Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24772 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24772 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13903/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
NOME, elett.te domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n.171/2020 depositata il 16.1.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11.9.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 7.2.2013 NOME, proprietaria di un fabbricato su tre piani fuori terra realizzato nel 1985 avente accesso dall’annessa area di pertinenza, sito in Comune di Somma Vesuviana, INDIRIZZO, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Nola i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietari confinanti, lamentando che gli stessi nel 1996 avevano realizzato un manufatto in violazione della distanza legale tra fabbricati di 10 metri e della distanza legale di 5 metri dal confine, previste dal vigente strumento urbanistico, ed avevano altresì costruito un muro che sconfinava sulla sua proprietà.
La NOME chiedeva la condanna dei confinanti alla demolizione del fabbricato, delle balconate e delle vedute realizzati in violazione delle distanze legali ed al risarcimento dei danni subiti, la determinazione dell’esatto confine tra i fondi, con condanna dei convenuti alla rimozione del muro con ripristino dello stato dei luoghi e rilascio della porzione del suo terreno indebitamente occupata.
Si costituivano in primo grado i convenuti, che contestavano genericamente le domande della NOME, e producevano una relazione tecnica di parte per sostenere che non vi era stata violazione della distanza legale tra fabbricati frontistanti di dieci metri se la distanza veniva calcolata tra le pareti dei due fabbricati.
Espletata CTU, il Tribunale di Nola, con la sentenza n. 2462/2015 del 23.9.2015, condannava i convenuti ad arretrare il loro fabbricato di dieci metri rispetto al frontistante edificio della NOME, accertava il confine tra la particella 1720 del foglio 15 dei convenuti e la particella 140 della NOME, condannando i convenuti a restituirle la porzione di 22,13 mq di quest’ultima, indebitamente occupata, rigettava le altre domande dell’attrice e condannava i convenuti al pagamento delle spese processuali e di CTU.
Appellata la sentenza di primo grado da COGNOME NOME e COGNOME NOME, la Corte d’Appello di Napoli, nella resistenza della NOME, con la sentenza n.171/2020 del 20.12.2019/16.1.2020, rigettava l’appello e condannava gli appellanti al pagamento delle spese processuali di secondo grado, da distrarre in favore del legale antistatario dell’appellata, AVV_NOTAIO.
In particolare la Corte d’Appello riteneva che correttamente era stata calcolata la distanza del fabbricato dei coniugi COGNOME dalla terrazza a sbalzo poggiante su muro di controterra della NOME al primo livello e non dalla parete del fabbricato di quest’ultima, determinandola in m 4,46 e non in m 10,22, in quanto la terrazza era una struttura accessoria del fabbricato connotata da consistenza e stabilità e destinata ad estenderne ed ampliarne la consistenza, da considerare quindi come opera edilizia soggetta alla normativa sulle distanze legali; che correttamente era stato determinato dalla sentenza di primo grado il confine tra le proprietà delle parti basandosi sulla CTU espletata, che a sua volta si era fondata sul frazionamento allegato all’atto di cessione e divisione del 28.2.1982 e sul raffronto dello stesso con lo stato dei luoghi dal medesimo rilevato nel contraddittorio delle parti; che la mancanza di precedenti contestazioni della NOME allo sconfinamento dei coniugi COGNOME non poteva essere intesa come acquiescenza comportante un consolidamento del
confine di fatto sia per mancanza di univocità della condotta della NOME, sia perché un eventuale accordo in tal senso avrebbe richiesto per la validità la forma scritta, trattandosi di diritti reali immobiliari.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso a questa Corte, notificato a NOME il 12.5.2020 COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a due motivi, e resiste NOME con controricorso notificato l’11.6.2020.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 cod. civ. ed il travisamento delle risultanze tecniche da parte del CTU per avere l’ausiliare omesso di procedere a tutti gli accertamenti e attività propedeutiche all’esatta esecuzione del mandato ricevuto relativamente alla situazione dei luoghi e ai relativi titoli di proprietà, come lamentato nei giudizi di primo e di secondo grado, con osservazioni che non avrebbero ricevuto risposta, essendosi la sentenza impugnata basata esclusivamente sulla CTU espletata.
Il primo motivo è inammissibile sia per difetto di autosufficienza, in quanto non individua il tempo, il luogo ed il contenuto specifico delle doglianze che sarebbero state mosse alla CTU, sia in quanto non viene individuato il vizio della sentenza impugnata ed il passaggio motivazionale criticato, risultando lamentata genericamente una violazione dell’obbligo di diligenza dell’art. 1176 cod. civ. da parte dell’ausiliario del giudice, quasi che si discutesse di responsabilità professionale derivante dalla violazione degli obblighi del professionista, che di per sé non si traduce in un vizio della sentenza impugnata, non essendo stata poi rivolta alcuna
specifica censura al fatto che l’impugnata sentenza abbia calcolato la distanza legale di dieci metri tra edifici frontistanti dal fabbricato dei ricorrenti alla terrazza a sbalzo della NOME che poggia su un muro di controterra, che avendo i caratteri di solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo ed essendo destinata ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato, é stata correttamente qualificata come costruzione, e non alla parete del fabbricato della NOME.
Col secondo motivo i ricorrenti, senza individuare uno specifico vizio, sostengono che sia stata esercitata dalla NOME un’azione ex art. 949 cod. civ. non trascritta, e che la sentenza si sia basata solo sulle risultanze catastali, prive di efficacia probatoria.
Il secondo motivo è inammissibile, sia in quanto è stata in realtà esercitata dalla COGNOME un’azione volta a fare accertare la violazione delle distanze legali tra costruzioni e ad ottenere la condanna degli attuali ricorrenti all’arretramento del loro fabbricato, comunque ubicato sulla loro proprietà, e nel contempo è stata esercitata un’azione di regolamento dei confini con richiesta di rilascio di una porzione di terreno abusivamente occupata, e non un’ actio negatoria servitutis, prospettata per la prima volta in sede di legittimità, sia in quanto l’eventuale mancata trascrizione può avere effetto nei rapporti coi terzi ma certamente non nel rapporto coi destinatari diretti della domanda, come gli originari convenuti, attuali ricorrenti. In assenza di un confine di fatto riconosciuto da entrambe le parti tra le loro proprietà, il confine è stato ricavato dal CTU in relazione all’azione di regolamento dei confini, sulla base del frazionamento allegato all’atto di cessione e divisione del 28.2.1982, e non su semplici risultanze catastali, e la sentenza impugnata ha fatto riferimento alla CTU ritenendo corretta sia la determinazione del confine, sia la verifica avvenuta in contraddittorio della difformità rispetto ad esso dello spazio di 22,13 mq occupato senza alcun titolo dagli attuali ricorrenti.
Il ricorso va quindi respinto, ed in applicazione del principio della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, da distrarre in favore del legale antistatario della controricorrente, AVV_NOTAIO.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate nella somma di € 200,00 per spese e di € . 3.800,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%, da distrarre in favore del legale antistatario della controricorrente, AVV_NOTAIO. Visto l’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11.9.2024
Il Presidente
NOME COGNOME