Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13154 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13154 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13107/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 126/2020 depositata il 04/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La presente controversia trova la propria origine nell’istanza di accertamento tecnico preventivo promossa da NOME COGNOME. L’istanza fu promossa al fine di accertare la causa di infiltrazioni subite d all’immobile della ricorrente e da questa riferita alla piscina collocata nella sovrastante proprietà del vicino Primavera Pasquale in prossimità del confine. Il consulente nominato escludeva che la causa delle infiltrazioni fosse da individuare nella piscina, ritenendo che le medesime avessero un ‘ origine diversa, estranea alla sfera
del Primavera. Il consulente consigliava comunque la realizzazione di una canaletta al confine per il migliore deflusso delle acque.
Tale opera era poi realizzata dal COGNOME il quale chiamava in giudizio la COGNOME -la quale aveva nel frattempo rappresentato di non avere interesse a proseguire il giudizio e di rinunziare a qualsiasi pretesa -chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento di tutti i danni subiti a causa dell’accertamento tecnico preventivo (spese legali e tecniche sostenute nel corso del procedimento; spese per la realizzazione delle opere indicate dal consulente; il pregiudizio derivante dal l’interruzione dell’attività di RAGIONE_SOCIALE, da lui svolta nel proprio immobile).
La NOME si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda. La convenuta proponeva domanda riconvenzionale, con la quale chiedeva la condanna della controparte all’arretramento della piscina, in quanto posta a distanza dal confine inferiore a quella legale.
Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda principale, condannando la convenuta al pagamento della somma di € 5.765,20 a titolo di rimborso delle spese documentate; rigettava la domanda riconvenzionale, ritenendola sfornita di prova.
Contro la sentenza la NOME ha proposto appello, che è stato respinto dalla Corte d’appello di Salerno con le seguenti argomentazioni.
La corte di merito ha innanzitutto ritenuto che, sebbene l’attore Primavera avesse posto a fondamento della domanda l’iniziativa assunta dalla controparte con l’istanza di accertamento tecnico preventivo, il petitum non mirava alla restituzione delle spese sostenute a causa del procedimento, ma aveva carattere risarcitorio, mirando al ristoro dei danni subiti anche in
considerazioni di tali spese. In questo senso, la C orte d’appello riteneva che il motivo di impugnazione proposto dalla NOME, fondato sull’assunto che le spese dell’accertamento tecnico preventivo erano state dapprima richieste e poi liquidate da un giudice diverso da quello competente a conoscere della vertenza, fosse disallineato rispetto alla reale ratio decidendi , che l’appellante non avrebbe pertanto colto nel suo autentico significato.
In ordine alla domanda riconvenzionale, la Corte di merito, istruita la causa mediante nomina di un consulente nel grado, osservava che la piscina, ubicata all’interno della proprietà del Primavera, consisteva in una struttura completamente interrata, sottratta alla disciplina delle distanze stabilite dal regolamento locale, che contemplava solo il distacco fra costruzioni. Secondo la Corte d’appello, l a piscina era invece da assimilare, agli effetti delle distanze, alle cisterne di cui all’art. 889 c.c. In diritto il giudice d’appello osservava che, in presenza di un’opera che non rientrava nell’elencazione fornita dall’art. 889 c.c., essendo solo assimilabile a quelle indicate nella norma, la collocazione a distanza dal confine inferiore a quella legale non determina di per sé, come per le vere e proprie cisterne, una presunzione di pericolosità. La potenzialità dannosa, in queste ipotesi, deve essere invece accertata caso per caso sulla base delle peculiari caratteristiche dell’opera, con onere della prova a carico della parte istante. Dal momento che tale onere la NOME non aveva nel caso di specie assolto, ne conseguiva il rigetto della domanda riconvenzionale.
Per la cassazione della decisione la NOME ha proposto ricorso, affidato a due motivi, illustrati da memoria.
NOME NOME ha resistito con controricorso, depositando anche la memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 91, 96, 112 e 342 c.p.c. Diversamente da quanto si sostiene nella sentenza impugnata, le somme non furono richieste dal Primavera a titolo di risarcimento del danno, ma a titolo di rimborso delle spese sostenute per l’accertamento tecnico preventivo e al medesimo titolo furono liquidate dal giudice di primo grado. C’era pertanto piena corrispondenza fra la ratio decidendi della decisione impugnata e il motivo svolto in appello dall’attuale ricorrente, la quale aveva censurato la decisione, sostenendo che le spese avrebbero dovuto essere liquidate nel giudizio di merito, avente ad oggetto l’accertamento negativo del diritto fatto valere con il ricorso per ATP), giammai in un giudizio autonomo ad hoc , istaurato al solo fine del recupero delle spese del procedimento cautelare. La ricorrente evidenzia che nella decisione di primo grado non si ritrovava alcun elemento idoneo a giustificare la qualificazione operata dalla C orte d’appello .
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 889 c.c. La sentenza è censurata per avere ritenuto non operante, per le piscine, la disciplina sulle distanze stabilita dalla norma per le cisterne, che invece si applica allo stesso modo, senza che sia richiesta la prova in concreto della loro pericolosità, essendo questa presunta e non essendo consentita prova contraria.
Il primo motivo è fondato.
Le spese dell’accertamento tecnico preventivo ante causam vanno poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente e vanno prese in considerazione nel successivo giudizio di merito (ove l’accertamento stesso venga acquisito) come spese giudiziali, da porre, salva l’ipotesi di possibile compensazione totale
o parziale, a carico del soccombente e da liquidare in un unico contesto. (Cass. n. 15672/2005; n. 14268/2017) del 27/07/2005). In altre parole, i costi sostenuti nella fase dell’ATP, comprensive di quelle per le prove ed indagini e quelle per il pagamento dei professionisti che hanno assistito la parte come consulenti, costituiscono spese giudiziali e non componenti del danno da risarcire, con la conseguente applicazione del principio della liquidazione a carico del soccombente, salvo i casi di compensazione (Cass. n. 12759/1993; n. 1690/2000).
La C orte d’appello , allorché ha qualificato le spese oggetto della pretesa alla stregua di un danno da risarcire, non si è attenuta a tali principi. La sentenza impugnata, a sostegno di tale qualificazione, richiama la difesa dell’appellato, il quale aveva dedotto di avere intrapreso il giudizio ‘in conseguenza e dipendenza dell’ATP’, nell’interesse non solo alle spese, ma anche ‘ai maggiori danni’ e alla condanna della controparte ai sensi dell’art. 96 c.p.c. Tale richiamo rende ancora più evidente l’errore commesso dalla corte di merito. È stato chiarito che l’art. 96 c.p.c. si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., sicché la responsabilità processuale aggravata, pur rientrando nella generale responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina del citato art. 96 c.p.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra le due fattispecie, risultando conseguentemente inammissibile la proposizione di un autonomo giudizio di risarcimento per i danni asseritamente derivati da una condotta di carattere processuale, i quali devono essere chiesti esclusivamente nel relativo giudizio di merito (Cass. n. 36593/2023; n. 12029/2017).
La sentenza va quindi cassata in relazione a tale motivo.
Il secondo motivo è infondato.
È stato sostenuto dalla giurisprudenza consolidata che l’art. 889 c.c., il quale stabilisce la distanza da osservarsi dal confine per i pozzi, le cisterne, i fossi, etc. mira a preservare il fondo vicino dai pericoli e dai pregiudizi derivanti dalla esistenza delle opere anzidette, secondo una presunzione assoluta di danno. Per ogni altra opera non espressamente menzionata, ma assimilabile a quelle indicate nella norma richiamata, la loro potenzialità dannosa, non presunta, deve essere accertata in concreto, con onere della prova a carico della parte istante (Cass. n. 145/1993; n. 27642/2013). Si osserva che la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la piscina, quando sia completamente incassata nel terreno, e quindi sia priva di opere che la innalzano oltre il livello dello stesso, non è rilevante ai fini della violazione delle distanze legali, non configurando la stessa un corpo edilizio idoneo a creare dannose intercapedini e a pregiudicare la salubrità dell’ambiente collocato tra gli edifici. La normativa sulle distanze legali, infatti, essendo diretta ad evitare la formazione di stretti e dannosi spazi per evidenti ragioni di igiene, aereazione e luminosità, comporta la sua inapplicabilità relativamente ad un manufatto completamente interrato, qual è una simile piscina. Tale tesi è condivisa anche dalla giurisprudenza della Corte di legittimità, secondo la quale è soggetta alla normativa sulla distanza la piscina solo in parte interrata e «contenuta da un terrapieno di riporto e da un muro in calcestruzzo armato, trattandosi di opera che rivela i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo e che si connota per uno spazio ben definito, strutturalmente limitato in maniera definitiva e non
precaria» (Cass. n. 345/2024): ipotesi che pacificamente non ricorre nel caso di specie.
Quanto poi all’applicabilità dell’art. 889 c. c. è stato già chiarito che la costante giurisprudenza afferma che «l’obbligo del rispetto delle distanze previsto per pozzi, cisterne e tubi può essere affermato anche per le opere non espressamente contemplate dalla norma dell’art. 889 c .c. ma soltanto se sia accertata in concreto, sulla base delle loro peculiari caratteristiche, l’esistenza di una uguale potenzialità dannosa che imponga una parità di trattamento» (così Cass. 1986/3643). Ebbene, la stessa regola deve valere anche per le piscine, per le quali, in quanto non espressamente contemplate nella menzionata disposizione, non soccorre la presunzione assoluta di pericolosità ed è, pertanto, necessario – affinché in via di interpretazione estensiva possa ritenersi ugualmente sussistente l’obbligo di rispettare le distanze ivi previste -accertare in concreto, sulla base delle loro specifiche caratteristiche e con onere della prova a carico della parte istante, se abbiano o meno attitudine a cagionare danno Cass. n. 25475/2010).
In proposito, la C orte d’appello ha richiamato l’accertamento, richiesto ante causam dall’attuale ricorrente, evidenziando che il medesimo aveva avuto esito negativo «avendo il consulente dell’epoca escluso che la piscina sia fonte d’infiltrazioni dannose per la sua proprietà, ed anche successivamente all’accertamento preventivo non è stato denunziato alcunché che avrebbe potuto ricondurre alla piscina la fonte di un qualche pericolo per la proprietà limitrofa dell’appellante».
Tale considerazione, immune a vizi logici e coerente con i principi di cui sopra, costituisce accertamento di fatto incensurabile in questa sede.
In conclusione, deve essere accolto il primo motivo e deve essere rigettato il secondo. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio innanzi alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, perché riesamini la domanda di parte attrice relativa alle spese dell’accertamento tecnico preventivo. Alla stessa demanda la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo; rigetta il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda