Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21283 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21283 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15972/2020 R.G. proposto da:
VETTORE NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
COMUNE DI PADOVA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME NOMECOGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 4450/2019 depositata il 17/10/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Viste le conclusioni motivate formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Uditi l’avv. COGNOME per il ricorrente e l’avv. COGNOME su delega, per il controricorrente
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Padova, che aveva a sua volta rigettato la domanda proposta dal Vettore contro il Comune di Padova. Il Vettore, quale proprietario di un immobile in Padova a più piani, con il primo piano adibito a esercizio commerciale, aveva chiesto la condanna dell’ente convenuto alla rimozione di pannelli antirumore ubicati in INDIRIZZO davanti al suo fabbricato, denunziandone il loro posizionamento a distanza inferiore a quella prescritta, sia con riferimento al confine della sua proprietà, sia con riferimento alla propria costruzione. In subordine, aveva chiesto la condanna del Comune al pagamento dell’indennità prevista dall’art. 44 del d.P.R. 327 del 2001.
In primo luogo, la Corte d’appello, adita dal Vettore, ha negato che i pannelli antirumore, in considerazione della loro funzione e delle loro caratteristiche costruttive, integrassero la nozione di costruzione rilevante ai fini dell’applicazione delle norme sulle distanze. La Corte territoriale, inoltre, ha confermato la decisione di primo grado anche nella parte relativa al rigetto della domanda
subordinata, assumendo che non era stata data la prova dei pregiudizi giustificativi del diritto all’indennità.
Per la cassazione della sentenza il Vettore ha proposto ricorso, affidato a dieci motivi.
Il Comune ha resistito con controricorso, con il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto più profili e, fra l’altro, ai sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, c.p.c., evidenziando che le questioni di fatto sarebbero state risolte nello stesso modo nei due gradi di giudizio. Il Comune ha sostenuto ancora che la soluzione della controversia, data dai giudici di merito, era in ogni caso corretta, non essendo realmente applicabili ai pannelli antirumore gli artt. 872 e 873 c.c., trattandosi di manufatti rispetto ai quali risulta invece pertinente il richiamo all’art. 879 c.c.
Il Procuratore Generale, nelle proprie conclusioni scritte, ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente censura la decisione perché la Corte d’appello, nel negare che i pannelli fossero soggetti alle norme sulle distanze, non aveva utilizzato i parametri precisati dalla costante giurisprudenza di legittimità formatasi sugli artt. 872 e 873 c.c. Con il secondo motivo, coordinato con il precedente, la decisione è censurata perché la Corte d’appello ha omesso l’esame delle caratteristiche del manufatto giuridicamente rilevanti ai fini dell’applicabilità delle norme sulle distanze fra costruzioni.
Diversamente da quanto si sostiene nel controricorso, il ricorrente, con riferimento a tale contenuto della decisione impugnata, pone prioritariamente una questione non di fatto, ma di diritto. Invero, se è questione di fatto stabilire se un manufatto integri la nozione
di costruzione ai fini del rispetto della disciplina delle distanze (Cass. n. 3199/2002), è certamente questione di diritto la definizione dei parametri in forza dei quali il giudice di merito deve operare la relativa valutazione.
Ora, la Corte d’appello ha negato che i pannelli antirumore potessero ritenersi ‘rilevanti ai fini dell’applicazione della normativa locale’, affermando in primo luogo che tale normativa riguarderebbe soli i fabbricati. Secondo la Corte veneta, l’intervento per cui è causa non avrebbe ‘comportato la creazione di alcun nuovo volume, né la modificazione della destinazione d’uso della res , né il consumo di suolo inedificato. I pannelli, infatti, non racchiudono né delimitano alcun volume potenzialmente destinabile ad un qualsivoglia uso umano, non hanno alcun effetto in ordine alla concreta destinazione del bene cui afferiscono e, infine, sono stati realizzati nella colonna d’aria sovrastante il sedime stradale o, comunque, ubicata nella relativa area di rispetto e già in precedenza interessata da attività edilizia. Dalla espletata c.t.u. e in particolare dai rilievi fotografici i pannelli, alti m. 3,95 complessivamente, per la maggior parte sono costituiti da materiale trasparente. L’intervento, dunque, non priva il prospicente edificio né della luce, né dell’aria».
Così identificati i parametri utilizzati dalla Corte territoriale per verificare se i pannelli integrassero la nozione di costrizione ex art. 872 e 873 c.c., il primo e il secondo motivo di ricorso, oltre che ammissibili, sono anche fondati e il loro accoglimento comporta l’assorbimento delle censure di cui ai restanti motivi.
Non esistendo alcuna specifica disciplina applicabile alle barriere antirumore, se non quella, richiamata nel controricorso, stabilita per il contenimento e la prevenzione dell’inquinamento acustico
derivante dal traffico veicolare e per la protezione di nuclei abitati dal rumore del traffico stradale o ferroviario, che, tuttavia, riguarda solamente le caratteristiche che tali elementi devono rispettare per poter assolvere al proprio compito, in mancanza di strumenti urbanistici o regolamenti edilizi devono ritenersi valide le norme generali applicabili in tema di distanza tra costruzioni.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, «in tema di distanze legali tra fabbricati, l’art. 873 c.c., nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima di tre metri dal confine o quella maggiore fissata dai regolamenti locali, va interpretato, in relazione all’interesse tutelato dalla norma, nel senso che la nozione di “costruzione” comprende qualsiasi manufatto avente caratteristiche di consistenza e stabilità, o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, per la sua consistenza, abbia l’idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà» (Cass. n. 23189/2012; n. 5735/2014). È pacifico che l’art. 873 c.c. si riferisce, in relazione all’interesse tutelato dalla norma, non necessariamente ad un edificio, ma ad un qualsiasi manufatto, avente caratteristiche di consistenza e stabilità o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, inoltre, per la sua consistenza, abbia l’idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà, idoneità il cui accertamento è rimesso al giudice di merito (Cass. n. 3199/2002). È ancora utile ricordare che la nozione di costruzione, agli effetti dell’art.873 c.c., è unica e non può subire deroghe, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme secondarie, in quanto il rinvio contenuto nella seconda parte del suddetto articolo ai regolamenti locali è
circoscritto alla sola facoltà di stabilire una “distanza maggiore” (Cass. n. 19530/2005; n. 23843/2018).
In relazione alla precisata nozione di ‘costruzione’, è evidente l’errore commesso dalla Corte d’appello, la quale, al fine di stabilire se i pannelli se i pannelli fossero soggetti o no alla normativa locale sulle distanze, ha utilizzato parametri diversi da quelli risultanti dai principi sopra richiamati, secondo i quali «la nozione di “costruzione” comprende qualsiasi manufatto avente caratteristiche di consistenza e stabilità, o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, per la sua consistenza, abbia l’idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà». Quanto all’ulteriore argomento utilizzato dalla Corte di merito, che i pannelli sono stati realizzati nella colonna d’aria sovrastante il sedime stradale, ‘ubicata nella relativa aria di rispetto e già in precedenza interessata da attività lato sensu edilizia’, si ricorda che, secondo la giurisprudenza riguardante agli interventi su costruzioni esistenti, la ‘ristrutturazione’ e la ‘ricostruzione’ sono esenti dall’applicazione della normativa solo se non comportino alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio (Cass., S.U., n. 21578/2011; n. 15041/2018; n. 12535/2024).
Si ritiene di precisare, infine, quanto al richiamo dell’art 879 c.c. fatto dal controricorrente, che il medesimo richiamo introduce una questione non menzionata nella sentenza impugnata, che implica accertamenti di fatto non risultanti dalla stessa sentenza. Solo per completezza di esame, è utile ricordare che la disposizione del secondo comma dell’art 879 c.c. (secondo cui alle costruzioni in confine con le piazze o le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi, le leggi ed i
regolamenti che le riguardano) ha riferimento esclusivo allo spazio di isolamento fra edifici opposti, fra i quali si frappongono le vie o piazze pubbliche (Cass. n. 2923/1973; n. 1013/1992; n. 16117/2000).
Sono assorbiti gli altri motivi del ricorso, con i quali il Vettore censura la decisione, sotto una molteplicità di profili, con riguardo al rigetto della domanda di indennizzo ex art. 44 del d.p.r. 327 del 2001.
In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione al primo e al secondo motivo e la causa rinviata alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra.
La corte di rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda