Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27446 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27446 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8310/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che le rappresenta e difende,
-ricorrenti e controricorrenti al ricorso incidentale- contro
COGNOME NOME ed COGNOME NOME, rappresentati e difesi da ll’avvocato NOME COGNOME,
-controricorrenti e ricorrenti incidentali-
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di BRESCIA n.1229/2022 depositata il 19.10.2022. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
2.10.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME, NOME ed NOME COGNOME, comproprietarie del fabbricato sito in Brescia, INDIRIZZO e INDIRIZZO, convenivano innanzi al Tribunale di Brescia i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, che da loro avevano acquistato nel 1991 alcune unità immobiliari del fabbricato contiguo (un locale ad uso deposito al piano terra e due autorimesse sempre al piano terra su INDIRIZZO), dando luogo alla costituzione di un condominio, chiedendo che questi ultimi fossero condannati a demolire talune opere illegittime (un’autorimessa e dei locali ad uso abitativo collegati alla loro proprietà esclusiva da una scala interna), realizzate nel sottosuolo del fabbricato, da presumersi di proprietà comune ex art. 1117 cod. civ., così violando la loro facoltà di pari uso ex art. 1102 cod. civ., ed a ripristinare le prese d’aria e luce (bocche di lupo) della loro cantina che avevano occluso provocandovi la formazione di umidità e muffe.
I coniugi COGNOME, costituitisi, sostenevano che le RAGIONE_SOCIALE avevano eseguito opere di recupero del sottotetto consistenti nella realizzazione di un nuovo piano, da considerarsi come sopraelevazione e nuova costruzione, tenuta al rispetto delle distanza di 10 metri dalla loro costruzione ai sensi del D.M n.1444/1968, nonché al rispetto delle distanze dal confine di 5 metri di cui alle norme tecniche di attuazione del Comune di Brescia, chiedendo la condanna delle COGNOME alla demolizione o all’arretramento del piano sottotetto, ed in subordine al pagamento dell’indennità di sopraelevazione ex art. 1127 cod. civ.. I coniugi COGNOME si dolevano altresì delle nuove vedute aperte dalle COGNOME a seguito del recupero del sottotetto, realizzate in violazione
della distanza di un metro e mezzo dalla loro costruzione imposta dall’art. 905 cod. civ. e della distanza imposta dalle NTA, chiedendo anche per esse il ripristino, ed in subordine l’arretramento a distanza legale, e sostenevano che l’intervento di recupero del sottotetto delle COGNOME non aveva rispettato le condizioni di sicurezza stabilite dal decreto del Ministro Infrastrutture del 14.1.2008, chiedendone quindi la condanna all’adeguamento a quella normativa.
Con la sentenza n. 1561/2020 del 30.7.2020, il Tribunale di Brescia condannava i coniugi COGNOME alla demolizione delle opere edilizie realizzate nel sottosuolo di fondazione del fabbricato, da presumersi comune ex art. 1117 n. 1) cod. civ., che avevano precluso la facoltà di pari uso delle COGNOME ex art. 1102 cod. civ., nonché al ripristino delle bocche di lupo a servizio della cantina delle COGNOME, oggetto di una servitù per destinazione del padre di famiglia perché già esistenti al momento della formazione del condominio, perché occluse dai coniugi COGNOME, che non avevano provato l’esistenza di un accordo giustificativo di tale occlusione.
Con la stessa sentenza veniva respinta la domanda riconvenzionale dei coniugi COGNOME di pagamento dell’indennità di sopraelevazione e di arretramento del piano sottotetto delle COGNOME, in quanto il CTU non aveva rilevato una variazione dell’altezza interna del primo piano, essendo stato rilasciato il permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione e di mero recupero del sottotetto in conformità alle NTA del Comune di Brescia vigenti, con conseguente inapplicabilità delle distanze previste dal D.M. n. 1444/1968; mentre le COGNOME venivano inoltre condannate alla posa in opera di intonaco armato secondo le indicazioni di pagina 95 della CTU Tortella perché il loro intervento edilizio sul piano sottotetto non era risultato rispondente alle verifiche strutturali, nonché all’arretramento del piano sottotetto lato nord e delle nuove
vedute aperte sulla confinante proprietà dei coniugi COGNOME fino a rispettare le distanze dal confine prescritte dalle NTA del Comune di Brescia per le costruzioni (cinque metri) e per le vedute (un metro e mezzo
La sentenza veniva appellata in via principale dai coniugi COGNOME ed in via incidentale dalle COGNOME.
Con la sentenza n. 1229/2022 del 19.10.2022, la Corte d’Appello di Brescia, rigettava l’appello principale dei convenuti relativo agli interventi edilizi da essi eseguiti all’interrato, confermando che il sottosuolo posto al di sotto del suolo di fondazione dell’edificio comune doveva presumersi di proprietà comune ex artt. 1117 n. 1) e 840 cod. civ., in assenza di prove degli appellanti principali sulla loro proprietà esclusiva.
L’appello principale veniva invece accolto per la parte relativa al recupero del piano sottotetto delle COGNOME, ritenuto realizzato con un innalzamento di m 1,46 e con modifica di sagoma e volumetria, e quindi da qualificare come nuova costruzione, con condanna conseguente delle COGNOME ad arretrare tale manufatto alla distanza di dieci metri dal fabbricato dei coniugi COGNOME ex art. 9 comma primo n. 2) del D.M. n. 1444/1968, ‘ attesa la presenza di una parete finestrata nell’edificio antistante di proprietà RAGIONE_SOCIALE.
L’appello principale veniva altresì accolto, in riforma della pronuncia di condanna di primo grado dei coniugi COGNOME al ripristino delle bocche di lupo, presumendosi dalla Corte di merito, come sostenuto dai predetti, che vi fosse stato l’accordo per la chiusura con le COGNOME, in quanto le bocche di lupo sarebbero risultate chiuse dall’interno della loro proprietà. La sentenza di secondo grado, infine, per effetto dell’affermata applicabilità al piano sottotetto rialzato della distanza di dieci metri prescritta dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, riteneva assorbiti il terzo ed il quarto motivo dell’appello principale, relativi all’indennità ex art. 1127 cod. civ. ed
al mancato rispetto della normativa di sicurezza del DM del 14.1.2008, nonché l’appello incidentale.
Avverso questa sentenza, le COGNOME hanno proposto ricorso a questa Corte, affidandosi a cinque motivi, e i COGNOME hanno resistito con controricorso e ricorso incidentale, affidato a due motivi, al quale hanno resistito le COGNOME con controricorso.
La Procura generale ha concluso per l’accoglimento del primo e quinto motivo di ricorso principale, con assorbimento dei restanti, e per il rigetto del ricorso incidentale.
I soli controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo, fatto valere in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., le RAGIONE_SOCIALE lamentano la violazione dell’articolo 9 comma 1 e 2 ( rectius comma primo n. 2) del D.M. n.1448/1968, laddove la Corte d’Appello di Brescia, nell’accogliere la domanda riconvenzionale, ha dichiarato che la porzione di edificio realizzata in ampliamento dalle RAGIONE_SOCIALE, viola la distanza di 10 metri prescritta da quella disposizione, ‘ per la presenza di una parete finestrata nell’edificio COGNOME
COGNOME antistante la proprietà RAGIONE_SOCIALE‘ . In questo modo, rilevano le COGNOME, il giudice di secondo grado ha falsamente applicato la distanza lineare e non radiale dell’art. 9 comma primo n. 2 del D.M. n. 1444/1968, in quanto la norma, per come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, in realtà presuppone che le pareti dei due fabbricati, almeno una delle quali finestrata, si fronteggino, nel senso che facendo avanzare perpendicolarmente (e non in obliquo) la parete finestrata, la stessa deve incontrare almeno in un punto la parete antistante. La Corte distrettuale, invece, ha riferito genericamente la presenza, peraltro mai allegata dalla controparte, di una parete finestrata, all’edificio COGNOME
COGNOME nel suo complesso, escludendo quindi la presenza di finestre sulla parete ampliata in altezza del fabbricato COGNOME, ed ha ritenuto erroneamente di riferire il
requisito della frontistanza all’intero edificio COGNOME–COGNOME e quindi anche a pareti che non fronteggiano affatto la parete del fabbricato COGNOME ampliata in altezza, anziché alla sola parete di esso fronteggiante la parete sul confine del fabbricato COGNOME ampliato in altezza. A conforto della censura in diritto, le COGNOME richiamano anche le foto e le planimetrie allegate alla CTU AVV_NOTAIO, dalle quali emerge che le pareti dei fabbricati delle parti sono aderenti per una parte del piano terra, ma risultano cieche, e che la parete finestrata del fabbricato dei coniugi COGNOME sarebbe perpendicolare e non frontistante rispetto alla parete cieca ampliata in altezza del fabbricato COGNOME posta sul confine, per cui non incontrerebbe in alcun punto quella parete, non creando con essa alcuna intercapedine nociva.
Col secondo motivo, fatto valere in riferimento al n. 4) dell’art. 360, primo comma c.p.c., le COGNOME censurano la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 9 D.M. n. 1444/68, in quanto la Corte distrettuale avrebbe ritenuto ‘fatto notorio’ o frutto di ‘scienza personale’ del giudicante la circostanza che la porzione di edificio di proprietà RAGIONE_SOCIALE e la porzione di edificio di proprietà RAGIONE_SOCIALE abbiano pareti finestrate che si fronteggiano.
Col terzo motivo, fatto valere in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., le COGNOME lamentano la violazione dell’art. 9 comma 1 e 2 ( rectius comma primo n. 2) del D.M. n. 1448/68, dell’art. 873 cod. civ. e dell’art. 12 delle NTA del Comune di Brescia vigenti all’epoca dell’intervento edilizio di recupero del sottotetto, che consentivano il sopralzo in aderenza, avendo omesso la Corte distrettuale di valutare il principio di prevenzione.
Col quarto motivo, fatto valere in riferimento al n. 4) dell’art. 360, primo comma c.p.c., le COGNOME lamentano la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 9 D.M. n. 1444/68, poiché la Corte avrebbe dichiarato che l’intervento edilizio di recupero del
sottotetto eseguito dalle COGNOME costituisse una sopraelevazione, senza porre a fondamento di tale decisione alcuna prova.
Il primo motivo del ricorso principale é fondato.
La Corte d’Appello, dopo avere evidenziato che il piano sottotetto realizzato dalle COGNOME mediante recupero del precedente sottotetto ed elevazione di m 1,46 rispetto alla precedente quota di imposta del primo piano, determinante automaticamente anche aumento di sagoma e di volumetria (in tal senso Cass. n. 14273/2019), costituiva a suo avviso -al di là della denominazione di ristrutturazione data dall’art. 64 della L.R. Lombardia n. 12/2005 al permesso di costruire rilasciato – una nuova costruzione, soggetta in quanto tale alla normativa sulle distanze legali, non ha correttamente applicato ad essa la distanza legale di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti prevista dall’art. 9 comma primo n. 2) del D.M. n.1444/1968 per come intesa dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, non avendo compiuto la verifica della cosiddetta ‘frontistanza’ sulle pareti dei due fabbricati, di cui una finestrata, tra le quali la distanza deve intercorrere, limitandosi ad affermare a pagina 7 capoverso, senza neppure individuarne la collocazione e la fonte di prova, la ‘ presenza di una parete finestrata nell’edificio antistante di proprietà RAGIONE_SOCIALE‘.
Ed invero la finalità del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, è di salvaguardare l’interesse pubblico sanitario (Cass. 27.9.2022 n.28147) alla salubrità dell’affacciarsi di esseri viventi agli spazi intercorrenti fra gli edifici che si fronteggiano, quando almeno uno dei due abbia una parete finestrata (Cass. sez. un.18.2.1997 n.1486), a prescindere dal fatto che quest’ultima sia costruita prima o dopo l’altra parete (Cass. 20.6.2011 n. 13547). Lo strumento individuato allo scopo dalla normativa nazionale è il rispetto di una distanza minima, tale da garantire la circolazione d’aria e l’irradiazione di luce idonee a mantenere la salubrità di
affaccio (in tal senso testualmente Cass. 27.9.2022 n. 28147). La nozione di “antistanza” o “frontalità” va riferita e circoscritta alle pareti, o porzioni di pareti, che si fronteggiano, e pertanto presentano, ove non distanziate adeguatamente, un problema di circolazione d’aria e/o d’irradiazione di luce insufficienti, con un pericolo concreto che si crei un’intercapedine nociva. Ove le pareti si fronteggino solo per un tratto – perché di diversa estensione orizzontale, verticale o non perfettamente parallele, il rispetto della distanza D.M. n. 1444 del 1968, ex art. 9, dev’essere assicurato entro (e solo entro) le porzioni di pareti antistanti, nell’accezione predetta (Cass. 27.9.2022 n. 28147; Cass. 1.10.2019 n. 24471; Cass. 24.5.1997 n.4639). Non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, nè quelli in cui sono gli opposti spigoli a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l’altro (Cass. 1.10.2019 n.24471; Cass. 24.5.1997 n. 4639). In altre parole, la distanza di 10 metri – che è misurata in modo lineare (e non radiale, come accade invece rispetto alle vedute: (Cass. 27.9.2022 n. 28147; Cass. 1.10.2019 n. 24471; Cass. 11.5.2016 n. 9649) va rispettata entro il segmento delle pareti tale che l’avanzamento (ideale, meramente pensato) dell’una la porti ad incontrare l’altra, sia pure in quel segmento.
Dato quindi che il presupposto imprescindibile enucleato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte per l’applicazione della distanza di dieci metri dell’art. 9 comma primo n. 2 del D.M. n.1444/1968 é che ” fra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento “, la Corte d’Appello di Brescia ha omesso la verifica di un’attuale situazione di frontalità fra la facciata del fabbricato delle COGNOME, oggetto di ampliamento in altezza attraverso il recupero del sottotetto, e la non meglio individuata parete finestrata del confinante fabbricato COGNOME-Odorizio, che si
trova solo in parziale aderenza rispetto al fabbricato COGNOME sul confine, costituente l’essenziale “presupposto per l’operatività del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9”, (così Cass. 27.9.2022 n. 28147; Cass. 1.10.2019 n.24471).
La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo in esame.
Dovendo necessariamente procedere il giudice di rinvio ad un nuovo accertamento in fatto, circa l’esistenza o meno della frontistanza tra una parete finestrata del fabbricato COGNOME–COGNOME e la parete cieca sul confine del fabbricato COGNOME oggetto di ampliamento in altezza mediante recupero del sottotetto nel senso sopra precisato, per il principio iura novit curia, dovrà altresì approfondire due profili giuridici che hanno assunto rilievo per l’applicazione della distanza dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, a seguito di interventi normativi sopravvenuti nelle more del giudizio, che non sono stati fatti oggetto di specifici motivi di ricorso a questa Corte, ma non possono ancora ritenersi coperti dal giudicato interno e vanno quindi valutati ai fini dell’applicazione del citato art. 9:
l’accertamento dell’ubicazione dei fabbricati delle parti nella zona territoriale omogenea C, individuata dal Comune di Brescia ex art. 2 del D.M. n.1444/1968, la sola alla quale la distanza legale in questione sia ancora applicabile dopo l’interpretazione autentica data all’art. 9 del D.M. n.1444/1968 dall’art. 5 della L. 14.6.2019 n.55;
la verifica se l’intervento di recupero del sottotetto con ampliamento in altezza del fabbricato COGNOME, attuato in base a permesso di costruire rilasciato dal Comune di Brescia in forza degli articoli 63 e 64 della L.R. Lombardia n.12/2005, rientri nella nozione di ‘ ristrutturazione edilizia’ , o di ‘ nuova costruzione ‘ soggetta alle distanze legali, alla luce dell’entrata in vigore della lettera d) dell’art. 3, T.U. dell’Edilizia, così come modificata dall’art. 10, comma 1, lett. b), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con
modificazioni dalla legge 11.9.2020 n. 120. Tale normativa sopravvenuta, infatti, ha positivizzato l’esigenza di recuperare il patrimonio edilizio preesistente, il ripristino di edifici eventualmente crollati o demoliti e la loro ricostruzione, quando ne sia accertabile la preesistente consistenza e non sia possibile modificare l’originaria area di sedime, prevedendo che il recupero possa avvenire nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti, ossia quelle riguardanti un edificio realizzato sulla base di un titolo edilizio, anche quando siano stati realizzati ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, purché questi avvengano nell’ambito di incrementi volumetrici aventi carattere di incentivo (ad es. piano casa) o natura premiale (come in caso di adeguamento alla normativa antisismica, applicazione della normativa sull’accessibilità, installazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico), o aventi il fine di promuovere interventi di rigenerazione urbana, salvo che si tratti di edifici vincolati ovvero ricadenti in zona A o assimilate (vedi in argomento Cass. 22.7.2025 n. 20727).
Il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso principale devono ritenersi assorbiti alla luce dell’accoglimento del primo motivo relativo alla violazione dell’art. 9 comma primo n. 2 del D.M. n. 1444/1968, e della necessaria applicazione delle connesse normative sopravvenute sopra citate alle lettere a) e b), influenti sull’ambito applicativo di quella distanza legale, ma anche sull’eventuale applicabilità delle meno severe distanze legali dell’art. 12 delle NTA del Comune di Brescia e dell’art. 873 cod. civ., che comunque presuppongono la qualificazione dell’intervento di recupero del sottotetto compiuto dalle RAGIONE_SOCIALE come nuova costruzione, e non come ristrutturazione edilizia esonerata dal legislatore nazionale dal rispetto delle distanze legali.
5) Col quinto motivo, fatto valere in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., le COGNOME lamentano la violazione dell’art. 2729, secondo comma, cod. civ., in relazione all’art. 1350 cod. civ., avendo la Corte distrettuale ritenuto provato per presunzione semplice il consenso delle COGNOME alla chiusura delle bocche di lupo, solo perché gli appellanti avevano sostenuto, asseritamente in conformità alla CTU, che la chiusura di esse era avvenuta dall’interno della proprietà COGNOME, nonostante la rinuncia alla servitù che in precedenza si era costituita per destinazione del padre di famiglia, dovesse essere provata per iscritto, e benché non potessero ammettersi presunzioni nei casi in cui la legge escludeva la prova per testimoni. Ulteriormente le COGNOME deducono la violazione degli articoli 2727 e 2729 comma primo cod. civ. per la mancanza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza degli indizi, non risultando dalla CTU espletata che la chiusura delle bocche di lupo fosse avvenuta dall’interno della proprietà RAGIONE_SOCIALE.
Questo motivo é inammissibile per la parte in cui richiede alla Corte un riesame del merito tramite una rivalutazione del materiale probatorio, ed in particolare della CTU, al fine di ottenere in questa sede di legittimità, la smentita del fatto accertato dalla Corte distrettuale della chiusura nel 1994, dall’interno della proprietà COGNOME, delle bocche di lupo che davano luce ed aria alla cantina di loro proprietà al momento dell’acquisto del fabbricato da parte dei coniugi COGNOMENOME del 1991, e che avevano dato luogo, al momento della separazione dell’originaria unica proprietà dei due fabbricati interconnessi, alla costituzione della relativa servitù per destinazione del padre di famiglia.
Per restare nell’ambito della violazione di legge dell’art. 2729 comma 1° cod. civ., ‘ la critica della sentenza impugnata deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto dal giudice, contestando o quello della gravità, perchè difetta la c.d. inferenza probabilistica rispetto al
fatto noto, o quello della precisione, nel senso che la presunzione presenta inferenze probabilistiche plurime e non quella sola assunta dal giudice di merito, ovvero quello della concordanza, per avere il giudice impiegato dati fattuali tra loro dissonanti rispetto alla presunzione stessa; non può invece svolgere argomentazioni dirette puramente e semplicemente a infirmare la plausibilità del ragionamento presuntivo condotto dal giudice di merito, criticando la ricostruzione del fatto che questi abbia operato ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione, dal momento che ciò implicherebbe lo sconfinamento della censura dal paradigma della violazione dell’art. 2729 cod. civ. e il suo approdo in una dimensione che, se del caso, potrebbe piuttosto trovare legittimazione nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n.5, s’intende nei limiti del controllo della motivazione sulla quaestio facti, siccome chiariti da Cass. sez. un. n. 8053/2014 ‘ (vedi Cass. sez. lav. ord. 30.6.2021 n. 18611; Cass. 20.11.2017 n. 27578).
La censura è fondata, invece, nella parte relativa alla lamentata violazione degli articoli 2729 comma 2° e 1350 cod. civ.
Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, l’estinzione del diritto di servitù per rinuncia del titolare, trattandosi di un diritto reale su bene immobile, deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350 n. 4) cod. civ., e non può essere desunta indirettamente da fatti concludenti (Cass. ord. 21.2.2024 n. 4646; Cass. ord. 2.2.2021 n. 2316; Cass. 22.5.2015 n. 10662; Cass. 30.3.1985 n. 2228; Cass. 5.2.1980 n. 835; Cass. 7.12.1977 n. 5302).
Pertanto, non poteva la Corte distrettuale ricavare presuntivamente l’estinzione della servitù delle bocche di lupo, pacificamente costituitasi per destinazione del padre di famiglia nel 1991, per il semplice fatto che nel 1994 le opere di chiusura delle bocche di lupo sarebbero state effettuate dall’interno della proprietà COGNOME, e quindi verosimilmente col consenso verbale delle stesse.
Così argomentando, il giudice di secondo grado ha anche violato l’art. 2729 comma 2° cod. civ., che non consente l’uso delle presunzioni semplici nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni, tra i quali certamente rientra, in base all’art. 1350 n. 4) cod. civ., la prova dell’estinzione delle servitù prediali.
1A) Passando all’esame del ricorso incidentale spiegato dagli originari convenuti, rileva la Corte che col primo di essi, fatto valere in riferimento al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., i coniugi COGNOME censurano la violazione degli artt. 1117 e 840 cod. civ., per aver ritenuto oggetto di presunzione di comunione un elemento, quale il sottosuolo della porzione COGNOME, nel quale si sviluppano le fondamenta del fabbricato, interessato dai loro interventi edilizi, elemento non indicato dall’art. 1117 n. 1) cod. civ., che si riferisce solo al suolo su cui sorge l’edificio, e la violazione dell’art. 2697 cod. civ., per aver ritenuto gravare in capo ai COGNOME, pur non potendo operare la presunzione dell’art. 1117 n. 1) cod. civ., l’onere della prova della proprietà esclusiva del sottosuolo.
Il motivo é infondato.
La Corte distrettuale ha accertato che gli interventi edilizi realizzati dai coniugi COGNOME all’interrato (un’autorimessa e dei locali ad uso abitativo collegati alla loro proprietà esclusiva da una scala interna), ubicati nel sottosuolo in cui si sviluppano le fondamenta del fabbricato, sono andati ad incidere su una proprietà comune alle parti, impedendo alle COGNOME, partecipanti alla comunione forzosa creatasi nel 1991 con la vendita di uno dei fabbricati connessi ai coniugi COGNOME, l’esercizio della facoltà di pari uso ex art. 1102 cod. civ.. La Corte d’Appello ha tenuto conto che in base all’art. 1117 n. 1) cod. civ. é oggetto di proprietà comune tra i condomini il suolo sul quale sorge l’edificio, e che la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, in cui si sviluppano le fondamenta.
Ha accertato inoltre che la COGNOME, madre delle COGNOME, nel contratto preliminare di vendita aveva espresso il proprio assenso solo ad una generica futura ristrutturazione, ed aveva firmato un progetto per la ristrutturazione dell’edificio con la realizzazione all’interrato di una cantina, che poi non era stato attuato, senza alcuna specifica concessione edificatoria per gli immobili, poi effettivamente realizzati dai coniugi COGNOME sulla base di un altro progetto. La Corte di merito ha quindi rilevato che questi ultimi non hanno fornito prova della loro proprietà esclusiva sul sottosuolo oggetto dei loro interventi edilizi, allo scopo di superare la presunzione di proprietà comune sopra indicata.
Come è evidente, la Corte d’Appello non ha violato gli articoli 1117 n. 1) e 840 cod. civ., né il criterio della ripartizione dell’onere della prova dell’art. 2697 cod. civ., avendo le COGNOME fornito la prova della proprietà comune del sottosuolo, senza che la controparte riuscisse a dimostrare di poter vantare invece su esso una proprietà esclusiva, o di avere ottenuto, dalle comproprietarie COGNOME, l’autorizzazione scritta alla realizzazione degli interventi edilizi effettivamente compiuti nell’interrato.
Tale motivazione va solo completata col riferimento alla previsione dell’art. 840 cod. civ., secondo il quale la proprietà del suolo si estende al sottosuolo, principio invocabile anche quando il suolo sia di proprietà comune, come nel caso dell’area di sedime di un fabbricato condominiale (cfr. art. 1117 n. 1 cod. civ.).
La giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, afferma che lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, va considerato di proprietà comune, per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 cod. civ., sicché, ove il singolo condomino proceda, senza il consenso degli altri partecipanti, a scavi in profondità del sottosuolo, così attraendolo nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, si configura uno spoglio
denunciabile dall’amministratore con l’azione di reintegrazione” (Cass. ord. 18.7.2025 n.20152; Cass. 24.4.2023 n. 10869; Cass. 30.3.2016 n. 6154).
2A) Col secondo motivo del ricorso incidentale, fatto valere in riferimento al n.3) dell’art. 360, primo comma c.p.c., i coniugi COGNOME censurano la violazione degli artt. 2697, 1322 e 1362 cod. civ. per avere la Corte d’Appello ritenuto inidonei il contratto preliminare del 1987 firmato dalla COGNOME, madre delle COGNOME, ed il progetto per la realizzazione nell’interrato di una cantina di proprietà esclusiva dei COGNOME allegato al preliminare ed anch’esso firmato dalla COGNOME, ma poi non attuato, ad attestare l’esistenza di un accordo o del consenso in merito alla realizzazione di opere per l’uso esclusivo dell’interrato a prescindere dalla loro concreta destinazione, anche in ragione della mancanza di opposizione delle COGNOME alla relativa attività edificatoria, e per aver errato nel non individuare quale oggetto di accordo o consenso l’uso esclusivo dell’interrato.
Tale motivo é inammissibile per difetto di specificità, perché invoca la violazione dell’art. 2697 cod. civ. non per l’erronea applicazione del principio dell’onere della prova, ma per l’asserito cattivo apprezzamento delle prove fornite (vedi sull’inammissibilità in tali ipotesi ex multis Cass. ord. 29.8.2019 n. 21778; Cass. ord. 29.5.2018 n. 13395), e prospetta una pluralità di questioni precedute unitariamente dall’elencazione delle norme che si assumono violate e dalla deduzione del vizio di motivazione, con la conseguenza che la compiuta formulazione del motivo in ordine alle singole questioni richiederebbe un inammissibile intervento integrativo della Corte, con l’individuazione per ciascuna delle doglianze dello specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione (vedi in tal senso Cass. 20.9.2013 n. 21611; Cass. 23.9.2011 n.19443). Quanto alle violazioni degli articoli 1322 e 1362 cod. civ., i coniugi COGNOME si limitano a contrapporre
una propria autonoma interpretazione del preliminare e del progetto summenzionati senza confrontarsi con le ragioni, riportate nell’esame del precedente motivo, che hanno indotto la Corte distrettuale a non attribuire ad essi il valore di autorizzazione scritta delle COGNOME alla realizzazione nell’interrato degli immobili poi effettivamente costruiti, o all’uso esclusivo dell’interrato da parte dei coniugi COGNOME, motivazioni che pienamente integrano il ‘ minimum costituzionale’ e non possono certo considerarsi inesistenti, o meramente apparenti. In ogni caso in tema di ricorso per cassazione, ‘ deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (da ultimo Cass. ord. 11.7.2024 n.10927; Cass. sez. lav. ord. 3.7.2024 n. 18214).
In conclusione, l’accoglimento del primo e quinto motivo del ricorso principale comporta la cassazione della sentenza per nuovo esame da parte del giudice di rinvio, che si designa nella medesima Corte territoriale in diversa composizione e che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti incidentali in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il quinto motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti i restanti, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità. Rigetta il ricorso incidentale. Dà atto che
sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1quater D.P.R. n.115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti incidentali in solido, se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio del 2.10.2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME