Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9704 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9704 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. n. 28305/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 841/2019 depositata il 06/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Savona condannava NOME COGNOME alla demolizione di un garage fino al rispetto della distanza di metri 5 dalla proprietà della società attrice RAGIONE_SOCIALE come indicato nell’allegato 11 della relazione tecnica . Il medesimo Tribunale, accertata la demolizione da parte della convenuta di un tratto di muretto di delimitazione della strada di proprietà dell’attrice , le ordinava di riportare l’ampiezza del varco di metri 6 come originariamente esistente, ordinando di provvedere alla demolizione di un tratto di muro nella parte superiore all’altezza di metri 1,50 con condanna della COGNOME al risarcimento dei danni nella misura di euro 1300. Inoltre, in accoglimento della domanda riconvenzionale della COGNOME accertava l’illegittima occupazione da parte della società RAGIONE_SOCIALE del locale cosiddetto autoclave e condannava quest’ultima all’immediata restituzione del medesimo locale alla COGNOME e, in accoglimento dell’altra riconvenzionale della convenuta, dichiarava il suo acquisto per usucapione del diritto di accesso e di passaggio sui terreni mappali 146 e 182 del foglio 5 del Comune di Laigueglia relativamente al sentiero Andora-Colle Michele.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Si costituiva nel giudizio di appello la società RAGIONE_SOCIALE proponendo anche appello incidentale nella parte in cui la sentenza aveva accolto solo parzialmente la domanda di demolizione del muro.
4. La C orte d’ Appello, preliminarmente, evidenziava che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il vizio della notifica dell’atto di riassunzione del decreto di fissazione dell’udienza di prosecuzione impone al giudice di ordinar ne la rinnovazione in applicazione analogica dell’articolo 291 c.p.c. entro un ulteriore termine necessariamente perentorio e solo il mancato rispetto di questo ulteriore termine rileva per l’eventuale estinzione del giudizio.
Nel caso all’esame , non sembrava ravvisabile una mancata esecuzione del primo ordine di rinnovazione dato dal Tribunale, poiché la società riassumente, lungi dal l’ omettere qualsiasi iniziativa, aveva cercato di ottemperare all’ordine di rinnovazione del plico raccomandato inviato per la notifica personale alla COGNOME presso la sua residenza milanese, plico restituito dalle Poste con la dicitura ‘ seguimi INDIRIZZO ‘ e, dunque, il fallimento di tale notificazione era dipeso dall’imprevisto spostamento della residenza della destinataria. Non sembravano, pertanto, ravvisabili l’ inerzia e l’in ottemperanza della parte riassumente rispetto all’ordine di rinnovazione della citazione bensì solo il verificarsi di un imprevisto giustificante la concessione di un nuovo termine.
4.1 Secondo la C orte d’ Appello erano fondati, invece, i motivi di gravame proposti dalla COGNOME con riguardo al merito della controversia in quanto la disamina delle risultanze istruttorie non consentiva di condividere la valutazione del Tribunale secondo cui il box oggetto del giudizio non era interrato e di conseguenza era posto in violazione della distanza minima di metri cinque dal confine con la proprietà della RAGIONE_SOCIALE immobiliare. Infatti, la CTU era avvenuta
prima dell ‘assunzione dell e testimonianze, di cui il consulente non aveva potuto tener conto. Tutti i testi avevano confermato che il box era all’interno della proprietà e del muro preesistente , come risultava anche dalle fotografie, dunque, non vi erano le condizioni per disporre l’arretramento del manufatto garage , trovandosi lo stesso interrato dentro la sagoma del precedente terrapieno senza alcun concreto avanzamento verso il fondo della società RAGIONE_SOCIALE.
D’altra parte , non era condivisibile neanche la statuizione del primo giudice secondo cui l’allegato allargamento da metri 6 a metri 8,5 del varco di accesso della proprietà COGNOME, in particolare del piazzale superiore della strada di proprietà RAGIONE_SOCIALE gravata di servitù di passaggio pedonale e carrabile a favore del fondo COGNOME, integravano aggravamento ex articolo 1067, comma 1, c.c. di tale servitù.
Infatti, l’allargamento era avvenuto operando all’interno del fondo COGNOME su porzione immobiliare di sua proprietà con il muretto tagliato senza modificare o demolire parti murarie o stradali della RAGIONE_SOCIALE e, ragionevolmente, per compensare la limitazione di ampiezza dell’originario accesso carraio determinata dalla apposizione da parte della RAGIONE_SOCIALE immobiliare di un cancello che ove aperto avrebbe ostacolato la praticabilità della larghezza originaria dell’accesso carrabile .
Peraltro, al caso di specie sembrava doversi applicare il secondo e non il primo comma dell’articolo 1067 c.c. e, in ogni caso, la maggior larghezza per un paio di metri dell’accesso carrabile dal fondo dominante COGNOME a quello servente RAGIONE_SOCIALE non rendevano affatto più gravosa la condizione del
fondo servente posto che non lo esponeva ad un maggior traffico veicolare o al passaggio di mezzi di dimensioni eccezionali, trattandosi di un breve tratto stradale necessario per il transito carrabile e pedonale a favore della soprastante porzione immobiliare di proprietà COGNOME.
Infine, non poteva confermarsi nemmeno il capo di pronuncia che aveva ordinato la demolizione parziale del muro di confine del fondo COGNOME nel tratto ‘ G-H ‘ per altezza eccedente metri 1,5 in quanto dalla planimetria della relazione del consulente (allegato 10), la strada pedonale di uso pubblico definita sentiero 1 non si interrompeva prima del tratto ‘ G-H ‘ del muro ma lo costeggiava e proseguiva oltre frapponendosi.
4.2 Il rigetto integrale della domanda azionata in primo grado in via principale comportava automaticamente anche la riforma del capo della sentenza di condanna della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni. La riforma del capo della sentenza circa l ‘obbligo di p arziale demolizione del muro di confine determinava specularmente il rigetto dell’appello incidentale della società RAGIONE_SOCIALE che lamentava il mancato ordine di demolizione integrale del muro.
La domanda subordinata volta a rilevare la violazione dell’articolo 10 delle norme di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Andora che stabiliva una distanza minima di metri 3 dei confini delle strade vicinali di uso pubblico era inammissibile perché nuova e mai proposta in primo grado e, in ogni caso, l’articolo 10 citato si riferiva a d edifici e non al muro di recinzione di confine.
La società RAGIONE_SOCIALE subentrata alla RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso e con ricorso incidentale condizionato. I n prossimità dell’udienza , con memoria, ha insistito nelle proprie richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 873 c.c., dell’articolo 10 delle norme di attuazione di variante del piano regolatore generale e dell’articolo 7 delle norme di attuazione adottate dal Comune di Andora e dell’articolo 9 della l. n. 122 del 1989.
In sintesi, con il primo motivo di impugnazione si contesta la sentenza impugnata perché la Corte territoriale pur ritenendo non completamente interrato il box a confine con la proprietà del ricorrente non avrebbe correttamente applicato le norme sopra indicate in materia di distanze legali.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Con il secondo motivo si censura la sentenza nella parte in cui la Corte di merito non ha rilevato che con il nesso della soletta costituente il soffitto del box una parte del muro di contenimento il detto tratto di muro veniva a costituire un elemento strutturale del box costituendo il quarto lato non interrato.
2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La Corte d’Appello ha accertato che il box della COGNOME è interrato in quanto interamente ricompreso nel terrapieno reggente il sovrastante piazzale senza alcun avanzamento del medesimo box
verso il confine con la proprietà della RAGIONE_SOCIALE e ha anche accertato che la sua costruzione non ha comportato alcuna modifica della sagoma preesistente riferita al terrapieno.
In sostanza, secondo la Corte d’Appello non vi è stata alterazione del piano di campagna e neanche la creazione di un terrapieno artificiale.
Sulla base di tale ricostruzione in fatto non suscettibile di sindacato in questa sede, la sentenza risulta immune dalle censure proposte in quanto conforme alla giurisprudenza di questa Corte. Si è precisato, infatti, che l’art. 873 cod. civ. nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi, la distanza minima di tre metri dal confine o quella maggiore fissata nei regolamenti locali, si riferisce, in relazione all’interesse tutelato dalla norma, ad opere che, oltre a possedere caratteri di immobilità e di stabile collegamento con il suolo, siano erette sopra il medesimo sporgendone stabilmente, e che, inoltre, per la loro consistenza, abbiano l’idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà fondiaria, idoneità il cui accertamento (rimesso al giudice di merito ed insindacabile se adeguatamente motivato) è indispensabile per qualificare l’opera quale costruzione ai fini dell’applicazione della norma menzionata, senza che ciò comporti deroga alla presunzione di pericolosità collegata dalla legge al mancato rispetto delle distanze legali, presupponendo tale presunzione il preventivo accertamento che il manufatto eretto a distanza inferiore a quella legale abbia i caratteri della costruzione. L’art. 873 cod. civ., dunque, non comprende né le opere completamente realizzate nel sottosuolo né i manufatti che non si elevino oltre il livello del suolo, non ricorrendo per le une o per gli
altri la ragione giustificatrice della norma stessa (Nella specie la sentenza di merito – confermata dalla S.C.- non aveva ritenuto che non fossero costruzioni, ai fini di cui all’art. 873 cod. civ., una superficie al livello del cosiddetto piano di campagna, perfettamente spianata, attrezzata quale campo da tennis, ed i plinti ,interrati nel sottosuolo, di sostegno dei pali di illuminazione del campo stesso, nonché il “cordolo” di recinzione del campo, alto 20 centimetri, la rete metallica intorno al campo ed i pali di illuminazione del terreno di gioco, considerando in particolare che il primo per la sua modesta elevazione e gli altri per la loro struttura e consistenza non erano idonei ad intercettare aria e luce ed a formare quindi intercapedini vietate dal menzionato art. 873 cod. civ.) (Sez. 2, Sentenza n. 5956 del 01/07/1996, Rv. 498335 – 01)
Si è detto inoltre che: La sporgenza del manufatto dal suolo, quale requisito necessario perché lo stesso sia soggetto alle disposizioni sulle distanze legali nei rapporti di vicinato, va riscontrata con riferimento al piano di campagna, cioè al livello naturale del terreno, non quindi al livello eventualmente inferiore cui si trovi un finitimo edificio realizzato con abbassamento di quel piano (Sez. 2, Sentenza n. 5450 del 03/06/1998, Rv. 516044 – 01)
Anche con riferimento alla l. n. 122 del 1989 la sentenza è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui: La deroga alla disciplina delle distanze di cui all’art. 9 della l. n. 122 del 1989 vale solo per le autorimesse e i parcheggi realizzati, per l’intera altezza, al di sotto dell’originario piano di campagna, tutelando le prescrizioni urbanistiche in tema di altezze, distanze e volumetria degli edifici valori specifici, quali aria, luce e vista (Sez. 2, Sentenza n. 11998 del 10/06/2016, Rv. 640213 – 01).
Nello stesso senso è utile richiamare anche la seguente pronuncia: La deroga alla disciplina delle distanze, consentita dall’art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122, vale per le autorimesse di nuova costruzione (e non per la sopraelevazione di autorimesse già esistenti), anche se realizzate, anziché nel sottosuolo dell’edificio o nei locali a piano terreno, in un’area pertinenziale dell’immobile, purché esse siano, in tal ultimo caso, interamente sotterranee, essendo la norma diretta a contemperare il favore per la realizzazione di nuovi parcheggi con la necessità di salvaguardare l’aspetto esteriore e visibile del territorio (Sez. 2, Sentenza n. 20850 del 11/09/2013, Rv. 627618 – 01).
2.2 Quanto al secondo motivo con il quale parte ricorrente lamenta l’omesso esame del fatto che il muro di cinta a seguito del riempimento del terrapieno dal lato della controparte è divenuto un lato esterno del box che per questo non può dirsi interrato, in disparte il profilo di inammissibilità evidenziato dalla controricorrente per non essere stato il fatto dedotto oggetto di discussione nel corso del giudizio, deve osservarsi come l’esistenza del muro come parete esterna del box non assume alcuna rilevanza rispetto alla disciplina delle distanze una volta accertato che la costruzione è interamente interrata e non sporge oltre il naturale piano di campagna e non è soggetta al rispetto delle distanze minime lasciando immutata la situazione preesistente senza che possa sorgere alcuna esigenza di tutela al fine di impedire il formarsi di intercapedini vietate dal menzionato art. 873 cod. civ.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 825, 832, 879, 1058 e 1061 c.p.c.
Con il terzo motivo di impugnazione si contesta la sentenza per aver ritenuto la sussistenza di una servitù di uso pubblico sulla base della sola utilizzazione del sentiero da parte di una collettività indeterminata di persone senza accertare il titolo costitutivo della servitù e senza verificare se tale uso fosse oggettivamente idoneo a soddisfare un interesse pubblico.
3.1 Il terzo motivo è infondato.
La Corte d’Appello con accertamento incidentale rispetto alla questione oggetto del giudizio ha ritenuto sussistere la natura di strada pedonale di uso pubblico fondando la decisione sul l’apposizione lungo la strada del cartello stradale del Comune di Laigueglia e sul fatto che il sentiero non poteva finire immediatamente dopo il cartello. Dalla lettura di pag. 8 della sentenza impugnata si comprende, infatti, che la natura pubblica del sentiero 1 Colla Micheri-Capo Mele non era in discussione ed era stata accertata sin dal primo grado di giudizio. La Corte d’Appello ha solo accertato che la suddetta strada non si interrompeva prima del tratto G-H del muro ma lo costeggiava e proseguiva oltre. Sicché la decisione del Tribunale doveva riformarsi solo in relazione al fatto che la strada vicinale ad uso pubblico si interrompeva prima del muro come testimoniato dal cartello, inoltre lo stesso CTU aveva evidenziato l’evidente segno di usura del sedime di calpestio. Sulla base di tale natura non in discussione nel giudizio di appello se non per il tratto interessato, la Corte ha correttamente evidenziato che le strade vicinali assoggettate a pubblico transito sono equiparate alle strade pubbliche in senso proprio e sottoposte al medesimo regime, compresa l’esclusione dalla disciplina delle d istanze.
Di conseguenza la sentenza impugnata è immune dalle censure proposte con il motivo in esame.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 873 c.c. e dell’articolo 10 delle norme di attuazione di variante del piano regolatore generale adottate dal Comune di Andora
Con il quarto motivo di ricorso per cassazione si censura la sentenza perché avrebbe comunque dovuto dare applicazione degli articoli 873 c.c. 10 delle norme di attuazione di variante al piano regolatore generale che anche per le costruzioni in presenza di strade con servitù pubbliche prescrivono una distanza di tre metri.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
La censura non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto la medesima questione posta nel giudizio di appello inammissibile in quanto nuova e in violazione dell’art. 345 c.p.c.
Il ricorrente non coglie questo aspetto e ripropone la questione senza svolgere alcuna censura rispetto alla ritenuta novità della questione che ne ha comportato la declaratoria di inammissibilità da parte della Corte d’Appello .
La resistente, costituendosi, svolge ricorso incidentale condizionato rispetto alla sentenza della Corte territoriale per nullità della stessa e del procedimento a seguito dell’errata applicazione delle norme processuali di legge in tema di riassunzione del processo ed estinzione dello stesso, violazione e/o falsa e/o mancata applicazione degli artt. 303, 305, 307 e 291 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., 1° comma, n. 4.
5.1 Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.
Il ricorso principale è rigettato e quello incidentale condizionato è assorbito. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito l’incidentale e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 3500, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione