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Distanza tra costruzioni: la regola della frontistanza

Una controversia tra proprietari confinanti riguardo una sopraelevazione e opere nel sottosuolo. La Corte di Cassazione cassa la decisione d’appello, chiarendo che la regola della distanza tra costruzioni di 10 metri si applica solo in presenza del requisito di ‘frontistanza’, ovvero quando le pareti dei due edifici si fronteggiano, anche solo parzialmente. La Corte ha stabilito che il giudice di merito ha errato non verificando in concreto tale presupposto. Viene inoltre ribadito che la rinuncia a una servitù deve avvenire per iscritto e non può essere presunta.

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Distanza tra costruzioni: quando si applica la regola dei 10 metri?

La regolamentazione della distanza tra costruzioni è uno dei temi più dibattuti nel diritto immobiliare, fonte di numerose liti tra vicini. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante precisazione sul presupposto fondamentale per l’applicazione della distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate: il requisito della “frontistanza”. Analizziamo insieme questo caso per capire le implicazioni pratiche di tale principio.

I Fatti del Caso: Una Complessa Vicenda tra Confinanti

La vicenda trae origine da una disputa tra i proprietari di due fabbricati contigui. I primi, ricorrenti principali, lamentavano la realizzazione da parte dei vicini di opere illegittime nel sottosuolo del fabbricato, ritenuto di proprietà comune, e l’occlusione di alcune “bocche di lupo” che davano aria e luce alla loro cantina.

D’altro canto, i secondi (convenuti e ricorrenti incidentali) contestavano ai primi di aver eseguito un’opera di recupero del sottotetto, qualificandola come una nuova costruzione/sopraelevazione, senza rispettare la distanza tra costruzioni di 10 metri prevista dal D.M. 1444/1968.

L’Iter Giudiziario: Decisioni Contrastanti

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione ai ricorrenti, ordinando la demolizione delle opere nel sottosuolo e il ripristino delle bocche di lupo. Aveva invece rigettato la domanda dei convenuti relativa all’arretramento della sopraelevazione.

La Corte d’Appello, in parziale riforma, ha ribaltato la decisione: pur confermando la natura comune del sottosuolo, ha accolto la domanda relativa alla violazione delle distanze, condannando i proprietari del sottotetto ad arretrare la loro costruzione di 10 metri. La Corte territoriale ha motivato tale decisione sulla base della “presenza di una parete finestrata nell’edificio antistante”, ritenendo l’intervento una nuova costruzione a tutti gli effetti.

La Decisione della Cassazione e il principio della distanza tra costruzioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei proprietari del sottotetto, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa ad un nuovo esame. Il punto cruciale della decisione risiede nella scorretta applicazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.

Secondo la Suprema Corte, il giudice d’appello ha errato nel dare per scontata l’applicazione della norma sulla distanza tra costruzioni basandosi sulla generica presenza di una parete finestrata nell’edificio vicino, senza compiere una verifica fondamentale: l’accertamento della cosiddetta “frontistanza”.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: la finalità della norma sulle distanze è quella di salvaguardare l’interesse pubblico sanitario, garantendo una salubre circolazione d’aria e luce tra gli edifici. Tale esigenza si pone concretamente solo quando si crea un’intercapedine nociva.

Perché la regola dei 10 metri sia applicabile, non è sufficiente che uno dei due edifici abbia una parete con finestre. È necessario che le pareti (o porzioni di esse) dei due fabbricati “si fronteggino”. Questo significa che, prolungando idealmente in linea retta e perpendicolare una parete, questa deve incontrare, almeno in un punto, la parete dell’altro edificio. Non si applica, quindi, a edifici posti ad angolo retto o le cui pareti non si incontrerebbero mai se proiettate.

La Corte d’Appello ha omesso questa verifica essenziale, limitandosi ad affermare la presenza di una parete finestrata senza individuarne la collocazione e senza accertare se essa fosse effettivamente frontistante alla nuova costruzione. Pertanto, la sua decisione è stata cassata perché viziata da una falsa applicazione della legge.

Inoltre, la Cassazione ha accolto anche il motivo relativo alle bocche di lupo. Ha specificato che l’estinzione di un diritto reale di servitù per rinuncia del titolare deve risultare da un atto scritto (art. 1350 c.c.) e non può essere provata tramite presunzioni o testimoni, come erroneamente ritenuto dalla Corte d’Appello che l’aveva desunta dalla presunta chiusura avvenuta dall’interno della proprietà.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, riafferma che l’applicazione delle norme sulla distanza tra costruzioni non è automatica ma richiede un’attenta analisi fattuale. Chi intende agire per la violazione delle distanze legali deve dimostrare non solo l’esistenza di una parete finestrata, ma anche e soprattutto che questa si trovi in una posizione di “frontistanza” rispetto alla costruzione del vicino. In secondo luogo, il provvedimento sottolinea il rigore formale richiesto per la modifica o l’estinzione dei diritti reali immobiliari: accordi verbali o comportamenti concludenti non sono sufficienti per rinunciare a una servitù; è sempre necessario un atto scritto.

Quando si applica la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate?
La distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall’art. 9 del D.M. 1444/1968, si applica solo quando sussiste il requisito della ‘frontistanza’. Ciò significa che le pareti, o almeno segmenti di esse, devono fronteggiarsi in modo tale che l’avanzamento ideale di una porti a incontrare l’altra, creando il rischio di un’intercapedine nociva.

La rinuncia a una servitù può essere presunta da un comportamento?
No. Secondo la Corte, l’estinzione di un diritto reale su un bene immobile, come una servitù, per rinuncia del titolare, deve risultare da un atto scritto, come richiesto dall’art. 1350 del codice civile. Non può essere desunta da fatti concludenti né provata tramite presunzioni o testimoni.

A chi appartiene il sottosuolo di un edificio in condominio?
In assenza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale è considerato di proprietà comune. Di conseguenza, un singolo condomino non può effettuare scavi o opere che lo attraggano nella sua disponibilità esclusiva senza il consenso degli altri partecipanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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