegare perché la misurazione effettuata fosse corretta e perché le norme sulle distanze tra edifici dovessero applicarsi al caso di specie.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi relativi alla questione delle distanze, ritenendo la motivazione della sentenza d’appello ‘meramente apparente’. I giudici supremi hanno sottolineato che una sentenza deve rendere percepibile il fondamento della decisione, spiegando il ragionamento seguito. Nel caso specifico, la Corte territoriale non aveva chiarito se la distanza del pilastro fosse stata misurata in modo ‘radiale’ o ‘lineare’, una distinzione tecnica decisiva. Soprattutto, non aveva spiegato perché le norme generali sulle distanze (art. 873 c.c.), finalizzate a evitare la creazione di intercapedini dannose tra edifici distinti, dovessero prevalere sulla disciplina specifica del condominio (art. 1102 c.c.).

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la regolamentazione generale sulle distanze si applica tra i condomini solo se compatibile con la disciplina delle cose comuni. Se un’opera, come il pilastro in questione, viene realizzata su una parte comune nel rispetto dei limiti dell’art. 1102 c.c., essa è da considerarsi legittima anche se non rispetta le distanze previste per i rapporti tra proprietà contigue. La Corte d’Appello aveva quindi il dovere di verificare prima la compatibilità dell’opera con l’uso della cosa comune e solo in un secondo momento, eventualmente, le norme sulle distanze.

Per quanto riguarda gli altri motivi di ricorso, la Corte li ha respinti. La pretesa di non pagare l’indennità di sopraelevazione sulla base di un vecchio atto di divisione è stata rigettata, poiché un’eventuale rinuncia avrebbe avuto solo effetti personali tra le parti originarie e non avrebbe vincolato i futuri acquirenti. Anche la richiesta di maggior risarcimento per i lavori e per i danni da ritardo è stata respinta, in quanto considerata un tentativo di riesaminare il merito dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata limitatamente ai motivi accolti e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, per un nuovo esame. Il nuovo giudice dovrà attenersi al principio secondo cui, all’interno di un condominio, la legittimità di un’opera su parti comuni deve essere valutata prima alla luce dell’art. 1102 c.c. e solo successivamente, se del caso, rispetto alle norme sulle distanze. La sentenza dovrà inoltre essere sorretta da una motivazione completa e non apparente, che dia conto del percorso logico-giuridico seguito.

Le norme sulle distanze tra edifici si applicano sempre all’interno di un unico condominio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la regolamentazione generale sulle distanze (art. 873 c.c.) è applicabile tra i condomini solo se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni (art. 1102 c.c.). Se l’opera rispetta i limiti d’uso della cosa comune, può essere ritenuta legittima anche se non rispetta le distanze previste per i rapporti tra proprietà contigue.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ di una sentenza?
Si ha una motivazione apparente quando essa, pur essendo graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione perché contiene argomentazioni oggettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento del giudice, oppure è talmente generica da non essere riferibile al caso specifico. È un vizio che porta all’annullamento della sentenza.

Il diritto all’indennità di sopraelevazione può essere rinunciato con effetti verso i futuri acquirenti?
No. Secondo la Corte, un eventuale accordo che esoneri dal pagamento dell’indennità di sopraelevazione ha solo un’efficacia personale tra le parti che lo hanno stipulato. Esso costituisce una rinuncia a un diritto di credito e, non avendo effetti reali, non vincola gli aventi causa a titolo particolare (cioè i successivi acquirenti dell’immobile).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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